Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Piacenza, sez. n. 2, sentenza n. 60 depositata il 9 agosto 2023
In tema di addizionale provinciale sulle accise sussiste un potenziale contrasto giurisprudenziale sull’individuazione del soggetto a cui rivolgere l’istanza di rimborso.
Non pare chiaro, in particolare, se il destinatario della richiesta di ripetizione debba essere l’ente impositore (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) o l’ente beneficiario (la Provincia).
Pertanto, sussistendo le condizioni di cui all’art. 363-bis del c.p.c., nel caso di specie, la Corte di giustizia tributaria di Piacenza ha esperito un rinvio pregiudiziale alla Corte Suprema di Cassazione, affinché possa enunciare il principio di diritto cui attenersi nella decisione.
ELEMENTI IN FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso ritualmente notificato conveniva in giudizio e, impugnando il provvedimento di diniego espresso e il provvedimento di rigetto implicito (silenzio rifiuto) rispettivamente resi dai due enti in ordine all’istanza di rimborso per euro 20.483,63, relativa ad accise sulla fornitura di energia elettrica che essa ricorrente aveva restituito al cliente in esecuzione di sentenza passata in giudicato, così determinandosi ad agire in rivalsa verso i predetti enti. Più in dettaglio, la ricorrente chiedeva il rimborso di euro 13.231,47 versati all’ufficio (relativamente a fornitura di energia per una potenza superiore ai 200 KW) e di euro 7.252,16 versati alla (relativamente a fornitura di energia per una potenza inferiore a 200 KW) ; con interessi maturati e maturandi trattandosi di somme versate nel corso del 2010-2011.
Nelle more del giudizio accoglieva, re melius perpensa, l’istanza di rimborso originaria provvedendo spontaneamente a versare quanto richiesto; così riducendo l’oggetto del presente giudizio alla sola obbligazione restitutoria in capo alla , da quest’ultimo ente fermamente contestata eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.
All’udienza del 17.07.2023 le parti discutevano la causa e la stessa ricorrente chiedeva al Collegio di valutare l’opportunità di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione ex art. 363-bis c.p.c., in considerazione della natura seriale del contenzioso, del perdurante contrasto giurisprudenziale sulla legittimazione passiva della , e dell’assenza di pronunce della Corte di Cassazione sul punto.
Ritiene il Collegio che la richiesta possa essere accolta.
2. Preliminarmente si osserva che l’istituto del rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 149/2022 (riforma Cartabia), è di sicura applicazione anche nel processo tributario in forza dell’art. 1 D.Lgs. 546/1992 che, disponendo che al processo tributario si applichino le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili, ha inteso, ad avviso di questo Collegio, operare un rinvio non già recettizio e statico – i.e. alle disposizioni del codice di rito vigente all’epoca dell’entrata in vigore del predetto decreto legislativo – bensì dinamico, esteso cioè automaticamente anche alle sopravvenienze normative del rito civile, ferma restando la clausola di compatibilità (ove cioè non espressamente derogate dalle disposizioni, speciali, del D.Lgs. 546/1992). Tali considerazioni consentono di superare l’argomento contrario prospettato (sia pure in termini dubitativi) da altra giurisprudenza che si è espressa sul nuovo istituto in commento (CGT Agrigento 31.03.2023), consistente nel rilievo per cui una disposizione analoga all’articolo 363 bis c.p.c. era stata dapprima prevista nel progetto di riforma della giurisdizione tributaria e successivamente espunta dal testo approvato. Tale scelta del legislatore può infatti trovare una più razionale spiegazione nell’aver evitato duplicazioni normative, non potendosi del resto dubitare della opportunità ed utilità di uno strumento di potenziamento dell’intervento nomofilattico della Suprema Corte in un ambito in cui tale esigenza è particolarmente avvertita, come appunto nel caso di specie.
3. Venendo al merito della questione controversa, la tesi sostenuta dalla resistente è che l’addizionale provinciale, a dispetto del nomen juris, non abbia propria autonomia e non possa pertanto essere considerata come imposta in senso tecnico, bensì soltanto come “articolazione in maggiorazione” del tributo principale ossia dell’accisa armonizzata. Occorre preliminarmente evidenziare come alcune delle argomentazioni addotte a sostegno della prospettata carenza di legittimazione passiva appaiano del tutto irrilevanti ai fini della decisione.
Esula infatti dal thema decidendum la dibattuta interpretazione del tributo alla luce della giurisprudenza di derivazione eurounitaria. L’effetto giuridico cui ha condotto in altra sede processuale – l’obbligo di restituzione al cliente privato delle somme da ritenersi, alla luce di quella giurisprudenza, indebitamente fatturate – è infatti posto da una sentenza passata in giudicato, sì da rendere inammissibile ogni censura relativa al presupposto di quell’obbligo, siccome surrettiziamente rivolta a rimettere in discussione quel provvedimento, o ad eluderne gli effetti.
Oggetto del presente giudizio è dunque solo e soltanto la legittimità della richiesta di rimborso inoltrata dal fornitore e, correlativamente, dei provvedimenti negativi (silenzio-rigetto ovvero diniego espresso) ottenuti.
4. L’art. 14 del Testo Unico Accise, che enuncia il diritto del fornitore a richiedere il rimborso dell’accisa “indebitamente pagata”, nulla dispone in ordine al destinatario della relativa richiesta. La tesi della Provincia – recepita da un orientamento giurisprudenziale – è che il destinatario sia da individuarsi nell’Amministrazione finanziaria così come definita all’art. 1 dello stesso D.Lgs. 504/1995: “gli organi, centrali o periferici, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli preposti alla gestione dell’accisa sui prodotti energetici, sull’energia elettrica, sui tabacchi lavorati, sugli alcoli e sulle bevande alcoliche, e alla gestione delle altre imposte indirette di cui al Titolo III.” L’argomento non può, tuttavia, essere condiviso.
Ricorre l’affermazione per cui in subiecta materia occorre distinguere tra ente impositore (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) ed ente beneficiario (la Provincia). Questa distinzione si fonda tuttavia sull’art. 6, comma 4, D.L. 511/1988 – secondo cui le addizionali all’accisa sull’energia elettrica relative a forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW sono versate direttamente alle Province mentre le addizionali relative a forniture di energia elettrica con potenza disponibile superiore a 200 kW e quelle relative al consumo dell’energia elettrica, prodotta o acquistata per uso proprio, sono versate direttamente all’Agenzia delle Dogane – disposizione abrogata dall’art. 4 comma 10 D.L. 16/2012 ed oggi, pertanto, utilmente richiamabile solo come fonte dell’obbligo, a suo tempo adempiuto dal fornitore, di versare l’accisa direttamente alla Provincia. Ed appare intrinsecamente contraddittorio che se ne prospetti l’ultrattività limitatamente agli effetti positivi (ritenzione delle somme all’epoca percepite) mentre, per scongiurarne gli effetti negativi (obbligo di restituzione), la si reputi superata dalla sua intervenuta abrogazione, dalla natura erariale del tributo (C. Cost. 52/2013), dalla portata asseritamente espansiva dell’art. 1 T.U.A..
Il mutamento del quadro normativo e giurisprudenziale in epoca successiva non incide sul fatto storico dell’avvenuta percezione delle somme da parte della Provincia – cui, come detto, sono state versate direttamente in ragione della norma all’epoca vigente – che, conseguentemente, dovrebbe ritenersi soggetto passivo di una domanda di rimborso fondata su una sentenza passata in giudicato e che, proprio per l’efficacia di tale provvedimento giurisdizionale, è da sussumersi nella fattispecie dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.: definitivamente accertata l’illegittimità del prelievo in bolletta per contrasto con la disciplina eurounitaria, è altrettanto illegittimo il versamento di quelle somme all’ente locale e all’Agenzia delle Dogane trattandosi, civilisticamente, di attribuzioni patrimoniali prive di causa. Che l’effettiva disponibilità delle somme sia il presupposto che individua la legittimazione passiva rispetto all’istanza di rimborso è espressamente affermato, in giurisprudenza, da plurime pronunce. Si vedano, ad esempio, CGT Venezia, 14.11.2022 n. 390; CGT Brindisi 12.12.2022 n. 493; CGT Ragusa 28.03.2023 n. 81; CGT Lecco 29.03.2023; CGT Como 06.05.2023 n. 131.
Il Collegio, tuttavia, è ben consapevole del contrasto di tale impostazione con altro, consistente, orientamento giurisprudenziale di merito, che continua ad individuare nell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli l’unico soggetto passivo della domanda di rimborso, argomentando dalla sua qualità di ente impositore e dalla natura erariale del tributo.
5. Il primo argomento solitamente addotto consiste nel rilievo per cui l’ente locale “non e? titolare del tributo riscosso, di cui si chiede il rimborso, in quanto soggetto cui l’addizionale e? meramente devoluta sulla base dell’art. 117 Cost. rimanendo il tributo di natura erariale. Sul punto non può? che rinviarsi alla sentenza della Corte Costituzionale n. 52/2013 che ha affermato che i tributi propri derivati, che sono istituiti e regolati dalla legge dello Stato ma il cui gettito e? destinato a un ente territoriale, conservano inalterata la loro natura di tributi erariali. L’accisa sull’energia elettrica e l’addizionale a essa relativa sono tributi erariali la cui disciplina e? di competenza esclusiva dello Stato, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione” (CTP Milano sez. 15 n. 397/2022, CTP Milano sez. 8 n. 1912/2022, CTP Piacenza n. 132/2022; CGT I Grado Roma n. 14708/2022); “La differenziazione relativa alle potenze disponibili, infatti, concerne la mera modalità attraverso la quale la somma veniva introitata non incidendo in alcun modo sulla natura erariale dell’imposta” (CGT I grado Roma, n. 961/2022).
Un secondo argomento consiste nel rilievo per cui il rimborso e i suoi presupposti rientrerebbero, concettualmente, “nell’attività della riscossione e del contenzioso delle accise sulla produzione e sui consumi prevista in capo all’Agenzia delle Dogane dall’art. 63 Dlgs 300/1999. Le questioni relative al rimborso delle dette imposte non possono essere disgiunte dalla determinazione delle imposte effettivamente dovute, compresa nell’attività di riscossione, e dalla risoluzione del contenzioso che ne deriva” (CTP Piacenza 132/2022).
Un terzo argomento, infine, è quello per cui “L’ente locale, non essendo soggetto impositore, non riceve la dichiarazione di consumo dei consumatori, non può verificare la correttezza dei versamenti né scorporare dal versamento annuale che viene effettuato dai fornitori gli esborsi dei singoli utenti [ ] è, dunque, totalmente priv[o] degli strumenti di controllo in relazione alle istanze presentate e di conseguenza si trova nella impossibilità materiale di procedere a rimborso” (CGT Milano 1404/2023).
Ritiene il Collegio che ciascuno dei tre argomenti suddetti non sia convincente, e richieda comunque un’interpretazione chiarificatrice da parte della Corte di legittimità.
6. La natura erariale del tributo, ad avviso di questa Corte, non esclude la legittimazione passiva della Provincia in ordine al rimborso: la Provincia è ente territoriale dello Stato, e proprio in forza della natura erariale dell’accisa la percepisce in assenza di un fatto impositivo territorialmente localizzato. Si tratta, in altri termini, di somme rivenienti non da tributo locale – che la vedrebbero come ente impositore – ma da tributo nazionale ope legis devolutole sul duplice presupposto della rispondenza dell’imposizione ad esigenze di economia nazionale, e della inclusione dell’ente territoriale nell’articolazione istituzionale dello Stato.
Pertanto, affermare – come va affermata – la natura erariale dell’accisa consente di giustificare la sua devoluzione in parte qua all’ente locale, ma certamente non di escludere che l’ente debba restituirla se indebitamente percepita come accertato giudizialmente nel caso di specie.
In realtà, la conseguenza – pur non espressamente prospettata dall’Ente nella sua difesa – cui conduce la tesi della legittimazione passiva esclusiva dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è che il privato dovrebbe rivolgere la sua istanza di rimborso all’ente impositore, soggetto formalmente diverso da quello nei cui confronti ha eseguito il pagamento poi accertato come indebito; mentre l’ente impositore dovrebbe poi agire in rivalsa nei confronti dell’ente beneficiario per il recupero di quanto rimborsato al privato.
Tale iter procedimentale non è, a sommesso avviso di questo Collegio, legittimo. In primo luogo perché praeter legem, non rinvenendosi alcuna norma che lo disciplini in siffatti modi e termini e in particolare nulla disponendo in tal senso l’art. 14 del T.U.A..
In secondo luogo, viene posto – sempre praeter legem – un aggravio procedimentale che, nei rapporti tra privato ed Amministrazione, appare di dubbia compatibilità con i canoni civilistici e, sul piano amministrativo, con i principi di buona fede e di legittimo affidamento (che inducono a chiedere la restituzione delle somme al soggetto al quale le si sono versate); e, nei rapporti tra Amministrazioni, non appare conforme ai canoni costituzionali di buon andamento, efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
Si consideri al riguardo che proprio la divaricazione tra impositore e beneficiario ha costituito la base
giustificativa del presente contenzioso, risolvendosi in un vantaggio patrimoniale per l’Erario (che continua a disporre delle somme oggetto dell’inadempiuto obbligo di restituzione) e in un corrispondente pregiudizio per il privato (che continua a subire il danno da ritardato pagamento); e che tale ritardo trova il suo fondamento proprio nel conflitto negativo di competenza (così eufemisticamente è definibile ciò che si risolve in un sostanziale rimpallo di responsabilità) tra i due rami dell’Amministrazione.
In terzo luogo, si ravvisa una evidente violazione del giudicato civilistico posto che il privato, soccombente in tale sede e conseguentemente onerato della restituzione al cliente di quanto indebitamente fatturato a titolo di accisa, non potendo – quantomeno in tempi rapidi, per la perdurante incertezza sul soggetto a cui rivolgere l’istanza di rimborso – ottenere la caducazione degli effetti dell’illegittimo versamento dell’accisa (la cui ultrattività verrebbe surrettiziamente affermata) e continuando pertanto a sopportarne il costo economico vedrebbe, sostanzialmente, raddoppiato il costo della soccombenza; risultando altresì vanificata l’efficacia esecutiva della sentenza, non invocabile nei confronti dell’ Amministrazione.
Auspica pertanto il Collegio che la Corte, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica, chiarisca se la specialità della materia tributaria consenta la deroga ai principi appena esposti, e dunque se sia tuttora legittimo che la prospettata distinzione tra ente impositore e beneficiario – discendente da disposizioni ormai abrogate e dunque priva di attuale fondamento normativo – esoneri quest’ultimo dall’obbligo di rimborso al privato di quanto indebitamente percepito per versamento diretto, con sostanziale elusione di un giudicato che quel versamento qualifica come indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.
7. Il secondo argomento a sostegno della tesi della Provincia – e su cui pure è auspicabile un’interpretazione chiarificatrice del Supremo Consesso – è che il rimborso rientrerebbe “nell’attività della riscossione e del contenzioso delle accise sulla produzione e sui consumi prevista in capo all’Agenzia delle Dogane dall’art. 63 Dlgs 300/1999. Le questioni relative al rimborso delle dette imposte non possono essere disgiunte dalla determinazione delle imposte effettivamente dovute, compresa nell’attività di riscossione, e dalla risoluzione del contenzioso che ne deriva”, come affermato da questa stessa Corte territoriale, in diversa composizione, nella pronuncia n. 132/2022. In realtà ritiene questo Collegio che tale principio possa, al più, valere nei casi in cui il rapporto tributario controverso intercorra tra il privato e l’Agenzia delle Dogane, e ciò sul duplice presupposto che il versamento dell’imposta sia avvenuto nei confronti di tale Ente, e che sia tuttora sub iudice la liquidazione dell’imposta. Ove tali presupposti non ricorrano – come, si ritiene, nel caso di specie – il rimborso non può essere sussunto nella diversa fattispecie della riscossione (che, peraltro, appare logicamente incompatibile in quanto atto uguale e contrario) né in quella della determinazione dell’imposta (essendo l’obbligo di restituzione già compiutamente definito dal giudicato) né in quella del contenzioso, poiché il contenzioso sorge soltanto in caso di rigetto dell’istanza di rimborso.
Non si ritiene ragionevole un’interpretazione della norma che, in buona sostanza, individui la competenza dell’Amministrazione in ragione della condizione potestativa del diniego opposto all’istanza del privato (come dire: dall’accoglimento discende la negazione della competenza dell’Agenzia delle Dogane; dal rigetto, l’affermazione della stessa perché si crea il contenzioso), risolvendosi in un incentivo alla P.A. a rigettare la domanda e a incrementare il contenzioso. In altri termini: l’accoglimento o il rigetto della domanda del privato possono e debbono discendere unicamente dalla fondatezza o infondatezza della stessa, in esito ad una adeguata ponderazione degli interessi attinti; non già dalla volontà di un ramo dell’Amministrazione di spogliarsi della competenza in favore di un altro. Si chiede pertanto alla Corte di Cassazione di valutare l’opportunità di chiarire la portata applicativa del menzionato art. 63 D.Lgs. 300/1999.
8. Il terzo argomento, infine, appare ad avviso di questa Corte il meno convincente. Non può essere condivisa l’affermazione per cui “l’ente locale, non essendo soggetto impositore, non riceve la dichiarazione di consumo dei consumatori, non può verificare la correttezza dei versamenti né scorporare dal versamento annuale che viene effettuato dai fornitori gli esborsi dei singoli utenti [ ] è, dunque, totalmente priv[o] degli strumenti di controllo in relazione alle istanze presentate e di conseguenza si trova nella impossibilità materiale di procedere a rimborso” (CGT Milano 1404/2023). Gli strumenti di controllo e di verifica, viceversa, sussistono perché espressamente previsti dalla L. 241/1990.
A fronte di una istanza di rimborso direttamente ricevuta, ovvero di una rivalsa esercitata da altra Amministrazione, l’ente locale dovrebbe infatti aprire un procedimento e istruirlo. Di conseguenza, nei rapporti con il privato, “Il responsabile del procedimento: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento; b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali” (art. 6 L. 241/1990) avendo così modo di reperire agevolmente tutte le informazioni necessarie per valutare ammissibilità e fondatezza della domanda di rimborso; e ciò sia in apertura di istruttoria, sia ove emergano profili ostativi all’accoglimento, di cui deve dare tempestiva comunicazione al fine di consentire ulteriori acquisizioni e integrazioni documentali (art. 10-bis L. 241/1990).
Qualora poi dette informazioni fossero in possesso di altra Amministrazione (ad esempio destinataria di parallela istanza di rimborso), troverebbe necessariamente applicazione anche la disposizione per cui “I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L’amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti” (art. 18, comma 2, L. 241/1990).
Si tratta, com’è noto, di principi applicabili sia al procedimento tributario sia al processo tributario, anche perché parzialmente trasfusi nello Statuto del Contribuente. “L’art. 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui non possono essere chiesti al contribuente documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, dovendo tali documenti ed informazioni essere acquisiti ai sensi dell’art. 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990 n. 241, costituisce espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario, e presuppone che la documentazione sia già sicuramente in possesso dell’Amministrazione finanziaria o che, comunque, il contribuente ne dichiari e provi l’avvenuta trasmissione all’amministrazione stessa.” (Cass. Sez. trib. 21.01.2015 n. 958). Ritiene pertanto questa Corte che la tesi di una presunta “impossibilità materiale” dell’ente locale di delibare e provvedere sull’istanza di rimborso non abbia un fondamento giuridico sufficientemente solido.
9. V’è, infine, di che riflettere sulla compatibilità dei principi invocati dalla resistente Provincia con l’ordinamento nazionale così come integrato con quello eurounitario. Occorre infatti tener conto del monito delle Sezioni Unite “ad operare, con convinzione, la necessaria saldatura tra ordinamenti, sovranazionale e interno, che è la cifra, anche culturale, attraverso la quale rendere concretamente operante il principio di effettività della tutela nella sua duplice declinazione, presente nelle pieghe della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, negativa (volta a superare gli ostacoli che, in ambito nazionale, si frappongono alla piena realizzazioni delle libertà e dei diritti riconosciuti dall’Unione) e pro – attiva (diretta ad individuare le misure e i rimedi idonei alla piena espansione della tutela di quelle libertà e di quei diritti)” (Cass. Sez. Un. 06.04.2023 n. 9479).
10. Ritiene pertanto questa Corte che le questioni di diritto controverse sin qui esposte siano necessarie alla definizione del presente giudizio; siano altresì di problematica interpretazione alla luce di un persistente contrasto nella giurisprudenza di merito, di cui si è cercato di dare contezza nei paragrafi che precedono; e siano suscettibili di porsi in numerosi giudizi in ragione della natura seriale del relativo contenzioso.
Sussistendo pertanto le condizioni di cui all’art. 363-bis, nn.1, 2, 3, c.p.c., si chiede voglia la Corte di Cassazione enunciare, nell’esercizio della funzione nomofilattica tanto più opportuna nel caso di specie, il principio di diritto cui attenersi nella risoluzione delle seguenti questioni:
a) “Voglia l’On. Corte adita chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui la specialità della materia tributaria consenta, in deroga ai principi civilistici in tema di ripetizione dell’indebito, che l’istanza di rimborso dell’accisa vada sottoposta sempre e comunque all’ Amministrazione centrale dello Stato in persona dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ancorché le somme oggetto di ripetizione siano state versate a suo tempo direttamente all’Ente locale ai sensi dell’abrogato art. 6 D.L. 511/1988”;
b) “Voglia l’On. Corte adita chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui il combinato disposto degli artt. 1 e 14 D.Lgs. 504/1995 e dell’art. 63 D.Lgs. 300/1999, anche alla luce di quanto disposto da C. Cost. 52/2013, varrebbe ad attrarre l’istituto del rimborso dell’accisa alla competenza esclusiva dell’Amministrazione centrale dello Stato, in persona dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con aggravio procedimentale per il privato istante e con conseguente ritardo nel rimborso;”
c) “Voglia l’On. Corte adita chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui la specialità della materia tributaria consenta, in deroga ai principi di cui alla L. 241/1990, che l’Ente locale destinatario dell’istanza di rimborso dell’accisa non provveda ad acquisire, in sede istruttoria, tutte le informazioni agevolmente richiedibili al privato istante e/o alle altre amministrazioni che ne siano in possesso, determinando con il proprio rigetto la competenza dell’Amministrazione centrale”;
d) “Voglia l’On. Corte adita chiarire se sia conforme all’ordinamento nazionale ed eurounitario l’interpretazione secondo cui la specialità della materia tributaria consenta che il privato non possa invocare gli effetti favorevoli conseguenti al giudicato civile, e segnatamente quelli derivanti dall’efficacia esecutiva della sentenza, ancorché resa in un procedimento nel quale non fosse parte l’Amministrazione, laddove l’istanza nei confronti dell’Amministrazione assuma come proprio presupposto proprio l’autorità di quel giudicato”;
e) In ogni caso, “Voglia conclusivamente l’On. Corte adita chiarire se sia la Provincia ovvero l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ad essere legittimata passiva rispetto alla richiesta del venditore-fornitore di energia elettrica di rimborso delle somme restituite al consumatore ed indebitamente versate a titolo di addizionale provinciale sulle accise, istituita con l’art. 6 D.L. n. 511 del 28.11.1988 convertito con L. n. 20 del 27.01.1989, con riferimento alle forniture di potenza non superiore a 200kw”.
P.Q.M.
Visto l’art. 363-bis c.p.c.
Dispone il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione per la risoluzione delle questioni di diritto di cui in motivazione;
Dispone l’immediata trasmissione del presente provvedimento alla Corte di Cassazione.
Si comunichi.
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