Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, sezione n. 18, sentenza n. 12993 depositata il 21 novembre 2022
In tema di notifica dell’avviso di accertamento, l’uso di un indirizzo di posta elettronica certificata non presente nel pubblico registro IPA non può costituire motivo di inesistenza della notificazione, ma solo di nullità
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La s. s. r. l. U. S. P. 1919 ha impugnato la intimazione di pagamento di complessivi euro 424.687,00, notificatale a seguito degli accertamenti TK 7033003702/2018, TK 7063003746/2018 e TK 7063002843/2019.
A sostegno del ricorso ha dedotto cinque motivi, la cui fondatezza è stata contestata dall’Agenzia delle Entrate mediante controdeduzioni con le quali ha concluso per il rigetto del ricorso e il rimborso delle spese di lite.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 17 novembre 2022. Così riassunto il processo, osserva il Collegio che con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la nullità della notificazione in quanto eseguita dall’Agenzia delle Entrate Riscossione utilizzando l’indirizzo noreplay.lazio.ipol@agenziariscossione.gov.it non presente nel pubblico registro IPA.
Il motivo non può essere accolto, perché alla luce di quanto stabilito da C. cass. SU 2016/14916, questa Sezione della CTP ha già in più occasioni affermato che la utilizzazione, per l’invio di pec, di un indirizzo non risultante dai pubblici elenchi, non può costituire motivo d’inesistenza della notificazione, ma tutt’al più di nullità, che in base ai principi viene sanata dall’avvenuto raggiungimento dello scopo dell’atto.
Con sentenza 2022/15979 le Sezioni Unite si sono poi spinte ancora più avanti, statuendo che l’utilizzo di un indirizzo non compreso nei pubblici elenchi non è neppure causa di nullità qualora la notificazione abbia comunque permesso al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese senza nessuna incertezza sulla provenienza e l’oggetto dell’atto.
Tanto premesso e tornando al caso concreto, rimane unicamente da ricordare che l’indirizzo utilizzato dall’AdER conteneva la espressa indicazione della denominazione della notificante.
Tenuto conto di quanto sopra ed avuto altresì riguardo all’inequivoco tenore dell’atto notificato, pare da escludere che l’impiego dell’indirizzo sopra riportato possa aver provocato una ragionevole incertezza della US P. che, in ogni caso, ha proposto tempestiva ed articolata impugnazione, sanando così ogni eventuale irregolarità.
Con il secondo motivo la ricorrente ha lamentato la mancanza di adeguato dettaglio circa le modalità di calcolo degli interessi.
Neppure tale doglianza può essere condivisa, dovendosi al riguardo innanzitutto ricordare che l‘intimazione di pagamento ha un carattere vincolato, in quanto deve essere redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministro dell’Economia.
Partendo da tale presupposto, C. cass. 2018/28689 ha pertanto affermato che ai fini della sua motivazione, è sufficiente che la stessa faccia riferimento all’atto impositivo a monte.
Con sentenza n. 2022/22281 le Sezioni Unite civili hanno poi affermato che qualora quest’ultimo abbia già determinato, come nel caso in esame, il quantum dell’imposta e dei relativi accessori, l’obbligo motivazionale relativamente agli interessi è soddisfatto attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo ulteriormente maturato nel frattempo.
E ciò senza considerare che il calcolo degli interessi si risolve, comunque, in una mera operazione matematica compiutamente regolata, quanto a decorrenza ed ammontare, dalla normativa di settore (v. in proposito, anche C. cass. 2019/6812 e 2021/31000), che può essere anche implicitamente desunta dalla tipologia e dalla natura degli interessi stessi (C. cass. SU2022/22281 ).
Nel caso di specie, l’intimazione impugnata menziona gli atti di accertamento a monte, distingue separatamente gli interessi dalla sorte e ne indica la base normativa.
Deve, quindi, ritenersi che la US P. 1919 non possa dolersi di nulla in quanto posta nella condizione di controllare l’esattezza dei conteggi e fame valere gli eventuali errori (neppure adombrati dalla ricorrente).
Con il terzo motivo, la ricorrente ha lamentato la mancata specificazione, nell’intimazione, dei tempi e dei modi con cui presentare ricorso e dell’autorità cui indirizzarlo.
Neanche tale doglianza è fondata, avendo la Suprema Corte chiarito che l’omissione di tali indicazioni non determina ex se l’invalidità dell’atto, potendo tutt’al più dare luogo ad un errore scusabile (C. cass. 2020/1740) che, nella specie, non vi è neppure stato, avendo la US P. 1919 proposto rituale ricorso nei termini.
Con il quarto motivo la ricorrente ha sostenuto la nullità dell’intimazione per mancata preventiva comunicazione della presa in carico, da parte dell’agente della riscossione, delle somme portate dagli accertamenti esecutivi sopra indicati.
Nemmeno tale doglianza può essere condivisa.
Ed invero, la comunicazione di presa in carico costituisce un mero adempimento informativo previsto dall’art. 29 del DL n. 78/2010 (e succ. mod.) che per l’ipotesi della sua omissione non contiene alcuna comminatoria d’improcedibilità della riscossione o di nullità dell’intimazione, che anche senza di essa ha potuto ugualmente raggiungere lo scopo assegnatole dal sistema.
Con il quinto motivo la ricorrente ha sostenuto che la sanzione irrogata con l’accertamento TK7063003746 doveva essere contenuta in euro 63.980,00 per effetto della normativa sopravvenuta che ne aveva diminuito la misura.
L’Agenzia ha replicato sostenendo che l’accertamento in questione non era stato impugnato e che la sanzione con esso applicata era divenuta, perciò, definitiva.
Non avendo l’US P. 1919 provato né affermato il contrario (se non con memoria tardiva) anche il quinto motivo del ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 9.000,00 per compensi.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la s.s. r.l. U.S. P. 1919 al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 9.000,00 per compensi.
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