Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Friuli Venezia – Giulia, sezione 1, sentenza n. 199 depositata il 12 settembre 2022
L’attività didattica, finalizzata all’adempimento di scopi sociali e erogata attraverso modalità di esercizio dell’attività non commerciali, beneficia dell’esenzione dell’assoggettamento a IMU dell’immobile che la ospita
Con sentenza della CTP di Trieste n. 226/2018 del 26.6.2018, depositata il 12.9.2018 veniva rigettato il ricorso proposto da aaaaa, avverso l’avviso di accertamento n. 3284489/2015 dd 18.12.2015 notificato il 23.12.2015 con il quale il Comune di Trieste, aveva accertato in Euro 5.342,00 l’imposta dovuta oltre sanzioni e interessi per l’ICI relativa agli anni 2010/2011 per un totale di Euro 14.667,00 sul fabbricato sito in Trieste, Via bbbbb ,destinato a svolgimento dell’attività didattica di scuola dell’infanzia denominata ” ccccc”.
La C.T.P. aveva ritenuto che la gestione di scuola dell’infanzia parificata comportava, nel caso di specie, il pagamento di rette scolastiche rivelatrici dell’esercizio di attività con modalità commerciali essendo irrilevante lo scopo di lucro e potendo escludersi il carattere imprenditoriale solo quando l’attività fosse stata svolta in modo del tutto gratuito.
Ciò comportava che la ricorrente non poteva chiedere l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1 lett. i) Dlgs 504/1992 anche in considerazione del fatto che i ricavi per le rette pagate dagli alunni ammontavano a cifre non meramente simboliche (110.714,50 per il 2010 e 114.375 per il 2011) e non vi era certezza sul fatto che la superficie dell’immobile fosse destinata anche ad attività di culto e residenza delle religiose.
Avverso tale sentenza proponeva appello aaaaa lamentando che erroneamente la C.T.P. di Trieste:
1) aveva ritenuto irrilevante la costituzione tardiva del resistente Comune;
2) aveva di fatto negato il diritto del contribuente al contraddittorio e la sua effettiva difesa sottovalutando che l’atto impugnato non era stato preceduto da notifica del processo verbale di contestazione a garanzia di una effettiva tutela del contribuente come da giurisprudenza comunitaria (sentenza Texdata causa C-418/11 e Kamina causa C-129/2013);
3) aveva emesso una motivazione solo apparente non avendo specificato i presupposti di fatto in virtù dei quali erano state determinate le somme liquidate né i presupposti di diritto sui quali si fondava la pretesa dell’atto impositivo;
4) aveva consentito la illegittima integrazione della motivazione dell’atto impugnato da parte del Comune di Trieste, in sede di controdeduzioni, nonostante la tardiva costituzione di quest’ultimo;
5) aveva negato la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 7 co 1 lett. i) Dlgs n. 504/1992;
6) aveva negato l’applicabilità del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c.;
7) aveva dichiarato erroneamente la legittimità delle sanzioni inflitte pur in presenza di una prassi del Comune di Trieste che mai sino al 2015 aveva contestato la debenza dell’imposta de qua.
Si è costituito in giudizio il Comune di Trieste contestando in fatto e in diritto le argomentazioni avversarie.
L’appello proposto deve essere accolto e gli avvisi di accertamento per cui è causa devono essere annullati.
La presente causa può essere decisa secondo il c.d. criterio della ragione più liquida focalizzando l’attenzione sulla questione principale e cioè se rientri o meno nell’esenzione di cui all’art. 7 co 1 lett. i) Dlgs n. 504/92 l’esercizio di attività didattica da parte di scuola materna paritetica che riceve sovvenzioni pubbliche.
In sostanza deve chiedersi se l’attività didattica in concreto esercitata rientri o meno nel concetto di attività esercitata con modalità commerciali e quindi non sia esente dall’imposta in quanto non ricadente nella esenzione.
Nel caso di specie l’attività didattica era finanziata dal Comune, dalla Regione, dal MIUR; le rette pagate dagli alunni erano simboliche (125,00 Euro nell’anno scolastico 2009/2010; 130,00 Euro nell’anno scolastico 2010/2011).
Tali rette, alla luce delle sovvenzioni pubbliche ricevute dall’Istituto Religioso, costituivano un contributo alle spese non solo didattiche ma anche di refezione scolastica (e quindi incidenti per una parte non indifferente sulla gestione). Ciò significa che il contributo apparentemente elevato, in realtà copriva soprattutto la refezione scolastica e diveniva di fatto simbolico in quanto non coprente, unitamente alle sovvenzioni pubbliche, i costi effettivi di gestione.
Dall’esame dei bilanci si evince altresì che l’attività non era in pareggio essendo in perdita nonostante le sovvenzioni statali e il contributo spese costituito dalle rette suddette.
La circostanza che l’Istituto religioso de quo non ha natura societaria né commerciale, la gestione in perdita, la circostanza che l’immobile è di fatto adibito principalmente a residenza delle religiose ed ad attività di culto – come noto nella città di Trieste -, la mancanza di discriminazione di qualsiasi tipo nell’accesso alla scuola da parte degli alunni, la richiesta di rette simboliche in relazione al complessivo servizio prestato (soprattutto la refezione scolastica) tali da coprire solo una parte del costo effettivo, evidenziano che l’attività di esercizio della scuola materna paritetica aveva finalità di adempimento di scopi sociali e che quindi le modalità di esercizio di tale attività erano non commerciali e come tali ricadenti nella esenzione prevista per legge.
La particolarità della vicenda processuale giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
in riforma della sentenza di primo grado accoglie l’appello della contribuente e per l’effetto, annulla gli avvisi di accertamento di cui è causa.
Compensa tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi.