Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, sezione n. 8, sentenza n. 2060 depositata l’ 11 aprile 2023
Accertamento – Omesso versamento -Sanzioni – Ritardi nei pagamenti da parte dei principali clienti versanti in procedure concorsuali – Causa di forza maggiore – Non sussiste.
Massima:
Non è configurabile la “forza maggiore”, pur affermando la società di aver preferito privilegiare il pagamento degli stipendi dei dipendenti e assicurare così la continuità aziendale, quale causa di inadempimento dell’obbligazione tributaria e conseguente pretesa di far derivare tout court lo stato di insolvenza dai ritardi nel pagamento dei propri debiti dai principali committenti, nel caso in esame ATAC s.p.a. ed ALITALIA s.p.a. atteso che nulla risulta allegato o dimostrato che evidenzi i tentativi della società contribuente di fronteggiare per tempo le notorie difficoltà economiche in cui versavano le committenti. (G.T.).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società I. 2007 s.r.l. impugnava l’avviso bonario, codice atto n. 07377631812, con il quale si invitava la contribuente a versare la somma di ? 408.077,69 quale omesso versamento di Iva liquidata a debito per i mesi di Ottobre, Novembre e Dicembre 2017 oltre ad ? 40.807,77 per sanzioni ed ? 5.480,68 per interessi.
La ricorrente eccepiva tra l’altro la non debenza delle somme relative alle sanzioni pecuniarie per ? 40.807,77 e agli interessi per ? 5.480,68 poiché il mancato pagamento del debito tributario sarebbe dipeso da causa di forza maggiore, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 472/97, dovuta ai persistenti ritardi nei pagamenti da parte dei due principali clienti della società: A. s.p.a. per ? 3.313.718,95 e A. s.p.a. per ? 4.056.846,43.
La CTP rigettava il ricorso con sentenza n. 2031/10/19.
Osservava la decisione che «[ ] Nel caso in esame la società ricorrente impugna l’avviso bonario sostenendo che l’omesso versamento delle imposte non è dipeso da un comportamento riconducibile alla sfera della volontarietà del comportamento omissivo del ricorrente ma da cause di forza maggiore dovuta a fattori esterni, rappresentati dal mancato pagamento di crediti da parte di due clienti primari per servizi resi la A. e A. La commissione, vista la documentazione versata in atti da parte ricorrente, ritiene non fondata la doglianza così come formulata poiché la causa di forza maggiore non sussiste nella formulazione sopra evidenziata. Infatti, non vi è alcuna documentazione da cui si evince che il mancato pagamento delle imposte è dovuto al mancato pagamento delle fatture emesse nei confronti delle società Atac e Alitalia e che non è stato possibile altrimenti reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie per consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie. Tra l’altro dalla lettura del bilancio dell’esercizio 2016 oltre che dal rendiconto finanziario risulta a fine esercizio, 31/12/2016, vi era una disponibilità liquida di ? 312.097 a fronte di un debito di imposta non pagato di ? 408.077. Inoltre nulla viene detto nella nota integrativa della gravità della situazione finanziaria circa l’impossibilità di ricercare le risorse necessarie al pagamento del debito di imposta e sul punto il Collegio sindacale, con funzione anche di revisione dei conti, al paragrafo “rischio di liquidità” afferma che “la società si trova nella possibilità di essere esposta al rischio di liquidità derivante dal rallentamento degli incassi dei committenti;
conseguentemente viene posta particolare attenzione alla gestione delle risorse generate o assorbite dalle attività operative al fine di garantire un ‘efficace ed efficiente gestione delle risorse finanziarie per le quali esiste un mercato liquido e che sono prontamente cedibili per soddisfare le necessità di liquidità”. Risulta pertanto che l’organo di controllo non solo non esprime allarme per la situazione finanziaria ma all’occorrenza propone anche una soluzione avveduta e percorribile. Pertanto, la Commissione rigetta il ricorso e dichiara che il mancato pagamento delle imposte non è dovuto alla invocata causa di forza maggiore ma a motivi ma a motivi che esulano l’applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 472/97».
Contro tale decisione ha proposto appello la società ricorrente.
Espone che i due principali clienti della società, A. e A., versano in procedure concorsuali (l’una in concordato preventivo, l’altra in amministrazione straordinaria), sicchè i pagamenti delle fatture emesse avvengono con grandissimo ritardo. Da tanto sarebbe derivata la crisi di liquidità che avrebbe afflitto la società appellante.
Quanto affermato, si sostiene, sarebbe ampiamente confermato dai dati di bilancio e dall’entità dei crediti ancora vantati verso detti soggetti.
A fronte di tale situazione la società avrebbe pertanto preferito privilegiare il pagamento degli stipendi dei dipendenti, assicurando così la continuità aziendale.
Evidenzia ulteriormente parte appellante che, nonostante tale crisi di liquidità, negli ultimi anni la società non si è sottratta al pagamento delle imposte e non ha alcuna iscrizione a ruolo, ma ha proceduto a rateizzare gli avvisi bonari, pagando anche sanzioni ed interessi.
Richiama a sostegno vari precedenti di merito e di legittimità.
Conclude chiedendo la riforma della sentenza n. 2031/10/19, pertanto disapplicando le sanzioni ed interessi contenuti nell’Avviso bonario n. 0073776318404 – codice atto 07377631812 – Liquidazioni periodiche (IV Trimestre: ottobre, novembre, dicembre) IVA 2017, per un ammontare complessivo di euro 46.288,45, pari esclusivamente alle sanzioni ed interessi, chiedendo, altresì, che venga disposta la restituzione delle somme versate nelle more a titolo di sanzioni ed interessi. Il tutto con vittoria di spese, onorari e competenze di causa.
Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale I di Roma.
L’Ufficio obietta innanzi tutto che gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo ex art. 20 D.P.R. n. 633/72 sono comunque insuscettibili di annullamento, in quanto nessuna norma prevede la loro falcidia, pur laddove si riconoscesse sussistere causa di forza maggiore, a differenza che per le sanzioni, in relazione alle quali viene in rilievo l’art. 6, comma 5, D.lgs. n. 472/1997. Tra l’altro, si prosegue, stante il carattere necessariamente accessorio degli interessi dovuti ex art. 20 D.P.R. n. 602/73, sarebbe illogico ritenere non dovuti gli stessi quando il debito d’imposta (IVA) non è contestato.
Nel merito parte appellata ritiene insussistente la causa di forza maggiore. Evidenzia che, secondo l’orientamento della S.C., la ricorrente avrebbe dovuto dar prova dell’assoluta impossibilità di procurarsi sufficienti disponibilità finanziarie, facendo ad esempio ricorso al mercato del credito (Cass. 10813/2014) o, comunque, di dimostrare il vano perseguimento di ogni strategia utile a garantire il soddisfacimento dell’obbligazione tributaria.
Richiama precedenti arresti di giurisprudenza favorevoli a tali assunti.
Conclude chiedendo il rigetto dell’appello e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio.
Nelle more il difensore della società, avv. A. C., ha rinunciato al mandato.
Si è costituito il nuovo difensore della società appellante, Avv. W. M., del Foro di Avellino, indicando il nuovo domicilio in Avellino, alla Via F. Iannaccone, n. 7, e dichiarando di voler ricevere notifiche e comunicazioni, relativamente al presente giudizio, al numero di fax: (——), ovvero all’indirizzo di posta elettronica certificata: (——).
Con ulteriore memoria parte appellante ha quindi confermato tutte le proprie precedenti conclusioni e richiamato una recente pronuncia favorevole alle proprie ragioni.
All’udienza odierna sono comparsi i rappresentanti delle parti che, dopo aver discusso la causa, hanno confermato le rispettive conclusioni. Il giudizio è stato quindi trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
L’appello di I. 2007 s.r.l. è infondato.
Deve innanzi tutto condividersi l’obiezione dell’Agenzia che nel novero della invocata disapplicazione a mente dell’art. l’art. 6, comma 5, D.lgs. n. 472/1997 non possono essere comunque ricompresi gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo ex art. 20 D.P.R. n. 633/72, in quanto nessuna norma prevede la loro falcidia, pur nel caso della riconoscibilità della causa forza maggiore, a differenza che per le sanzioni, unicamente considerate dalla predetta disposizione.
Come accessorio l’interesse segue quindi la sorte dell’obbligazione principale (imposta dovuta) che, nel caso di specie, non è oggetto di contestazione.
Quanto invece alla disapplicazione delle sanzioni, giova premettere che si trova affermato dalla S.C. che la nozione di forza maggiore comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (Cass. n. 1578/2021; nn. 24308, 21681 e 20389 del 2020; Id. nn. 8177, 8175 e 1972 del 2019, n. 3049 del 2018; n. 22153 del 2017); in tale ambito è stato ripetutamente escluso che una situazione di illiquidità o di crisi aziendale nella quale versi l’impresa possa integrare una fattispecie di forza maggiore (Cass. civ. Sez. V Ord., 22/03/2019, n. 8175, Cass. n. 7850 del 2018).
In merito agli omessi versamenti IVA, già la S.C. si è espressa in senso negativo osservando che “l’introduzione della norma penale di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale, di talché per escludere la colpevolezza non può essere invocata la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte all’esigenza predetta“. (Cass, penz Sez. Unite, 28 marzo 2013, n. 37424).
Nella specie, questa Corte non ritiene configurabile la “forza maggiore” quale causa di inadempimento dell’obbligazione tributaria.
Infatti, le ampie considerazioni dell’appellante ed i documenti contabili prodotti si risolvono comunque nella pretesa di far derivare tout court lo stato di incolpevole insolvenza dai ritardi nel pagamento dei propri debiti dai due suddetti principali committenti, A. s.p.a. ed A. s.p.a., che avrebbe prosciugato la liquidità disponibile.
Nulla tuttavia viene allegato o dimostrato che evidenzi i tentativi della società di fronteggiare per tempo, comunque essendone a conoscenza, le notorie difficoltà economiche in cui versavano A. S.p.a. e A. S.p.a., occorrendo invece la “prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”. (Cass. Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013).
L’inevitabilità delle conseguenze nefaste non può farsi derivare infatti dalla sorte dei propri principali clienti (certamente fuori da ogni controllo della società I.) ma, piuttosto, dal dimostrato esito vano delle iniziative che la società appellante avrebbe potuto per tempo adottare al fine di reperire risorse o linee di credito alternative ed in grado di fronteggiare i rischi di crisi di liquidità, già noti da tempo e che quindi non potrebbero ritenersi evento improvviso ed imprevedibile.
La società appellante non assoggetta in realtà a puntuale critica la osservazione della sentenza impugnata che evidenziava che dalla nota integrativa non si desumeva l’impossibilità di ricercare le risorse necessarie al pagamento del debito di imposta e che, inoltre, proprio il Collegio sindacale, con funzione anche di revisione dei conti, al paragrafo “rischio di liquidità” evidenziava che “la società si trova nella possibilità di essere esposta al rischio di liquidità derivante dal rallentamento degli incassi dei committenti; conseguentemente viene posta particolare attenzione alla gestione delle risorse generate o assorbite dalle attività operative al fine di garantire un ‘efficace ed efficiente gestione delle risorse finanziarie per le quali esiste un mercato liquido e che sono prontamente cedibili per soddisfare le necessità di liquidità”.
A fronte di tali osservazioni e di tali avvisi, la società appellante avrebbe dovuto dare dimostrazione che era risultato vano ogni tentativo di reperire per tempo nuove linee di credito o nuove risorse finanziarie e che comunque era stata riscontrata l’impossibilità di dare seguito all’esortazione di affrontare il possibile rischio di liquidità con una cessione a mercato delle risorse finanziarie, ritenute dal Collegio sindacale “prontamente cedibili” ed idonee a tal scopo.
In difetto di ogni concreta dimostrazione o allegazione in tal senso, il solo fatto del mancato tempestivo pagamento delle imposte a fronte di una temporanea mancanza di adeguata liquidità, essendo stata destinata quella disponibile alla continuità aziendale piuttosto che al soddisfacimento dei crediti dell’erario, non può integrare l’esimente in questione (Cass. civ. Sez. V Ord., 22 settembre 2017, n. 22153).
Da tanto consegue il rigetto dell’appello e la conferma della decisione impugnata.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Respinge l’appello. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado che si liquidano in euro 3.000,00, oltre 15 per cento spese generali.
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