Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Molise, sezione n. 1, sentenza n. 159 depositata il 12 settembre 2024
La clausola penale inserita in un contrato di locazione è soggetta alla medesima imposta di registro del contratto cui accede. La sua funzione, infatti, è inscindibilmente connessa alla causa giuridica del negozio principale, rendendone indissolubile l’unione ai fini tributari ex art. 21, comma 2, D.P.R. n. 131/1986
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di appello telematico depositato in data 31.10.2023 L’Agenzia delle Entrate di Campobasso impugnava la sentenza n. 136/3/23 emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Campobasso, in data 22.03.2023 e depositata il successivo 24/03/2023, con la quale, in accoglimento del ricorso proposto da Resistente1, aveva annullato l’avviso liquidazione n. XXXXXX REGISTRO 2020.
A sostegno dell’appello l’Ufficio eccepiva la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, comma 1, del DPR n. 131/86 (error in iudicando) in quanto i giudici di prima istanza avevano, a suo dire erroneamente, ritenuto che il negozio stipulato tra il Resistente1 e la società Soggetto1 si configurava quale negozio complesso e come tale assoggettabile ad unitaria tassazione stante la concatenazione di carattere obbiettivo e causale tra la locazione e la clausola penale prevista per il potenziale inadempimento nella riconsegna del bene locato.
In proposito l’appellante, riproducendo sostanzialmente le argomentazioni già esposte nel giudizio di I grado, sosteneva la natura autonoma della clausola penale tenuto conto della struttura e funzione della stessa correlata al verificarsi di un evento futuro ed esterno al
contratto ovvero l’inadempimento o inesatto adempimento contrattuale. A tal fine, l’ente finanziario citava alcune pronunce della Corte di legittimità secondo le quali, la clausola di cui all’art. 1382 cod.civ. avrebbe una causa distinta da quella del contratto cui afferisce, aggiungendo inoltre che solo un collegamento ontologico tra negozi che si istituisce in conseguenza di una oggettiva interconnessione tra gli stessi (che non sia originata dalla volontà delle parti), varrebbe ad escludere l’applicabilità del primo comma del citato art. 21.
Con ulteriore motivo di appello lamentava inoltre che la sanzione irrogata era comprensiva anche di quella per tardiva registrazione del contratto e quindi impropriamente era stata ritenuta assorbita dai giudici di I grado.
Nel costituirsi in giudizio il Resistente1 eccepiva l’infondatezza e la pretestuosità dei motivi addotti a sostegno dell’appello di cui chiedeva il rigetto con conseguenziale conferma dell’impugnata decisione che sosteneva essere idoneamente e convincentemente motivata.
All’odierna pubblica udienza le parti venivano ammesse alla discussione orale e, all’esito, sulle conclusioni rassegnate a verbale, l’appello veniva posto in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva la Corte che l’art. 21, comma 1 del DPR n. 131/1986 prevede al primo comma che “Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto”. Il comma successivo prevede: “Se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa”.
Nell’interpretazione di tale norma la giurisprudenza di legittimità (soprattutto con riferimento al trattamento da attribuire alla clausola penale) ha mantenuto un atteggiamento ondivago e soltanto di recente con numerose decisioni (Cass nn. 30983, 30989, 31027, 31145) ha assunto un orientamento ormai consolidato nel senso di ritenere che tale clausola, quanto all’imposta di registro, non è assoggettabile ad autonoma imposizione fiscale
Ciò posto la Cassazione ha rilevato come la clausola penale abbia una funzione non tanto punitiva quanto di risarcimento forfettario del danno, intesa quindi a rinsaldare il vincolo contrattuale e a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti in caso di inadempimento. Ciò indipendentemente dalla prova del pregiudizio e della sua entità. Proprio perché la clausola penale ha lo scopo di sostenere il tempestivo adempimento delle obbligazioni principali, la stessa non può avere una causa propria e distinta ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca di quella del contratto nel quale è contenuta.
Le clausole penali, del resto, non possono sopravvivere autonomamente rispetto al contratto con la conseguenza che alle stesse deve applicarsi la disciplina generale dell’oggetto del contratto (Cass. n. 21713/2020), trovando fonte e radice nella medesima causa dell’accordo, rispetto al quale hanno una funzione ancillare. Le prestazioni indicate nella clausola penale sono perciò riconducibili ad un unico rapporto, caratterizzato dalla medesima causa.
In definitiva, la Cassazione – cambiando orientamento rispetto al precedente giurisprudenziale – ha affermato il seguente principio di diritto: “ai fini di cui all’art. 21 DPR n. 131/1986, la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell’imposizione della disposizione più onerosa prevista dal secondo comma della norma citata”.
Ritiene questa Corte che tale orientamento giurisprudenziale (cui peraltro già si erano attenuti i giudici di prima istanza) sia pienamente condivisibile e aderente alle finalità che il legislatore intendeva conseguire con l’adozione di tale norma che era quello di evitare eventuali frodi fiscali attraverso l’espediente di presentare alla registrazione un unico documento contenente però negozi giuridici con cause eterogenee.
L’ulteriore motivo di appello va anch’esso rigettato in quanto il contribuente ha idoneamente documentato di aver versato, in ravvedimento operoso, l’importo della sanzione irrogata per la tardiva registrazione.
L’appello va pertanto rigettato “in toto” e, per l’effetto, confermata l’impugnata decisione.
Si ritiene di giustizia compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio tenuto conto della circostanza che vi è stata in giurisprudenza un’obiettiva disparità di interpretazione delle norme in materia per cui si possono ravvisare quelle gravi ragioni che, in conformità con quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77 del 19 aprile 2018, giustificano tale decisione.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata decisione. Spese di entrambe i gradi di giudizio interamente compensate.