Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, sezione n. 2, sentenza n. 287 depositata il 10 giugno 2024
In base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provare il diritto ad ottenere un credito di imposta grava sul contribuente che intende farlo valere
Indebito utilizzo di un credito d’imposta – Spese sostenute per l’attività di cd. “Formazione 4.0
Massima:
Ai fini del riconoscimento del credito di imposta previsto dall’art. 1 della L. 27.12.2017 n. 205, sono ammissibili solo le attività di formazione svolte per acquisire o consolidare le conoscenze delle tecnologie previste dal Piano nazionale Industria 4.0. La società deve dare prova dettagliata dell’effettiva esecuzione di tutti i corsi di formazione e la riconducibilità di quei corsi a quelli ritenuti ammissibili. Necessita l’effettivo sostenimento delle spese e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall’impresa, risultante da apposita certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti; la conservazione di una relazione che illustri le modalità organizzative e i contenuti delle attività di formazione svolte; devono essere conservati i registri nominativi di svolgimento delle attività formative sottoscritti congiuntamente dal personale discente e docente o dal soggetto formatore esterno all’impresa; i dati relativi al numero di ore e dei lavoratori che prendono parte alla formazione vanno indicati nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento delle spese ammissibili e in quello dei periodi successivi fino a quando se ne conclude l’utilizzo. Qualora la documentazione prodotta dalla Contribuente presenta numerose incongruenze, tali da avvalorare la inidoneità o addirittura l’inesistenza delle prestazioni, non è possibile riconoscere il credito d’imposta.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con apposito ricorso, la F.lli D S.r.l., svolgente l’attività di macellazione e lavorazione di carne bovina, impugnava, avanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Cuneo, un atto di recupero (per l’importo di € 97.360,00), riferito all’anno di imposta 2020, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’indebito utilizzo di un credito di imposta riferito a spese sostenute per l’attività di cd. “Formazione 4.0” a favore dei dipendenti, determinate dallo svolgimento di un’opera di formazione dei dipendenti, svolta avvalendosi di prestazioni professionali della società P e C A S.r.l., con sede in Roma, prestazioni che l’Ufficio riteneva inesistenti sulla scorta delle risultanze di un PVC redatto dai funzionari operanti. L’Agenzia aveva altresì applicato una sanzione pari al 100 % dell’importo recuperato.
2. A sostegno dell’impugnazione, la contribuente eccepiva anzitutto il difetto di motivazione dell’atto di recupero circa la ritenuta inesistenza del credito di imposta in questione. Nel merito, sosteneva l’effettiva esecuzione di tutti i corsi di formazione in questione e la riconducibilità di quei corsi a quelli ritenuti ammissibili secondo quanto previsto dal Piano Nazionale Impresa 4.0.
Chiedeva, quindi, l’annullamento dell’atto impugnato in questa sede.
In subordine, contestava la misura della sanzione applicata (sul presupposto dell’inesistenza del credito), dovendosi, a suo dire, comunque rideterminare la stessa in ragione della semplice “non spettanza” del diritto.
3. Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Cuneo, ribadendo la legittimità del proprio operato, posto che le prestazioni asseritamente svolte apparivano del tutto incongrue rispetto all’attività della contribuente e si erano risolte in attività sostanzialmente inutili per migliorare la produttività aziendale. Chiedeva, quindi, il rigetto del ricorso.
4. La Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Cuneo, dopo avere sospeso, su richiesta del ricorrente, l’esecuzione dell’atto impugnato, respingeva nel merito il ricorso, rilevando che la contribuente non aveva fornito prova sufficiente dell’effettiva sussistenza del credito di imposta vantato.
5. Avverso tale decisione, proponeva tempestivo appello la contribuente, censurando la decisione di prime cure laddove non aveva accolto i motivi di doglianza già formulati, che venivano integralmente ribaditi.
Chiedeva, quindi, la riforma della decisione di primo grado, con richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata e dell’atto impugnato, evidenziando, da un lato, l’elevata entità delle somme dovute e, dall’altro lato, il contenuto utile maturato dalla contribuente nel 2022 e la modestia del saldo di un conto corrente della società alla data del 30.11.2023).
6. In data 13.5.2024, si costituiva in grado di appello l’Ufficio, affermando la correttezza della sentenza di primo grado e ribadendo comunque le difese già assunte ed, in particolare, l’insufficiente prova fornita dalla contribuente (su cui gravava l’onere probatorio) dell’effettività di lezioni, seguite da ciascuno dei dipendenti della convenuta, su tematiche conformi a quelle previste dalla legge per poter usufruire del credito di imposta.
Confermava, inoltre, la corretta motivazione dell’atto impugnato. Instava, quindi, per la conferma della decisione di prime cure.
Si opponeva altresì alla richiesta cautelare della controparte, evidenziando l’assenza di prova sia del requisito del fumus boni iuris, sia di quello del periculum in mora.
7. Con memoria datata 28.5.2024, la difesa della contribuente evidenziava il difetto di motivazione della decisione di prime cure in merito all’eccepita insussistenza dei presupposti applicativi dell’ art. 13, comma 5, D.Lgs. 471 del 1997 e, per il resto ribadiva le argomentazioni già svolte, anche con riguardo l’onere probatorio gravante sulla contribuente.
In merito all’istanza di sospensione, confermava le ragioni a sostegno della stessa, evidenziando che il saldo a credito del conto corrente era pari ad € 114.299,67.
8. All’udienza del 5.6.2024, fissata per la decisione sull’istanza cautelare, la Corte ha invitato le parti a prendere posizione in merito alla possibilità dell’emissione di una sentenza ex art. 47-ter D. Lgs. 564/92 e, non essendo stata sollevata alcuna opposizione, ha pronunciato la presente sentenza, dando immediata lettura del dispositivo alle parti presenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Ai fini della decisione, occorre in primo luogo evidenziare la totale infondatezza del primo motivo di appello avanzato dalla contribuente, in ordine al difetto di motivazione dell’atto impositivo.
Infatti, anzitutto è doveroso rilevare che la mancata allegazione, all’atto di cui si discute in questa sede, di tutti i documenti richiamati nella motivazione non è affatto è idonea a comportare la nullità del recupero qui in questione. Si deve infatti ricordare che l’invocato disposto dell’ art. 16 D.lgs. 472/97 statuisce espressamente, al comma 2, che: “Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. Sul punto, poi, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che: “L’ art. 7, comma 1, della l. n. 212 del 2000 , che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche “per relationem”, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento.” ( Cass. 11.4.2017 n. 9323 ).
Orbene, nel caso di specie, non si può fare a meno di rilevare che le argomentazioni motivazionali esposte nell’atto qui impugnato danno pienamente conto del contenuto essenziale della verifica posta alla base delle conclusioni raggiunte dall’Ufficio, con conseguente esclusione di qualsivoglia pregiudizio per il diritto di difesa della contribuente.
A ciò si aggiunga che la semplice lettura dell’atto impositivo appalesa chiaramente il titolo dell’operato recupero di imposta, dichiaratamente fondato sul fatto che, nel caso concreto, “si è in presenza dell’utilizzo in compensazione di un credito di imposta inesistente per attività di Formazione 4.0 di cui all’art. 1, commi 46-56 Legge 205/2017 e all’art. 1 commi 78 -81 Legge 145/2018 e successive modificazioni” (come testualmente si legge nella motivazione dell’avviso).
Tale indicazione risulta tutt’altro che ambigua, poiché accompagnata anche dall’espresso richiamo all’ art. 13, comma 5, D. Lgs. 18.12.1997 n. 471 , il quale statuisce testualmente che: “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3 , e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 . Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , e all’ articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 “.
Nel medesimo documento, inoltre, sono state anche dettagliatamente specificate le ragioni in forza delle quali detto credito di imposta è stato ritenuto inesistente, rilevando, in particolare, la carente indicazione e dimostrazione di una durata e natura dei corsi di formazione, idonea a renderli suscettibili di essere ricompresi nella normativa agevolativa di cui si tratta.
Siffatte indicazioni erano sicuramente sufficienti per assicurare al contribuente la conoscenza dell’esatta natura degli addebiti contestati e, conseguentemente, a consentirgli di esporre tutte le argomentazioni difensive che, in effetti, la F.lli D S.r.l. ha ritenuto di sottoporre concretamente al giudizio di questa Corte.
Dunque, non è ravvisabile alcun vizio di motivazione dell’atto impugnato.
E’ bensì vero che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che: “In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, è applicabile la sanzione di cui all’ art. 27, comma 18, d.l. n. 185 del 2008 , vigente ratione temporis, ovvero, se più favorevole, quella prevista dall’ art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’ art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997 , come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’ art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972 ; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano le sanzioni previste dall’ art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 ovvero dall’ art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997 come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 qualora ratione temporis applicabile.” ( Cass. 11.12.2023 n. 34452 ).
Tuttavia, il richiamo operato dalla contribuente alla fattispecie del credito “non spettante” risulta del tutto fuori luogo, poiché, nel caso in esame, le conclusioni assunte dall’Ufficio non si sono affatto fondate su un semplice controllo formale delle dichiarazioni (ai sensi degli artt. 36-bis o 36-ter DPR 600/73 ), bensì su un’approfondita valutazione della documentazione posta dalla contribuente a sostegno della sussistenza dell’attività giustificatrice del credito di imposta in questione (riportato in dichiarazione) e sugli accertamenti compiuti in merito alla concreta situazione di fatto sottostante, anche riferita all’azienda fornitrice dell’attività formativa.
2. Chiarito quanto precede e passando ad esaminare il merito della controversia, in relazione alla verifica della fondatezza della pretesa tributaria dell’Ufficio, è anzitutto doveroso premettere che il credito di imposta vantato dal contribuente si fonda sulla disposizione normativa di cui all’ art. 1 della L. 27.12.2017 n. 205 , il quale prevede – ai commi 46 e ss. – che:
“46. A tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano nonché dal regime contabile adottato, che effettuano spese in attività di formazione nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, è attribuito un credito d’imposta nella misura del 40 per cento delle spese relative al solo costo aziendale del personale dipendente per il periodo in cui è occupato in attività di formazione negli ambiti di cui al comma 48.
47. Il credito d’imposta di cui al comma 46 è riconosciuto, fino ad un importo massimo annuale di euro 300.000 per ciascun beneficiario, per le attività di formazione, negli ambiti richiamati al comma 48, pattuite attraverso contratti collettivi aziendali o territoriali.
48. Sono ammissibili al credito d’imposta solo le attività di formazione svolte per acquisire o consolidare le conoscenze delle tecnologie previste dal Piano nazionale Industria 4.0 quali big data e analisi dei dati, cloud e fog computing, cyber security, sistemi cyber-fisici, prototipazione rapida, sistemi di visualizzazione e realtà aumentata, robotica avanzata e collaborativa, interfaccia uomo macchina, manifattura additiva, internet delle cose e delle macchine e integrazione digitale dei processi aziendali, applicate negli ambiti elencati nell’allegato A.
49. Non si considerano attività di formazione ammissibili la formazione ordinaria o periodica organizzata dall’impresa per conformarsi alla normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, di protezione dell’ambiente e ad ogni altra normativa obbligatoria in materia di formazione.”
Giova altresì aggiungere che il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico datato 4.5.2018, a proposito di detto credito di imposta, precisa poi, all’art. 4 (rubricato “spese ammissibili”), che:
“1. Si considerano ammissibili al credito d’imposta le sole spese relative al personale dipendente impegnato come discente nelle attività di formazione ammissibili limitatamente al costo aziendale riferito rispettivamente alle ore o alle giornate di formazione. Per costo aziendale si assume la retribuzione al lordo di ritenute e contributi previdenziali e assistenziali, comprensiva dei ratei del trattamento di fine rapporto, delle mensilità aggiuntive, delle ferie e dei permessi, maturati in relazione alle ore o alle giornate di formazione svolte nel corso del periodo d’imposta agevolabile nonché delle eventuali indennità di trasferta erogate al lavoratore in caso di attività formative svolte fuori sede.
2. Si considerano ammissibili al credito d’imposta anche le spese relative al personale dipendente, ordinariamente occupato in uno degli ambiti aziendali individuati nell’ allegato A della legge n. 205 del 2017 e che partecipi in veste di docente o tutor alle attività di formazione ammissibili; in questo caso, però, le spese ammissibili, calcolate secondo i criteri indicati nel comma 1, non possono eccedere il 30 per cento della retribuzione complessiva annua spettante al dipendente.
3. Non sono ammesse altre spese diverse da quelle indicate nei commi 1 e 2 del presente articolo.”
L’art. 6 del medesimo decreto stabilisce, infine, che:
“1. Ai fini del riconoscimento del credito d’imposta, l’effettivo sostenimento delle spese ammissibili e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall’impresa devono risultare da apposita certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti.
2. Per le imprese non obbligate per legge alla revisione legale dei conti, l’apposita certificazione è rilasciata da un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale dei conti, iscritti nella sezione A del registro di cui all’ art. 8 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 . Nell’assunzione di tale incarico, il revisore legale dei conti o la società di revisione legale dei conti osservano i principi di indipendenza elaborati ai sensi dell’art. 10 del suddetto decreto e, in attesa della loro emanazione, quelli previsti dal codice etico dell’International Federation of Accountants (IFAC). Nei confronti del soggetto incaricato che incorra in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti per il rilascio della certificazione si applicano le disposizioni dell’ art. 64 del codice di procedura civile , in quanto compatibili.
3. Ai fini dei successivi controlli, le imprese beneficiarie del credito d’imposta sono tenute a conservare una relazione che illustri le modalità organizzative e i contenuti delle attività di formazione svolte. Tale relazione, nel caso di attività di formazione organizzate internamente all’impresa, deve essere predisposta a cura del dipendente partecipante alle attività in veste di docente o tutor o dal responsabile aziendale delle attività di formazione. Nel caso in cui le attività di formazione siano commissionate a soggetti esterni all’impresa, la relazione deve essere redatta e rilasciata all’impresa dal soggetto formatore esterno. Oltre alla relazione illustrativa, le imprese beneficiarie sono comunque tenute a conservare l’ulteriore documentazione contabile e amministrativa idonea a dimostrare la corretta applicazione del beneficio, anche in funzione del rispetto dei limiti e delle condizioni posti dalla disciplina comunitaria in materia. Con specifico riferimento alle spese di personale ammissibili, inoltre, devono essere conservati anche i registri nominativi di svolgimento delle attività formative sottoscritti congiuntamente dal personale discente e docente o dal soggetto formatore esterno all’impresa.
4. I dati relativi al numero di ore e dei lavoratori che prendono parte alla formazione vanno indicati nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento delle spese ammissibili e in quello dei periodi successivi fino a quando se ne conclude l’utilizzo, secondo le indicazioni che saranno fornite dall’Agenzia delle entrate nelle istruzioni di compilazione dell’apposito quadro.”
3. Il chiaro tenore delle disposizioni sopra ricordate delinea, quindi, un istituto agevolativo, che si concreta, pacificamente, in un vero e proprio credito di imposta (che la contribuente intende far valere a proprio favore), premurandosi di predisporre tutte le cautele necessarie a verificare, anche a posteriori, la sussistenza dei suoi presupposti.
Orbene, l’onere probatorio relativo alle circostanze di fatto che costituiscono il fondamento del diritto ad ottenere il credito di imposta grava – secondo le regole generali di cui all’ art. 2697 c.c. – su colui che intende farlo valere e, dunque, nel caso di specie, esclusivamente sulla contribuente, attuale appellante.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, da invero tempo, ha avuto modo di precisare che: “In tema di agevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione.” ( Cass. 4.10.2017 n. 23228 ).
Dunque, diversamente da quanto ritenuto dalla difesa dell’appellante (sulla scorta di una imprecisione terminologica utilizzata dal giudice di prime cure), non si è verificata alcuna inversione dell’onere probatorio, appalesandosi del tutto improprio il richiamo operato dal difensore della contribuente il disposto del novellato art. 7, comma 5bis, D.Lgs 546 del 1992 , che si limita a fare applicazione della norma codicistica generale pocanzi citata.
Chiarito quanto precede, appare evidente che appaiono del tutto infondate le deduzioni della contribuente in merito al fatto che, a suo dire, risulterebbero tardive (e come tali inammissibili) le notazioni svolte in giudizio dall’Ufficio in merito all’inidoneità della documentazione presentata dalla contribuente a sostegno delle proprie pretese. Infatti, diversamente da quanto opinato dalla contribuente, a fronte dell’onere probatorio gravante sulla D S.r.l. l’Ufficio non è soggetto ad alcuna preclusione processuale nel prospettare argomentazioni difensive riferite all’inidoneità probatoria dei documenti invocati dalla contribuente a sostegno delle proprie pretese.
4. Così delineato il quadro in cui si deve muovere questo giudicante, non si può fare a meno di rilevare che la D S.r.l. non ha fornito prova sufficiente del diritto ad avvalersi del credito di imposta in questione.
La documentazione prodotta dalla contribuente appalesa, infatti, numerose incongruenze, tali da appalesare la totale inidoneità della stessa a dimostrare la sussistenza del credito di imposta.
Una prima evidente anomalia risulta fin dal contenuto del “mandato per la fornitura di consulenza relativa alla formazione del personale dipendente nel settore delle tecnologia previste dal Piano Nazionale Industria Formazione 4.0” (all. 1 al ricorso introduttivo), conferito dalla contribuente alla “P e C A S.r.l.” con sede in Roma, ove il compenso di quella prestazione – che non si sa in cosa si sia concretata (né, peraltro è emerso come si sia sviluppata in concreto l’esecuzione di tale consulenza) – è stato stranamente commisurato, non alla prestazione eseguita, bensì ad una percentuale (assai consistente) sugli effetti fiscali dell’operazione, precisamente “il 30% oltre IVA del credito di imposta, formazione 4.0, rendicontato ed attestato dal revisore legale” (peraltro da cedersi “pro soluto” ad un istituto bancario, così da consentire subito la monetizzazione di quanto previsto), e, cioè, in termini assolutamente certamente anomali rispetto ad un’ordinaria prassi commerciale.
Ulteriore incongruenza è rinvenibile nel fatto che il “Piano formativo e Relazione illustrativa delle modalità organizzative e dei contenuti dell’attività di formazione” prodotto in giudizio – che avrebbe dovuto evidentemente essere nelle disponibilità della contribuente prima dell’inizio dei corsi previsti per la formazione del personale (onde consentire l’organizzazione degli stessi) – risulta privo di data e non riporta altra indicazione temporale se non quella del 19.4.2022 (cfr. in alto a sinistra della pagina iniziale) abbondantemente posteriore all’asserita tenuta dei corsi di cui si tratta (risalenti al 2020).
Peraltro, anche il contenuto del suddetto piano formativo risulta totalmente generico in merito ai contenuti delle attività formative da porre in essere ed, anzi, si appalesa piuttosto come un rendiconto contenente unicamente dati numerici delle prestazioni asseritamente operate a beneficio dei discenti, al fine di consentire la realizzazione del credito di imposta di cui si tratta.
Infatti, nel “Piano formativo” di cui si è detto, è stato unicamente precisato, nelle conclusioni, che:
“La formazione 4.0_2020 è stata svolta “internamente”, supportata dalla S P e c Italia S.r.l. e con l’utilizzo di un portale “formazione” per le SLIDE dei corsi e del materiale didattico.
Le spese ammissibili ammontano a € 171.109,60 (h. 9.170,00 formazione per il costo medio lordo dei dipendenti/discenti pari a € 18,65971647).
Il credito di imposta ammonta a € 92.359,58. All’importo di € 92.359,58 va sommato il compenso erogato al Revisore, per l’Asseverazione del credito, pari a € 5.000,00, per un totale del credito di imposta formazione 4.0 (codice 6897) di € 97.359,58″.
Con riguardo all’attività formativa svolta, lo stesso piano formativo precisa che:
“Nel corso dell’anno 2020 l’attività formativa si è sviluppata su n. 24 percorsi formativi. I dipendenti coinvolti nella formazione, in qualità di discenti, sono stati 21. Le ore lavorative dei 21 dipendenti ammontano ad un totale complessivo di h. 32.887,50 L’attività formativa si è svolta per complessivi h. 9.170.00. il costo medio lordo dei 21 dipendenti in formazione è di € 18,65971647.
Le ore formative rappresentano il 27.883 % del totale delle ore lavorate dei 21 dipendenti in formazione (h. 32.887,50 su h. 9.170).”
Non si specificano invece in alcun modo le concrete modalità con cui doveva articolarsi il piano formativo, anche in relazione agli obiettivi di conoscenza da raggiungere.
Pure l’attestazione (cfr. allegato al ricorso introduttivo), relativa all’attività formativa svolta, si è limitata alla presa d’atto della “regolarità formale della documentazione amministrativa e contabile predisposta dalla F. lli D S.r.l…. in ordine al riconoscimento di un credito di imposta, per l’anno 2020, pari ad € 97.359,58”, come dichiarato dal rag. F i A . Tale documento attestativo, peraltro, risulta sottoscritto in Roma il 31.3.2022 e, quindi, in una data addirittura anteriore a quella riportata sul piano formativo di cui si è detto, così palesando un’ulteriore incongruenza.
Sotto il profilo contenutistico, poi, le dichiarazioni rese dai dipendenti della società D S.r.l. agli operatori verbalizzanti (testualmente riportate nel PVC agli atti) appalesano il fatto che l’attività formativa seguita dai discenti interessati, lungi dall’essere conforme a quegli obiettivi di elevata professionalità individuati dal comma 48 dell’art. 1 della L. 205/17 , si era risolta in insegnamenti informatici di base (in ordine ad ordinari applicativi, quali word, excel, access e posta elettronica) per i quali sono disponibili on line corsi totalmente gratuiti e per cui non è certo richiesta una frequenza corsistica così intensa come quella riportata nel piano a cui si è fatto cenno. La natura assai superficiale degli insegnamenti impartiti, del resto, è stata confermata anche dal contenuto delle slide rinvenute in sede di accesso (e riferiti ai corsi 2021), riportate a p. 24-25 nelle controdeduzioni dell’Ufficio in primo grado.
Il livello basilare di detto corsi rende quindi evidente come la quantità di ore indicate essere parte del programma formativo fosse assolutamente sproporzionata alle reali esigenze didattiche.
Anzi, alcuni dei corsi indicati dalla contribuente come facenti parte del programma formativo in questione avevano pure una tematica evidentemente estranea a quella individuata dalla norma di legge di cui si intende usufruire. Vengono in considerazione in proposito i corsi relativi al “Lavoro agile in regime di emergenza”, che peraltro sarebbero stati tenuti con una tempistica del tutto avulsa dalla realtà, posto che degli stessi è stata indicata una collocazione temporale risalente al gennaio 2020 e, quindi, addirittura precedente all’insorgenza degli eventi epidemiologici (notoriamente iniziati nel marzo del 2020).
Senza contare poi il fatto che l’attuale appellante è titolare di un’impresa che opera nel settore della macellazione della carne e che, dunque, i suoi dipendenti ben difficilmente potevano svolgere lavoro agile (ed, inoltre, non necessitavano certo di nozioni informatiche particolarmente approfondite, come quelle a cui è destinato il cd. Piano nazionale Industria 4.0).
Con riguardo poi al concreto espletamento dell’attività formativa, costituente il presupposto imprescindibile del credito di imposta, è doveroso evidenziare che la contribuente ha completamente omesso di fornire indicazioni in merito all’indicazione della collocazione temporale oraria di quella attività, essendosi sempre limitata a fornire soltanto un’indicazione numerica delle ore dedicate a siffatta attività formativa, così impedendo ogni possibilità di riscontro in merito alla concreta tenuta di quelle lezioni.
Giova altresì rilevare che il numero di ore indicate risulta avere un’entità tale da apparire del tutto incompatibile con l’ordinaria continuazione dell’attività aziendale, che, nondimeno, non è mai diminuita in misura significativa, pur in concomitanza con i giorni di lezione (palesando quindi anche sotto questo profilo un’evidente incongruenza).
In verità, finanche l’aspetto formale dei prospetti (prodotti in giudizio dalla contribuente: cfr. docc. 4 e 5 allegati al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado), che dovrebbero attestare, a “campione”, la presenza dei dipendenti in questione ai corsi di formazione facenti parte del piano, risulta presentare delle gravissime anomalie.
Infatti, le firme dei discenti riportate nei prospetti poc’anzi citati risultano evidentemente contraffatte, posto che ciascuna di esse risulta essere assolutamente identica, in ogni tratto grafico e posizione, sia laddove posta in corrispondenza dello spazio dedicato all'”Entrata”, sia laddove inserita in quello dedicato all'”Uscita” dalla lezione tenutasi in ogni giornata. Anzi, per la verità, un esame comparato di quella documentazione attesta che le firme di ciascun discente di volta in volta in considerazione (e persino del docente: D G , sempre il medesimo per ogni materia trattata, pur a fronte delle natura eterogenea delle stesse) appaiono reiteratamente apposte con un medesimo aspetto grafico (sovrapponibile in ogni particolare), per qualsiasi giornata di corso (e per qualsiasi corso asseritamente frequentato), il che rende palese un’artificiosa riproduzione delle stesse, partendo da un unico originale, con l’ausilio di strumenti informatici.
Tali anomale (per usare un eufemismo) caratteristiche grafiche dei documenti che dovrebbero rappresentare la prova della presenza degli interessati, a tutte le lezioni di cui si tratta, costituiscono evidentemente una conferma decisiva della non corrispondenza a verità della tenuta dei corsi, così come formalmente attestata in atti.
Ad ulteriore conferma dell’insistenza di quelle prestazioni, non si può infine fare a meno di notare la totale assenza di documentazione in qualche modo riferibile alla concreta verifica delle conoscenze dei discenti e del loro effettivo apprendimento (non potendo certo ritenersi utili a tale scopo gli attestati, di contenuto meramente dichiarativo ed aventi sempre lo stesso tenore, prodotti in giudizio dalla contribuente).
Il complessivo quadro probatorio sopra descritto, soprattutto se unitariamente considerato, non può quindi che condurre alla conclusione della sicura inidoneità degli elementi (di natura meramente documentale) forniti dalla contribuente in vista della dimostrazione dell’espletamento di un attività formativa riconducibile a quella presa in considerazione dall’ art. 1, comma 48, L. 27.12.2017 n. 205 e, quindi, della sussistenza del diritto al credito di imposta di cui si tratta.
5. L’acclarata inesistenza del diritto vantato dalla F.lli D S.r.l. comporta altresì la legittima applicazione delle sanzioni a norma dell’ art. 13, comma 5, D. Lgs. 18.12.1997 n. 471 , così come operato dall’Ufficio.
6. La decisione di prime cure merita quindi integrale conferma.
Non può invero essere accolto neppure il motivo di appello avanzato in via subordinata, relativo alla richiesta di compensazione integrale delle spese di lite.
A fronte della natura della contestazione contenuta nell’atto di recupero ed alla chiaro disposto normativo relativo all’onere della prova, non si ravvisa infatti alcun motivo per derogare alla regola della soccombenza e procedere ad una compensazione delle spese di lite del primo grado di giudizio.
Anzi, la totale soccombenza della contribuente impone pure la sua condanna a rifondere le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte conferma la decisione di primo grado;
condanna la contribuente a rifondere le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi € 5.000,00.