Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’ Emilia-Romagna, sezione 10, sentenza n. 203 depositata l’ 8 febbraio 2023
In tema di rapporti tra giudizio tributario e altra controversia pendente, il giudice tributario non è tenuto a sospendere il processo se la questione incidentale non è determinante ai fini della decisione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società ricorrente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna l’intimazione di pagamento n. 093 2018 90022XXX 20 000, emessa dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, per la provincia di Ravenna, portata a conoscenza in data 10 aprile 2018 per la complessiva somma di ?. 44.326,30, contestando anche le prodromiche cartelle di pagamento di cui si assumeva la mancata ricezione.
Con la sentenza in epigrafe la CTP di Ravenna respingeva il ricorso e compensava le spese di giudizio.
Nella circostanza la Commissione rilevava l’infondatezza della doglianza relativa alla mancata rituale notifica delle cartelle di pagamento osservando che la società “tramite suo professionista delegato ha formulato, in data 30.05.2016, istanza per accedere ad un piano di rateizzazione che è stato concesso e poi successivamente, ha anche inoltrato istanza per accedere alla cosiddetta rottamazione. E se è vero che in merito a tale specifica attività, la difesa della ricorrente, ne contesta la validità, sostenendo ed affermando che il legale rappresentante pro-tempore all’epoca, non avrebbe mai sottoscritto i documenti inerenti le varie istanze, altrettanto è vero che tali affermazioni/tesi appaiono totalmente inconsistenti e non credibili e comunque se quanto affermato dalla Società ricorrente fosse vero, la stessa avrebbe dovuto, per dare credibilità alla sua affermazione di un eventuale “falso in atto pubblico”, procedere in sede penale non essendo sufficiente, nello specifico, il disconoscimento di tali istanze ai sensi e per gli effetti dell’art.215 c.p.c.“
Per la riforma di detta sentenza D.a.m. S.r.l. proponeva appello deducendo:
– disconoscimento della produzione documentale dell’Agenzia in ordine alla sottoscrizione della prodotta istanza di rateizzazione;
– incompetenza territoriale dell’Agente della riscossione.
Con successiva memoria parte appellante rendeva noto di aver presentato al Tribunale di Bologna atto di citazione per querela di falso in ordine all’autenticità della sottoscrizione da parte del legale rappresentante delle istanze di rateizzazione del 17.11.2013 e 30.05.2016 nonché di adesione alla definizione agevolate.
Si costituiva in resistenza l’Agenzia della riscossione di Ravenna instando per la reiezione del ricorso.
Dopo il deposito di memorie, l’appello, uditi i patrocinatori delle parti veniva trattenuto per la decisione nella pubblica udienza dl 17 ottobre 2022.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevato che, come reso noto dall’Ufficio, il Tribunale di Bologna, con si è pronunciato sulla querela di falso presentata dalla ricorrente respingendola con sentenza del 14 aprile 2022.
La società ha rilevato in udienza che la sentenza non è ancora passata in giudicato e per tale ragione non vi sarebbero i presupposti per l’immediata decisione, dovendo il processo essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c.
Detta prospettazione non può essere seguita.
Si è ritenuto, infatti, che, con riferimento al rapporto tra il giudizio tributario e altra controversia pendente, poiché l’art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede la sospensione del processo solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione di stato o capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, il giudice tributario è tenuto a pronunciarsi sulla illegittimità della pretesa tributaria, risolvendo, ove necessario, “incidenter tantum” anche questioni che attengano alla legittimità di atti amministrativi strettamente connessi con l’atto impositivo oggetto di controversia, senza che possa porsi una questione di sospensione necessaria del processo tributario (Cass. civ., sez. trib., 30/06/2021, n.18395; id. sez. trib., 28/11/2019, n. 31112).
Invero, il giudice di primo grado ha omesso di pronunciarsi sulla questione, pure sollevata da controparte, secondo cui vi sarebbe la prova dell’avvenuta notifica delle cartelle di pagamento presupposte, a prescindere, perciò dalla questione della presunta falsità delle sottoscrizioni apposte alle istanze di rateizzazione.
Ed in effetti è in atti, così come nel giudizio di primo grado, la prova della notifica avvenuta a mezzo pec delle suddette cartelle di talché non appare affatto necessario attendere la definitività della pronuncia in merito alla querela di falso proposta dalla ricorrente.
Sul punto non vi è alcuna contestazione dell’appellante la quale si limita a reiterare l’argomento, già speso nel primo grado, dell’omessa notificazione di tali atti.
Fatta tale premessa la conclusione non può essere che nel senso dell’inammissibilità del presente gravame.
Infatti l’intimazione di pagamento odiernamente impugnata costituisce solo un atto consequenziale avente natura sollecitatoria seguendone che non possono essere proposte avverso tale atto censure che avrebbero dovuto essere avanzate direttamente e tempestivamente nei riguardi delle cartelle.
Quanto alla incompetenza territoriale dell’Ufficio resistente il Collegio rileva che nella specie si verte in ipotesi di iscrizioni a ruolo e di notificazioni di cartella, effettuata nel 2013. L’ente creditore è l’Agenzia delle Entrate di Ravenna per crediti tributari sorti a Ravenna. Fino al 29/1/2018 la società ha prodotto il proprio reddito e ha avuto sede e domicilio fiscale in Ravenna.
Dunque, ai sensi dell’articolo 12 d.p.r. 602/1973 la consegna del ruolo, effettuata prima della sua trasposizione e notificazione tramite la cartella di pagamento, è stata quindi legittimamente effettuata all’agente della riscossione per la provincia di Ravenna.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, seguendo la regolazione delle spese il principio di soccombenza, coma da liquidazione fattane in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di II grado dell’Emilia Romagna, sez. X, definitivamente pronunciando dichiara inammissibile l’appello.
Condanna la società appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
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