Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’ Emilia-Romagna, sezione n. 10, sentenza n. 451 depositata il 2 aprile 2023
In sede di verifica l’Ufficio può induttivamente rideterminare il corrispettivo percepito da un imprenditore commerciale a fronte della cessione di beni, qualora il corrispettivo indicato in contabilità sia tale da poter essere giudicato in modo anomalo rispetto alla normale prassi di mercato e avuto riguardo al modus operandi dell’impresa
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Ricorrente/Appellante Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Modena:
“Si chiede che codesta Onorevole Commissione voglia:
1) preliminarmente, dichiarare inammissibile l’atto di riassunzione per difetto di legittimazione processuale, per i motivi sopra indicati;
2) solo nella denegata ipotesi di rigetto della predetta eccezione preliminare, confermare la correttezza, legittimità e validità della pretesa fiscale e rigettare, di conseguenza, il ricorso in riassunzione della contribuente;
3) condannare la parte alle spese di tutti i gradi di giudizio, compreso quello di legittimità”.
Resistente/Appellato società M.B. S.r.l.: “Voglia l’Ill.ma Commissione Tributaria Regionale, preso atto del principio espresso dalla Suprema Corte nell’ord. n. XXXXX/2021 summenzionata, e tenuto conto di tutte le ampie prove, documentazioni e argomentazioni sopra apportate e svolte da M.B., decidere nel merito, in questa fase di “rinvio”, la presente controversia.
In particolare, la M.B. SRL come sopra rappresentata, assistita e difesa chiede a questa Ill.ma Commissione Tributaria Regionale:
– che siano tenute in considerazione ed accettate tutte le presenti controdeduzioni, argomentazioni, eccezioni e ampie prove esposte nella presente fase in rinvio e vieppiù del primo grado di giudizio;
– il rigetto dell’Atto di appello dell’Agenzia delle entrate e in ogni caso delle eccezioni mosse da tale Atto;
– la conferma della decisione n. XXX/01/12 dei giudici di prime cure per la parte favorevole alla M.B.;
– la riforma della decisione n. XXX/01/12 dei giudici di prime cure, per la parte in cui M.B. è rimasta soccombente (? 20.000,00+Iva); con tutte le conseguenze che ne derivano;
– in ogni caso dichiarare nullo ovvero illegittimo l’Avviso di accertamento ab origine per vizi o carenza di motivazione e/o per mancata allegazione nell’Atto di ogni documentazione probatoria decisiva o utile al sostenimento della tesi accusatoria;
con ogni consequenziale pronunzia e statuizione;
– in ogni caso, dichiarare infondato o illegittimo l’avviso di accertamento impugnato ab origine, con tutti gli effetti che ne derivano;
– la vittoria delle spese processuali e consulenziali del presente processo in rinvio, della fase di legittimità presso la Corte di Cassazione e delle spese consulenziali del primo grado di giudizio, come più sopra specificate.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di controllo fiscale per l’anno d’imposta 2006 nei confronti della società M.B. s.r.l., l’Agenzia delle Entrate di Modena emetteva avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione il maggior reddito d’impresa calcolato induttivamente in ? 548.898 nonché il maggior valore della produzione rilevante ai fini Irap e Iva, rideterminando l’Ires dovuta in 181.136, l’Iva in ? 41.974 al 4 % e al 10 % ed ? 23.668 per Irap al 10% maggiorata di sanzioni e accessori.
La verifica dell’A.F. riguardava delle vendite immobiliari effettuate dalla società appellante a prezzi che l’ufficio riteneva inattendibili in quanto prossimi al valore di costo e quindi con un margine troppo basso per remunerare il rischio d’impresa (190.749,98 di margine lordo per totali 17 vendite): di qui la ritenuta antieconomicità dell’operazione. L’Ufficio evidenziava che risultavano contabilmente praticati prezzi diversi in riferimento a unità immobiliari sostanzialmente identiche; che i mutui contratti dagli acquirenti risultavano talora superiori al prezzo di acquisto degli immobili indicato a rogito, nonostante il limite dell’80% fissato dalla Banca d’Italia; che, in base alle indagini finanziarie effettuate, alcuni acquirenti avevano emesso assegni per importi superiori al prezzo indicato nel contratto di compravendita; che detto importi che venivano ridotti con note di credito emesse successivamente. Ciò premesso, l’Ufficio ricalcolava in ? 2.425,74 il prezzo al metro quadro applicandolo a tutti gli appartamenti venduti.
La sentenza CTP di Modena n. XXX del 2012 accoglieva sostanzialmente il ricorso della M.B. s.r.l. limitando ad euro 20.000 i maggiori ricavi conseguiti (oltre Iva al 10%) reputando fondato l’accertamento solo in relazione alla discrasia (accertata all’esito di indagini bancarie) tra la somma pagata alla venditrice dagli acquirenti R.-I. all’atto della stipula del definitivo e gli acconti versati in precedenza dai medesimi, differenza integrante l’occultamento di parte del prezzo di acquisto.
La CTR con ordinanza n. XX/14 del 18/11/2013 respingeva sia l’appello principale dell’Ufficio che quello incidentale del contribuente, compensando le spese.
Ricorreva per Cassazione l’Agenzia delle Entrate in relazione ad un unico motivo al quale resisteva la M.B. s.r.l. Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa. L’Agenzia delle Entrate lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, lett. , d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 54, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonchè degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, prima comma, n. 3, cod. proc. civ., assumendo che la gravata sentenza aveva male applicato i principi di diritto in tema di prova per presunzioni:
1. per avere relegato a mero indizio il comportamento antieconomico tenuto dalla contribuente;
2. per avere soltanto «genericamente menzionato» le differenze di prezzo al mq. riscontrate nelle compravendite non giustificate da oggettivi elementi di diversificazione;
3. per avere «sminuito la valenza indiziaria» dei mutui contratti per importi maggiori dei prezzi indicati negli atti notarili di trasferimento;
4. per aver esaminato “frammentariamente” l’idoneità degli illustrati indici presuntivi, omettendo la (dovuta) valutazione unitaria e complessiva, idonea a disvelare l’occultamento parziale dei ricavi da vendita di immobili.
Il ricorso dell’Ufficio veniva accolto e la sentenza impugnata veniva cassata con rinvio avanti a questa C.T.R. in diversa composizione.
La S.C. rilevava che “L’accertamento in discorso addiviene alla determinazione del (maggior) reddito d’impresa in maniera analitico-induttiva: metodo praticabile (a mente dall’art. 39, prima comma, lett. d), del d.P.R. n.600 del 1973) quando l’inesattezza o la falsità dei dati esposti nelle scritture contabili o nelle dichiarazioni fiscali, emerga dalle ispezioni o verifiche compiute nei confronti del contribuente oppure ancora da dati e da notizie raccolte dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, con la possibilità per l’A.F. di desumere l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti“.
La S.C. assumeva ancora che: “Pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, poi, è legittimo procedere ad accertamento analitico-induttivo e la rettifica officiosa del reddito (rectius, di determinati elementi, attivi o passivi, che lo compongono) può fondarsi anche sulla base di un unico elemento, presuntivo, purché grave e preciso, dovendo il requisito della «concordanza» ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale (ma non necessario) concorso di più elementi presuntivi (Cass. 16/03/2020, n. 7292; Cass. 25/01/2019, n. 2155; Cass. 30/10/2018, n. 27552; Cass. 22/12/2017, n. 30803)”.
La Suprema Corte osserva inoltre che “dall’avviso di accertamento si evinceva che la ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi conseguiti dalla resistente con la vendita delle unità immobiliari edificati è stata operata (per quanto ancora oggetto del contendere) sulla base di tre elementi indiziari dimostrativi dell’esistenza di componenti positivi del reddito non contabilizzati, ciascuno dei quali, ex se astrattamente valutato, suscettibile di integrare, ove connotato da peculiare gravità, presunzione giustificante l’accertamento“.
Questi gli elementi indiziari ritenuti insufficienti dalla C.T.R. a integrare la pretesa impositiva, “in difetto di aporie motivazionali, nemmeno adombrate”:
– il comportamento antieconomico della società, concretato dalla esiguità dei ricavi dichiarati in rapporto ai costi sostenuti (sul rilievo di condotte del genere, ex plurimis, cfr. Cass. 20/02/2020, n. 4410; Cass. 17/03/2017, n. 6939);
– le ingiustificate differenze di prezzo tra le singole unità immobiliari compravendute in un ristretto arco temporale, facenti parte del medesimo complesso eppure valorizzate (assumendo come unità di misura il mq.) in maniera notevolmente disparitaria;
– gli importi dei mutui erogati dalle banche agli acquirenti degli immobili, di entità superiore ai prezzi di acquisto dichiarati negli atti notarili di compravendita (sul tema, Cass. 24/12/2020, n. 29502; Cass. 09/06/2017, n. 14388).
La S.C. osservava che il giudice della C.T.R. aveva ritenuto che:
– il comportamento dell’impresa commerciale suscitava dubbi, non integranti presunzioni in mancanza di altri e più consistenti elementi probatori, circa l’esistenza di ricavi non contabilizzati;
– il calcolo del valore medio al metro quadro degli immobili ceduti e lo scostamento dai listini OMI erano ritenuti non significativi, dato che le unità immobiliari non erano uguali e perché l’imprenditore edilizio di norma riduceva il prezzo di vendita degli ultimi appartamenti;
– prima della crisi U.S.A. dei subprime, era possibile ottenere mutui che superavano anche il 100% del prezzo, comprensivi dei costi di ristrutturazione, di acquisto mobili e di oneri e accessori.
La S.C. nel cassare la sentenza impugnata riteneva che la valutazione atomistica e parcellizzata degli elementi indiziari operata dalla C.T.R. violasse la regola di giudizio dell’art. 2729 c.c., non essendo state valutate le reciproche interazioni in un quadro di insieme al fine di verificare l’idoneità ad integrare un quadro di presunzioni gravi precisi e concordanti.
Tanto premesso, la società M.B. presentava ricorso in riassunzione a seguito del quale veniva fissata l’odierna udienza.
La società M.B. s.r.l. assumeva:
– che il giudizio della S.C. confermava la validità delle prove individualmente prodotte da M.B., desumendolo da un inciso della motivazione nel quale veniva affermato che “su tali circostanze il giudice di prossimità ha soffermato la sua attenzione attribuendo alle stesse (con apprezzamento senza dubbio di merito, insindacabile in sede di legittimità in difetto di rilevanti aporie motivazionali, qui nemmeno adombrate)” e l’assenza di motivazioni gravi, precise e concordanti da parte dell’avviso di accertamento;
– che l’A.F. in atto di appello faceva riferimento ai valori OMI che, tuttavia, non erano stati contestati nell’avviso di accertamento;
– che l’A.F. per determinare i ricavi non contabilizzati aveva:
o provveduto a recuperare le differenze emerse, a seguito di indagine finanziaria, tra il superiore importo dei mutui ottenuti dagli acquirenti e i prezzi dichiarati negli atti di acquisto delle singole unità immobiliari;
o ricostruito il prezzo d’acquisto per le altre cessioni in base al prezzo medio al metro quadrato ottenuto dalla media dei prezzi riscontrati dalle indagini finanziarie;
– che l’A.F. non aveva mai dimostrato l’esistenza e la veridicità della documentazione bancaria acquisita presso l’Anagrafe tributaria relativa agli acquirenti degli immobili;
– che l’A.F. non aveva dimostrato o indicato le fonti (banche dati, analisi di settore, ecc.,) che giustificassero l’asserito disallineamento dei prezzi di vendita praticati da M.B. s.r.l. rispetto a quelli praticati dalla concorrenza nel periodo 2006 nel comparto edilizio;
– che le generiche congetture della A.F. violavano il disposto dell’art. 7 della L. 212/2000 ribaltando illegittimamente la prova su M.B. s.r.l.;
– che l’A.F. non indicava quali fossero i “comuni orientamenti di mercato del comparto edilizio” da confrontare con la situazione della M.B. s.r.l.;
– che l’A.F. non indicava quali fossero “i parametri di individuazione della realtà imprenditoriale di aziende del medesimo settore” utilizzati per confutare la reddittività/performance di M.B.;
– che la sentenza di primo grado aveva definito le argomentazioni svolte dall’Ufficio, a sostegno dell’occultamento di ricavi, pure e semplici “opinioni”, aderendo alla tesi di M.B.;
– che la discrasia tra il prezzo di acquisto convenuto contrattualmente tra M.B. s.r.l. e gli acquirenti degli immobili con i superiori importi dei mutui bancari ottenuti si spiegava con la necessità per gli acquirenti di sostenere ulteriori spese come quelle per il mobilio, per le spese notarili e per il pagamento dell’Iva ecc.;
– che non spettava a M.B. s.r.l. spiegare perché gli acquirenti avessero contratto un mutuo per un valore superiore al prezzo dell’immobile acquistato in quanto esso atteneva al rapporto acquirente/banca e non al rapporto cedente/acquirente;
– che, comunque, M.B. s.r.l. era riuscita ad ottenere dagli acquirenti la documentazione idonea a dimostrare le ulteriori spese sostenute (cfr. docc. da 5 a 13 allegati al ricorso) [1];
– che detta documentazione non era mai stata contestata dall’A.F.;
– che M.B. s.r.l. aveva prodotto n. 14 rogiti di diversi notai relativi a vendite immobiliari effettuate nell’anno d’imposta 2006 da parte di società edili concorrenti che evidenziavano come i prezzi indicati da M.B. s.r.l. fossero superiori a quelli praticati da queste ultime;
– che i prezzi degli immobili erano differenti, anche se la metratura era simile, perché comunque si differenziavano per alcuni elementi che incidevano sul prezzo, come il piano, l’esposizione o la vista;
– che l’A.F. pur affermando come incongruo il MOL (margine operativo lordo) di M.B. s.r.l. nel 2006, non indicava quale fosse il margine congruo;
– che la ricorrenza di un MOL positivo in capo a M.B. s.r.l. non si conciliava con intenti fraudolenti;
– che dalla Camera di Commercio di Modena sei società risultavano avere avuto un rapporto tra fatturato e EBITDA (earning before interests, depreciation and amortisation) meno vantaggioso di quello di M.B. s.r.l.;
– che nel periodo di imposta 2006 M.B. s.r.l. era congrua e coerente ai fini degli studi di settore, come dimostrava la dichiarazione dei redditi Unico 2007;
– che l’eccepito scostamento tra i prezzi di vendita degli immobili da parte di M.B. s.r.l. e i valori OMI, era tardivo e inconsistente;
– che i prezzi praticati da M.B. s.r.l. erano superiori a quelli risultanti dal tabulato delle risultanze OMI, già acquisito dai giudici di primo grado.
Ai fini IVA, M.B. s.r.l. richiamava le osservazioni svolte in tema di imposte dirette.
Infine, M.B. s.r.l. impugnava la sentenza della C.T.P. chiedendo la riforma del capo che riconosceva l’occultamento di 20.000 ? di base imponibile relativo alla compravendita immobiliare con i sigg. R./I., eccependo:
– il mancato svolgimento di indagini finanziarie sui conti correnti della società M.B. s.r.l. o dei suoi soci;
– la mancata considerazione della nota di credito emessa da M.B. s.r.l. nel 2007 n. 9 del 10 luglio (all. 12 al ric. introduttivo);
– che l’A.F. nell’Avviso di accertamento aveva evidenziato tre versamenti per totali € 176.000 ? riconoscendo l’emissione nota di credito n. 13 del 27/10/2006 per totale € 154.000, ma non considerando giustificata la differenza di € 22.000 ed ignorando la nota di credito n. 9 del 10/07/2007 che faceva seguito alla risoluzione di un contratto preliminare con il R. che aveva comportato il versamento di anticipi a favore di M.B. s.r.l. che la società aveva poi provveduto a restituire;
– che l’A.F. aveva ricevuto detta nota di credito, debitamente registrata a fini contabili e fiscali, che per competenza era stata imputata al reddito d’impresa 2006;
– che l’intento evasivo era escluso dato che altrimenti M.B. s.r.l. non avrebbe emesso la fattura e la nota di credito registrandoli rispettivamente nei registri Iva e nel Libro Giornale;
– che, nel caso di specie, non trovava applicazione il principio di cassa (periodo 2007) riservato a casi tassativi, ma il principio di competenza fiscale.
L’Ufficio si costituiva in giudizio depositando le proprie controdeduzioni nelle quali eccepiva preliminarmente l’avvenuta cancellazione della s.r.l. dal registro delle imprese e la sua sopravvenuta incapacità a stare in giudizio. Assumeva l’inammissibilità dell’atto di riassunzione per difetto di legittimazione processuale in quanto l’atto era stato presentato da un soggetto giuridicamente inesistente (una società cancellata dal registro delle imprese) e come tale privo della capacità di stare in giudizio. Dalla Banca Dati della Camera di Commercio, la società M.B. Srl risultava cancellata d’ufficio dal registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2490 c.c., in data 18/10/2019. L’ultimo comma del succitato articolo dispone che: “Qualora per oltre tre anni consecutivi non venga depositato il bilancio di cui al presente articolo, la società è cancellata d’ufficio dal registro delle imprese con gli effetti previsti dall’articolo 2495”. Essendo stato l’ultimo bilancio regolarmente depositato quello al 31/12/2014, era stata disposta la cancellazione d’ufficio dal Registro delle Imprese.
Nel merito l’Ufficio replicava di non avere tenuto conto dei valori OMI nell’avviso di accertamento, ma di avere fornito prova di altri elementi presuntivi dato che la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto fondato l’accertamento qualora, oltre allo scostamento rispetto alle risultanze OMI, fosse fornita prova di altri elementi presuntivi.
L’ufficio riteneva inammissibile la contestazione di non avere fornito prova dell’acquisizione della documentazione bancaria in capo agli acquirenti degli immobili posto che i dati della documentazione bancaria riportati nell’atto impositivo non erano mai stati contestati. In proposito, l’Ufficio precisava che la giurisprudenza di legittimità riteneva sufficiente ai fini dell’esercizio del diritto di difesa del contribuente che nell’atto impositivo fossero riportati gli elementi conoscitivi dell’atto richiamato e nel caso di specie, nell’avviso di accertamento erano contenuti i dati fondamentali della documentazione trasmessa dagli enti creditizi.
L’Ufficio osservava ancora che con “il riferimento alla realtà imprenditoriale di aziende del medesimo settore” intendeva richiamare l’esito di controlli nei confronti di altre società nello stesso periodo d’imposta. Ancora, che con l’espressione “ai comuni orientamenti di mercato del comparto edilizio” l’Ufficio intendeva fare riferimento alla circostanza che il 2006 era stato un anno particolarmente favorevole per il settore delle compravendite immobiliari.
Quanto alla documentazione fornita dalla società contribuente per giustificare il maggiore importo dei mutui rispetto al valore indicato a rogito delle tre compravendite indagate, l’Ufficio significava che in nessun caso veniva documentata l’intera eccedenza, ma solo un minor importo, né era stata dimostrata la correlazione tra le somme mutuate i pagamenti effettuati per onorari notarili e Iva versata, in seguito alla compravendita.
L’Ufficio eccepiva ancora che:
– per giurisprudenza pacifica costituiva fatto notorio la circostanza che le banche erogassero mutui per importi inferiori rispetto al valore dell’immobile e che questo, nel caso di specie, costituiva un indizio di evasione;
– inconferente era il richiamo al raffronto tra gli appartamenti venduti dalla M.B. s.r.l. e quelli venduti da altre società edili a prezzi superiori data la diversità dell’immobile, del cantiere e di quant’altro.
Parimenti inutile, secondo l’Ufficio, risultava il raffronto con il rapporto EBITDA e il fatturato di altre società;
– erano irrilevanti le considerazioni sulla terzietà della M.B. s.r.l. rispetto ai rapporti di mutuo bancario accesi dagli acquirenti;
– le incongruenze rilevate riguardavano i prezzi di compravendite di immobili appartenenti allo stesso complesso immobiliare, realizzati nello stesso periodo e dallo stesso cantiere e per questo era stata applicata la stessa valorizzazione non contestata dei metri quadri commerciali.
– M.B. s.r.l. non aveva indicato nessuna situazione contingente che giustificasse la disparità di prezzo rispetto a unità immobiliari sostanzialmente identiche;
– nel periodo di imposta 2006, sulla base dei dati forniti dalla società M.B. s.r.l., i costi del cantiere di Limidi ammontavano ad ? 1.672.750, dalle vendite dei 17 immobili sarebbero stati ricavati ? 1.863.500 per un margine operativo pari a ? 190.749,98 che implicava un guadagno di ? 11.000 per appartamento.
Dato economico che l’Ufficio riteneva non verosimile perché, in quel periodo, il settore immobiliare non era ancora in crisi e quindi la condotta della società contribuente sarebbe stata antieconomica dato che il prezzo di vendita non era sufficiente a coprire sia i costi sia a remunerare l’imprenditore, sulla base del principio di ragionevolezza;
– i dati esposti costituivano sintomo di evasione da parte della società M.B. s.r.l.; – ai fini degli studi di settore la società contribuente era risultata congrua, ma non coerente, mentre la pretesa fiscale si basava su plurimi elementi gravi, precisi e concordanti;
– irrilevante era la circostanza che i prezzi delle compravendite superassero i valori OMI, valori che non sostituivano la stima dei beni immobili;
– inconferenti erano i rilievi svolti dalla società contribuente in materia di IVA in quanto si trattava di rilievi che attenevano ai valori OMI, estranei alla ricostruzione nel caso di specie;
– in relazione all’acquisto effettuato da R.A. e I.R. che l’immobile stato pagato di ? 665.000 (oltre Iva) a M.B. s.r.l. il 27/10/2006, che nel 2005 risultavano effettuati a favore della stessa società tre bonifici: in data 17/10/2005 per un totale di ? 176.000 e che con nota di accredito del 27/10/2006 venivano stornati acconti per ? 132.000 più Iva per totale 154.000, mentre la differenza versata di ? 22.000 non veniva stornata configurandosi, pertanto, priva di giustificazione;
– in relazione alla documentazione giustificativa prodotta dalla società contribuente, essa consisteva in copia delle fatture emesse per stornare gli importi di cui sopra non essendo, invece, comprovato il riaccredito della somma di euro 22.000 alla parte acquirente;
– che la società contribuente non aveva fornito prova della risoluzione del contratto preliminare che avrebbe comportato l’assunta restituzione alla parte acquirente delle caparre e degli acconti ricevuti.
All’udienza le parti ribadivano le proprie conclusioni e la Commissione riservava la decisione.
[1] Acquisto M.: differenza contestata ? 7000 – spese comprovate da M.B. ? 7.400. Acquisto P.: differenza contestata ? 11.000 – spese comprovate da M.B. ? 8.360. Acquisto L.: differenza contestata ? 10.000 – spese comprovate da M.B. ? 7.600.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’eccezione preliminare formulata dall’A.F. riguardante l’inammissibilità dell’atto di riassunzione per difetto di legittimazione processuale per intervenuta cancellazione della società M.B. s.r.l. dal Registro delle imprese sin dal 18/10/2019 è infondata.
L’art. 28 del D.L.vo n. 175 del 2014 ha previsto che “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.
Ne consegue che il ricorso in riassunzione datato 23/10/2021 e notificato il 23/09/2021 da M.B. s.r.l. in liquidazione e sottoscritto dal liquidatore V.A. a far data dal 3/12/2015, è valido.
L’Agenzia ha eccepito in udienza l’inammissibilità del deposito di parte contribuente dell’11 gennaio u.s. del documento della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Modena in quanto tardiva.
Sennonché, si tratta di un documento pubblico al quale la stessa A.F. ha fatto riferimento per datare la sua cancellazione dal ruolo delle imprese ed inoltre, esso appare confermativo dell’indicazione risultante dal mandato conferito da V.A. ai propri difensori nel processo di riassunzione. Il mandato ad litem contiene infatti nome e cognome del liquidatore e la data da quando ha assunto le funzioni. Nessuna tardività risulta nel caso di specie maturata e quindi nessuna inammissibilità.
Nel merito l’appello dell’Ufficio è fondato.
Secondo questa Commissione, la S.C. con l’ordinanza nella vicenda in esame non si è limitata a ribadire il seguente principio consolidato: «al cospetto di una pluralità di fatti storici, ciascuno portatore di una propria, singola valenza indiziaria, il giudice non può procedere alia relativa valutazione attraverso un procedimento logico di scomposizione atomistica di ciascuno di essi, per poi svalutarne, singolarmente e frammentariamente, la relativa efficacia dimostrativa. La concordanza indiziaria di ciascuno dei fatti acquisiti al processo ne postula, difatti, la imprescindibile necessita di una compiuta analisi di tipo sintetico, all’esito di un ragionamento probatorio complesso e sincronico, non potendo evidentemente predicarsi alcuna “concordanza” di ciascun indizio a sé medesimo, se la valutazione non segue il necessario percorso logico dell’analisi per sintesi e non per somma (per di più, inammissibilmente scomposta)» (testualmente così Cass. 12/04/2018, n. 9059; conf. Cass. 25/10/2019, n. 27410).
In realtà la S.C. si è positivamente espressa sugli elementi che l’A.F. ha posto a base della ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi conseguiti dalla M.B. s.r.l. con le vendite immobiliari, addirittura precisando che poteva bastare un solo elemento di rilevante gravità per giustificare l’accertamento.
L’occultamento di ricavi che l’A.F. ha ricostruito non è una semplice “opinione”, ma è il risultato ermeneutico di tre elementi indiziari convergenti, ovvero:
1. il ricavo che M.B. s.r.l. avrebbe contabilmente conseguito per ciascuna unità immobiliare venduta nel periodo d’imposta 2006 ammonterebbe ad 11.000 ?. Un dato talmente esiguo da risultare assolutamente inverosimile; mentre M.B. s.r.l. non si è premurata di indicare le cause anomale in grado di giustificare un risultato così ridotto, mentre ha allegato n. 14 rogiti di diverse società edili concorrenti e stipulati da notai diversi, per evidenziare che quei prezzi di vendita erano finanche inferiori rispetto a quelli praticati da M.B. s.r.l. Sommessamente, si ritiene che il tema non centri il punto della questione: non sono in discussione i prezzi di vendita, ma i guadagni che dipendono in larga parte dai costi e questi non sono evidenziati nei rogiti prodotti dalla società ricorrente in riassunzione. In questi termini, l’esiguità dei ricavi costituisce un indizio grave di occultamento parziale dei medesimi.
2. Il tema dei prezzi di vendita è stato proposto dall’A.F. da una visuale diversa, quella del raffronto tra i prezzi praticati dalla venditrice M.B. s.r.l. di unità immobiliari realizzate dalla società nel cantiere Limidi di Soliera e vendute nell’arco dello stesso anno d’imposta. Si richiama in tal senso la tabella n. 1 dell’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006: a parità di metratura e di livello, gli appartamenti 1 e 5 divergono di ? 11.000; a metratura diversa – divergente di 2,5 m.q. utili – ma di pari livello, gli appartamenti 9 e 11 sono venduti allo stesso prezzo;
L’incongruenza rilevata è quindi evidente e costituisce indizio di una fatturazione irregolare.
3. Gli importi superiori dei mutui accesi dall’acquirente di un immobile per un importo inferiore al prezzo di acquisto sono ritenuti dalla giurisprudenza di legittimità alla stregua di un indice presuntivo di sottofatturazione ancorché corroborato dalla gravità, precisione e concordanza di altri elementi presuntivi.
In linea con il diritto dell’Unione Europea è stata eliminata la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore “normale” degli stessi, così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”.
Secondo Cassazione sez. trib., 16/01/2023, (ud. 10/11/2022, dep. 16/01/2023), n.1155: “tale mutato quadro normativo non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto (così, Cass. 08/03/2022, n. 7445; Cass. 25/01/2019, n. 2155; sui valori OMI, cfr. Cass. 12/04/2017, n. 9474; Cass. 04/11/2020, n. 24550; Cass. 20/02/2020, n. 4410 per la retroattività scaturente da finalità di adeguamento al diritto comunitario; Cass. 21/12/2016, n. 26487); del resto l’importo del mutuo erogato, superiore al prezzo dichiarato nell’atto, è idoneo a fondare l’accertamento (Cass. 27/10/2020, n. 23538; Cass. 10/10/2019, n. 25510; Cass. 24/08/2017, n. 20378; Cass. 21/12/2016, n. 26487)”.
Ma in tal caso l’A.F. non si è richiamata ai valori OMI per argomentare la sottofatturazione delle vendite, ha fatto riferimento a due dati economici certi – il prezzo della compravendita e l’importo del mutuo ottenuto dalle parti acquirenti – incrociandoli.
Quanto all’eccezione della società contribuente circa il difetto di prova dell’acquisizione della documentazione bancaria, l’eccezione è inammissibile in quanto M.B. s.r.l. non ha mai confutato prima i dati riportati nell’avviso di accertamento dei quattro rogiti in contestazione né la loro provenienza; anzi, il fatto che i dati non siano stati contestati ne ribadiscono finanche la provenienza, chiaramente esplicitata nell’avviso di accertamento, dagli enti creditizi che hanno concesso i mutui, visto che altre fonti non sono immaginabili.
I documenti da 5 a 13 allegati al ricorso prodotti da M.B. s.r.l. ed ottenuti dagli acquirenti, provano certamente delle ulteriori spese sostenute dagli aventi causa, ma non che i mutui siano stati concessi per un prezzo superiore al prezzo di acquisto dell’unità immobiliare, per far fronte a quelle spese. D’altronde, la banca concede un mutuo più esiguo rispetto al valore del bene da acquistare per garantirsi che il contratto venga onorato e di norma lo fa accendendo un’ipoteca sul bene compravenduto. Se così non fosse ovvero se l’importo finanziato fosse di norma superiore al valore del bene, l’inadempimento sarebbe fisiologico.
In conclusione, quest’ultimo elemento indiziario, letto e interpretato, in unico contesto con gli altri due elementi sopra evidenziati, portano al pieno accoglimento delle argomentazioni esposte dall’Ufficio.
Deve, invece, essere confermato il capo della sentenza impugnato dalla M.B. s.r.l. relativo all’acquisto immobiliare effettuato da R.A. e da I.R. al prezzo di ? 665.000 (oltre Iva) a M.B. s.r.l. e saldato il 27/10/2006.
La differenza di ? 22.000 faceva parte del maggior importo di 176.000 ? accreditato a M.B. s.r.l. con tre bonifici effettuati il 17/10/2005 con nota del 27/10/2006; venivano poi stornati per acconti ? 132.000 più Iva per totali ? 154.000, mentre non veniva stornata la differenza di ? 22.000 che pertanto restava priva di giustificazione.
La nota di credito n. 9 del 10/07/2007 emessa dalla società parte in causa ed avente ad oggetto la differenza di ? 22.000 è emessa a distanza di due anni dalla fattura n. 13 del 6/09/2005 e non comprova il retroversamento della somma in capo a R.A.; né M.B. s.r.l. ha prodotto la scrittura risolutiva del contratto del 12/11/2004. In conclusione, la ripresa a tassazione di maggiori ricavi conseguiti per ? 20.000 (oltre Iva al 10%) da parte dell’Ufficio si giustifica in ragione del fatto che la vicenda estintiva di detto importo non è stata sufficiente comprovata documentalmente da M.B. s.r.l. né è stato provato l’effettivo accredito al R. della somma di ? 22.000.
Tanto premesso, le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, compensate nella misura del 30 % quelle del presente grado di giudizio, attesa la ritenuta infondatezza dell’eccezione preliminare formulata dell’Ufficio. A carico della parte soccombente vanno altresì poste le spese relativo al giudizio di legittimità.
Le spese vengono complessivamente liquidate nell’importo di ? 11.260,24 e sono così calcolate: – quelle di primo grado in ? 2.000,00 tenuto conto del D.M. n. 127 del 2004, meno il 20 % ai sensi dell’art. 15 comma 2 sexies D.Lgs n. 546 del 1992 pari a ? 400 per residui ? 1.600,00 a favore dell’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Modena; – quelle di secondo grado nell’importo di ? 9.0000,00, compensate tra le parti nella misura di un terzo pari ad ? 3.000,00, per residui ? 6.000,00, meno il 20 % ai sensi dell’art. 15 comma 2 sexies D.Lgs n. 546 del 1992 pari a ? 1.200,00 per residui ? 4.800,00 a favore dell’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Modena; quelle di legittimità, nell’importo di ? 7.290,00; meno il 20 % ai sensi dell’art. 15 comma 2 sexies D.Lgs n. 546 del 1992 pari a ? 2.429,75 per residui ? 4.860,24 a favore dell’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Modena.
P.Q.M.
Accoglie l’appello dell’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Modena e per l’effetto, riforma la sentenza n. 238/2012 – sez. 1 – del 24/09/2012 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Modena.
Rigetta l’appello incidentale di M.B. s.r.l. in liquidazione. Condanna M.B. s.r.l. in liquidazione al pagamento delle spese di primo e secondo grado di giudizio nonché al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, a favore dell’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Modena, che liquida nell’importo complessivo di ? 11.260,24 oltre accessori se dovuti e spese generali nella misura prevista per legge.
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