Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’ Emilia-Romagna, sezione n. 7, sentenza n. 143 depositata il 27 gennaio 2023
Non è deducibile un costo sostenuto da una società per un lavoratore dipendente, qualora sussista una oggettiva sproporzione tra il corrispettivo pattuito e il servizio effettivamente erogato dal medesimo, in quanto tale non inerente all’attività economica d’impresa
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Con rituale ricorso in appello RGA n. XXX/2020, l’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Reggio Emilia chiedeva di riformare la sentenza n. XXX/02/19, depositata il 18/9/2019, che aveva accolto l’originario ricorso proposto da S.I.M.E. SIE s.r.l. avverso avviso di accertamento n. THS03BA01XXX/2017 IRES-IVA-IRAP-ALTRO 2012, emesso dall’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Reggio Emilia.
La questione si fonda su un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Reggio Emilia ai fini IRES, IRAP ed IVA, nei confronti di S.I.M.E. SIE S.r.l., esercente l’attività di affitto d’azienda.
L’avviso veniva emesso in relazione all’affitto d’azienda operato in favore della SIME I. S.r.l., di cui erano soci i figli ed il genero del legale rappresentante della contribuente. Il genero era, contestualmente, legale rappresentante della locataria e dipendente della locatrice. L’Ufficio riteneva sproporzionato il compenso percepito da quest’ultimo per l’attività contabile svolta presso la locatrice e, deducendone la carenza di inerenza, riprendeva l’importo ad imposizione. Ad imposizione erano altresì ripresi, sempre per carenza di inerenza, i costi di viaggio del genero per la partecipazione ad incontro dell’associazione di categoria, le quote di ammortamento per spese di ricerca e sviluppo, ritenendole spese non necessarie in considerazione dell’attività svolta dalla contribuente (affitto d’azienda) ed una dichiarata perdita su crediti in una fornitura ad un cliente. Con riferimento a tale ultima voce, infatti, l’Ufficio verificava ed accertava la solvenza del cliente stesso.
Avverso tale avviso di accertamento proponeva ricorso la contribuente innanzi alla CTP di Reggio nell’Emilia, ritenendo che l’Agenzia non avesse provato o che, ad ogni modo, non disponesse di elementi sufficienti per sostenere una carenza di inerenza dei costi di cui sopra.
Il giudice di prime cure accoglieva il ricorso sostenendo l’insindacabilità delle scelte imprenditoriali della società ricorrente, in mancanza di palese irrazionalità delle stesse, l’inerenza dei costi di viaggio per la partecipazione alla vita dell’associazione di categoria e l’insindacabilità da parte dell’Ufficio circa la deducibilità della quota di ammortamento di un costo, in mancanza di sindacato circa l’inerenza del costo stesso. Da ultimo, in merito alla perdita su crediti, affermava “come l’Agenzia non possa sindacare la deducibilità della perdita su crediti rientrando nella libera scelta imprenditoriale la valutazione di convenienza economica nella gestione della propria impresa, a meno che le stesse non appaiano, palesemente, irrazionali e svantaggiose”.
Avverso tale decisione della CTP di Reggio Emilia, proponeva ricorso in appello l’Agenzia delle Entrate- Direzione Provinciale di Reggio Emilia, deducendo:
-illegittimità della sentenza per insufficiente/apparente motivazione in violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n 546/92, nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR e dell’art. 101 TUIR.
L’Ufficio rilevava come la CTP avesse ignorato gli elementi evidenziati per chiarire il contesto in cui è maturato l’accertamento e le incongruenze rilevate e poste a fondamento della pretesa impositiva:
a. indebita deduzione di costo del dipendente amministrativo Sig. Gradella Federico per € 66.200,00 (€ 50.352,00 per retribuzioni e € 15.848,00 per oneri sociali. Riteneva parte appellante che non fosse dato comprendere alla luce di quali valutazioni la CTP avesse considerato la condotta della contribuente esente da valutazioni di irrazionalità, alla luce di una puntuale indicazione da parte dell’Ufficio delle ragioni poste a fondamento del recupero a tassazione. A seguito di una riesposizione di tali ragioni, concludeva “la retribuzione per il lavoro eseguito nell’anno 2012 dal dipendente Gradella Federico, nei confronti della società appellata, appare del tutto sproporzionata e irragionevole rispetto all’attività che avrebbe potuto in concreto essere svolta, verosimilmente corrisposta perciò in relazione a prestazioni in realtà svolte per altro soggetto societario riferibile alla stessa proprietà”;
b. indebita deduzione di un costo di ricerca e sviluppo di € 42.264,67 e di una quota di ammortamento di spese di ricerca e sviluppo di € 15.522,08. Reiterava quanto già dedotto sul punto, circa la difficoltà nel comprendere come attività di ricerca e sviluppo potesse essere considerata come correlata all’attività esercitata dalla contribuente di affitto d’azienda. Difficoltà incrementate a mente della circostanza per cui la società contribuente non fosse nemmeno membro dell’associazione AMIS. Riteneva, semmai, che tali costi afferissero all’attività svolta da SIME I. S.r.l. e che dalla stessa avrebbero dovuto essere sostenuti e dedotti;
c. indeducibilità della perdita su crediti di € 42.208,56. Sosteneva che la perdita su crediti fosse stata dedotta in assenza dei requisiti di legge. Riteneva che il generico richiamo operato dal giudice di prime cure alle valutazioni di competenza esclusiva dell’imprenditore, non fosse sufficiente alla luce dei requisiti di certezza e precisione ai fini della deduzione di una perdita su crediti ai sensi dell’art. 101, comma 5 TUIR. La lettera prodotta dalla contribuente a riprova dell’insolvibilità del debitore risultava contraddetta dalle risultanze dell’A.T. con riguardo alla posizione dello stesso, che risultava proprietario di un immobile. Ben avrebbe quindi potuto la S.I.M.E. SIE S.r.l. agire con procedimento ingiuntivo per recuperare il proprio credito.
Si costituiva la contribuente con proprie controdeduzioni, insistendo, in particolare, sulla piena legittimità del proprio operato e delle deduzioni contestate:
a. sottolineava come seguendo gli assunti e la ricostruzione operata dall’Ufficio, lo stesso si fosse di fatto sostituito all’imprenditore nelle valutazioni e nell’attuamento del buon andamento dell’impresa. Riteneva quindi legittima la deduzione del costo pari al compenso del dipendente sig. G.F.;
b. piena legittimità della deduzione di costi di ricerca sostenuti dalla società. Rappresentava come fosse ampiamente provata la partecipazione della società ai lavori dell’associazione AMIS ed altresì che fosse errato ritenere i relativi costi come non inerenti all’attività svolta dalla stessa, in quanto “con l’affitto, l’azienda è pur sempre rimasta di proprietà della società e sostenere costi di ricerca è una necessità per mantenere valorizzato e sempre aggiornato l’apparato produttivo aziendale”;
c. legittimità della deduzione su crediti di euro 42.208,56. Affermava come la tesi sostenuta dall’Ufficio non fosse corroborata da alcun elemento probatorio e che, al contrario, l’assenza di beni in capo al debitore risultasse dalle visure catastali prodotte da parte appellata;
d. nullità dell’avviso di accertamento per mancato adempimento dell’obbligo di attivazione del contradditorio.
L’appello va accolto.
Dalla documentazione agli atti emerge che la questione da esaminare riguarda l’inerenza dei costi sostenuti dall’odierna appellata e se il Giudice di prime cure, legittimamente ne abbia dedotto la deducibilità rispetto all’attività d’impresa svolta dalla società.
La prassi ministeriale (Circolare n. 30/9/944 del 07/07/1983 e Risoluzione n. 158/E del 28/10/1998) ha chiarito come il concetto di inerenza non sia legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività di questa e, pertanto, possono essere considerati deducibili anche costi e oneri sostenuti in proiezione futura, quali le spese promozionali e, comunque, quelle dalle quali si attendono ricavi in tempi successivi.
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 18391 del 09 luglio 2019, ha affermato rilevanti considerazioni in tema di inerenza del costo, soprattutto sotto il profilo dell’onere della prova e del rapporto con il concetto di antieconomicità.
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che, come anche già chiarito con l’ordinanza n. 18904/2018 della stessa Cassazione, il principio di inerenza esprime una correlazione tra costi e attività d’impresa in concreto esercitata e si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, pur non essendo però il giudizio quantitativo o di congruità del tutto irrilevante, collocandosi piuttosto su un diverso piano logico e strutturale.
La questione, rileva la Corte, si intreccia del resto con il profilo dell’onere della prova dell’inerenza del costo che, secondo la costante giurisprudenza, incombe sul contribuente, mentre spetta all’amministrazione la prova della maggiore pretesa tributaria (cfr. Cassazione nn. 10269/2017, 21184/2014 e 13300/2017).
E’ evidente la correlazione tra la spesa e l’attività d’impresa.
In tal senso si spiega, quindi, la giurisprudenza che distingue tra beni “normalmente necessari e strumentali” e beni “non necessari e strumentali”, concludendo nel ritenere a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza (Cassazione n. 6548/2012).
L’antieconomicità del comportamento imprenditoriale richiede quindi, da parte dell’amministrazione, la dimostrazione dell’inattendibilità della condotta, anche considerati i diversi indici che presiedono la stima della redditività dell’impresa (Cassazione nn. 13468/2015 e 21869/2016) a fronte della quale spetta poi al contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate (Cassazione n. 25257/2017).
Pertanto, in tema di imposte dirette, l’amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo, può anche contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono appunto rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi in essa.
Né è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto, da cui ricavarne, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica, laddove comunque le fatture non possono, ex se, dimostrare l’esistenza, inerenza e la proporzionalità delle somme impegnate.
La nozione fiscale di inerenza deve, in sostanza, essere riallineata al fenomeno economico peculiare all’esercizio dell’attività d’impresa.
L’inerenza costituisce un requisito fondamentale per la determinazione del reddito d’impresa e i costi sono inerenti, in quanto collegati all’attività d’impresa produttiva del reddito soggetto a tassazione.
L’articolo 109, comma 5, del Tuir, disciplina, del resto, un profilo ulteriore e successivo- le regole di deducibilità dei costi- rispetto all’inerenza, che è presupposta (i costi per essere deducibili debbono anche, e necessariamente, essere inerenti ma non definita dalla norma.
Anche in tema di Iva, è possibile individuare indicazioni di analoga portata, laddove l’articolo. 19, primo comma, Dpr 633/1972 prevede che il soggetto passivo ha diritto di detrarre l’imposta assolta o dovuta … o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione”.
La nozione di inerenza, in sostanza, non è definita, ma “postulata” in relazione ai costi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa.
E la sua nozione trae fondamento dallo stesso concetto economico-aziendalistico di reddito, che è quello al netto dei costi collegati all’esercizio dell’impresa.
Ne deriva, quindi, che, come detto, l’inerenza integra, in realtà, un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, giudizio che, come tale, ha natura qualitativa.
In questa prospettiva appare però suscettibile di assumere rilievo anche un giudizio sulla congruità (e antieconomicità} della spesa, laddove l’oggetto del giudizio di congruità indica un giudizio sulla proporzionalità tra il quantum corrisposto e il vantaggio conseguito.
Pertanto è configurabile un nesso tra due giudizi su un piano strettamente probatorio: la dimostrata sproporzione assume valore sintomatico, di indice rivelatore, in ordine al fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è diverso ed estraneo all’attività d’impresa, ossia che l’atto, in realtà, non è correlato alla produzione ma assolve ad altre finalità e, quindi, il requisito dell’inerenza è inesistente. E, in tema di Iva, tale prova è “aggravata”, dato che l’inerenza del costo non può essere esclusa in base a un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’amministrazione finanziaria ne dimostri la 11macroscopica” antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa (Cassazione, sentenza n. 18904/2018).
Come ben evidenziato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 14579/2018, ai fini della deducibilità dei costi, non è peraltro sufficiente che l’attività svolta rientri tra quelle previste nello statuto sociale (circostanza che ha un valore meramente indiziario) dovendo il contribuente dimostrare che l’operazione da cui deriva la spesa sia inserita in una specifica attività imprenditoriale e destinata, almeno in prospettiva, a generare un lucro in proprio favore.
E dunque, il criterio del perseguimento del vantaggio economico torna comunque ad assumere indirettamente rilevanza, affermando che “l‘antieconomicità e l‘incongruità della spesa sono indici rivelativi della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa“.
Ai fini delle imposte sui redditi, la valutazione di antieconomicità, ossia della evidente incongruità dell’operazione, legittima il potere dell’amministrazione finanziaria di accertamento, laddove l’accertata sproporzione del costo assume valore sintomatico del fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è estraneo all’attività d’impresa, ossia che l’atto non è correlato alla produzione, ma assolve a diverse finalità (Cassazione, ordinanza n. 16010/2019).
Tutta la questione, in pratica, si sposta sul piano probatorio, laddove l’antieconomicità dell’operazione non comporta automaticamente l’indeducibilità dei costi, ma semplicemente la necessità di una prova più “convincente” in ordine alla deducibilità del componente negativo.
Sarà allora compito del contribuente dimostrare l’inconsistenza dell’impianto logico e giuridico dell’Erario e questo non come conseguenza di un’inversione dell’onere della prova, ma come adempimento dell’onere della prova di ciascuna delle parti in processo (ex articolo 2697 cc).
Alla luce della suesposta e consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in materia di inerenza e deducibilità dei costi, questa Corte, esaminati gli atti prodotti in giudizio, ritiene fondato l’appello per l’indebita deduzione di costi sostenuti nell’interesse di terzi, elencati dettagliatamente nell’atto di appello, da parte della società appellata, la cui attività dichiarata nell’anno 2012 è quella di “affitto di azienda”.
Il giudice di prime cure non ha considerato che all’amministrazione finanziaria non importa criticare le capacità imprenditoriali degli amministratori della società, ma solo evidenziare come, nell’ambito dell’id quod plerumque accidit, tale antieconomicità e irragionevolezza imprenditoriale possa essere “sintomo di evasione”.
Le spese seguono la soccombenza per entrambi i gradi di giudizio.
PQM
La Corte di Giustizia di II° dell’Emilia Romagna, in riforma della sentenza appellata, conferma l’avviso di accertamento,
ACCOGLIE
L’appello della Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Reggio Emilia e condanna la società S.I.M.E. SIE s.r.l. alle spese di entrambi i gradi di giudizio, che vengono stabilite in euro 4600,00 per il primo grado ed euro 4900,00 per il secondo grado, oltre oneri ed accessori di legge.
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