Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Calabria, sezione 1, sentenza n. 3005 depositata il 12 ottobre 2022
Controlli – Garanzie del contribuente – Contraddittorio preventivo – Attività di indagine, verifica e controllo -Accessi istantanei – Rientrano
Massima:
L’obbligo del contraddittorio preventivo, quale espressione dei princìpi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, riguarda qualsiasi attività di indagine, verifica o controllo, indipendentemente dalla denominazione terminologica o tecnica adoperata, dovendosi applicare anche agli accessi istantanei, volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento. Tanto, si ricava anche dalla circolare n. 16/E del 28.04.2016, con cui l’Agenzia delle entrate si è data regole operative che le impongono l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo prima di addivenire alla formulazione della pretesa impositiva tramite l’adozione di atti incisivi della sfera giuridica dei contribuenti, e ciò al fine di pervenire a decisioni partecipate e di ridurre il contenzioso avanti agli organi di giustizia tributaria.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Le società in epigrafe riassumono il presente giudizio a seguito dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 28109/2021, che ha annullato, con rinvio per le censure rimaste assorbite, la sentenza di questa CTR n. 3322/03/2019, con cui è stato accolto l’appello delle medesime parti avverso le sentenze della CTP di Catanzaro n. 1695/04/2014 e 1696/04/2014, di rigetto del ricorso avverso gli avvisi di accertamento n. TDY03T300330/2013 n. TDY03T300381/2013, per Ires ed Irap del 2007 e 2008.
L’Agenzia delle Entrate ha controdedotto.
All’udienza del 30 settembre 2022, sentito il relatore, la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La sentenza della CTR Calabria n. 3322/03/2019, che ha accolto l’appello delle società in epigrafe avverso la sentenza della CTP di Catanzaro n.1695/04/2014 e n.1696/04/2014, ad esse contrarie, ha motivato l’annullamento degli atti impugnati sulla circostanza dell’avvenuta assoluzione in sede penale “del legale rappresentante della società cessionaria delle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti per i fatti posti a base del recupero delle imposte da parte dell’amministrazione finanziaria” (cfr. Cass., ord. n. 28109/2021, pag. 2), con sentenza passata in giudicato successivamente alla conclusione del processo di primo grado.
Nel far ciò, tuttavia, “la CTR si è limitata a dare atto dell’esito del giudizio penale, astenendosi completamente dal valutare se, ed in quale misura, gli esiti del provvedimento penale potevano incidere nella controversia sottoposta al suo esame”.
In sede di rinvio, pertanto, dovranno essere esaminati i motivi andati assorbiti.
Osserva questa Corte che la statuizione di accoglimento di cui alla sentenza n. 3322/03/2019 può trovare conferma, sia pur con diversa della motivazione.
E’ infatti fondato il primo motivo di appello, dove si denuncia la violazione dell’art. 12, ultimo comma, della legge n. 212 del 2000.
Deduce invero la parte che, a seguito della comunicazione del p.v.c. del 23.04.2010, sono state presentato le deduzioni in data 22.06.2010, a seguito delle quali è scaturita un’ulteriore attività istruttoria, al cui esito non è stato consegnato nessun processo verbale di chiusura. Inoltre, “i vari processi verbali di accesso (capziosamente dall’Ufficio qualificati come processi verbali di constatazione), menzionati a pag. 3 dell’atto impositivo, non riportavano alcuna ipotesi di addebito per quanto concerne i profili ora contenuti nell’atto qui impugnato”.
In replica a ciò, nelle controdeduzioni del 09.05.2022, l’Agenzia delle Entrate osserva che “nel caso di specie, a parte la verifica svolta nel 2010 (al cui esito è stata notificato regolarmente il PVC), l’Ufficio ha svolto un accesso mirato, autorizzato con apposita lettera di incarico (v. allegato); ha successivamente integrato l’istruttoria in contraddittorio con la parte, richiedendo chiarimenti e documentazione. In occasione dell’accesso sono stati redatti appositi verbali in contraddittorio con la parte, per come dettagliatamente riportato nella motivazione dell’avviso di accertamento. Ulteriori chiarimenti sono stati richiesti per mezzo dell’invito I00179/2012. Tutto ciò considerato, si ritiene che l’Ufficio abbia agito nel pieno rispetto della norma; per tutta l’attività di indagine svolta al di fuori dei locali e/o della sede dell’impresa, l’Ufficio non era tenuto a redigere alcun processo verbale di constatazione, come correttamente rilevato dalla CTP”.
Ciò premesso, osserva il collegio che la CTP, nel respingere la doglianza, ha osservato come “i diritti e le garanzie riconosciuti dall’art. 12 L. 212/2000 attengono al solo contribuente sottoposto a verifiche fiscali, mentre nel nostro caso l’atto impugnato è scaturito da un esame documentale svolto dall’amministrazione resistente in ufficio, a seguito di accesso mirato e non presso i locali dell’azienda ne consegue che, in assenza di una vera e propria verifica fiscale, non sussisteva l’obbligo dell’Ufficio di consegnare il processo verbale di chiusura prescritto dall’art. 12 co. 7 della L. 212/2000”.
L’argomentazione non convince.
Occorre premettere che, secondo la Suprema Corte, l’art. 12, ultimo comma, della legge n. 212 del 2000, quale espressione dei princìpi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, si applica anche agli accessi c.d. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento, sicché, anche in detta ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso ante tempus (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 12 settembre 2022, n. 26695); esso, inoltre, riguarda qualsiasi attività di indagine, verifica o di controllo, indipendentemente dalla denominazione terminologica o tecnica adoperata dal legislatore o dagli organi di controllo (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2594, in tema di verifiche bancarie).
Inoltre, la stessa Agenzia delle entrate, con circolare n. 16/E del 28.04.2016, si è data regole operative che le impongono l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo prima di addivenire alla formulazione della pretesa impositiva tramite l’adozione di atti incisivi della sfera giuridica dei contribuenti, e ciò al fine di pervenire a decisioni partecipate e di ridurre il contenzioso avanti agli organi di giustizia tributaria: scopo della predetta circolare è in definitiva quello di rendere effettivo l’apporto che i contribuenti possono dare nella ricostruzione delle vicende poste a base degli atti tributari.
A tali considerazioni, si aggiunge che la sentenza è errata, laddove pretende di scindere la complessiva attività di accertamento svolta a carico della parte istante in due verifiche distinte e separate: una di carattere “fiscale”, terminata nel 2010 ed una di carattere “documentale”, iniziata dopo.
Al contrario, gli atti della verifica svolta nel 2010 e quelli dell’accertamento impugnato costituiscono parte unitaria di una stessa attività, nella quale le medesime vicende sostanziali sono trattate mediante l’esame dei nuovi documenti acquisiti, alla luce di quanto già in atti.
Pertanto, le relative valutazioni finali avrebbero dovuto confluire in un p.v.c., da sottoporre al preventivo contraddittorio.
La natura formale della decisione consente di compensare le spese del doppio grado di giudizio, nonché quelle del processo in Cassazione.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Calabria, Sez. I, giudicando su rinvio della Corte di Cassazione, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, richiesta, eccezione e deduzione, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, annulla gli avvisi di accertamento n. TDY03T300330/2013 n. TDY03T300381/2013.
Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.