Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, sezione 4 sentenza n. 7292 depositata l’ 11 novembre 2022
Ai fini della fruizione del regime fiscale agevolato per le società sportive dilettantistiche non rileva il contenuto formale dello statuto o dell’atto costitutivo, ma occorre dimostrare che, nel perseguimento delle finalità associative, vi sia effettiva esplicazione di attività senza fine di lucro
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società “XXX” proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento n. XXX/2019, per l’anno 2014 di €. 375.616,00 oltre interessi e sanzioni, emesso dall’Agenzia delle Entrate di Salerno. Tale accertamento era scaturito da un controllo (anni 2013 e 2014) dalla medesima DP dell’Agenzia delle Entrate a seguito del quale era stato notificato un PVC con relativo disconoscimento dello status di ente associativo non profit, con rideterminazione di maggiori imponibili ai fini delle imposte. La società eccepiva: a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 148 c.3 TUIR; B) Violazione e falsa applicazione dell’art. 90 L. 289/2002 e C) Errori di calcolo nella determinazione del maggiore base imponibile.
Chiedeva in via principale:
l’annullamento dell’avviso di accertamento ed In via subordinata: l’annullamento parziale dell’avviso di accertamento in relazione ai motivi in fatto indicati.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio controdeducendo la totale infondatezza dei motivi di ricorso ed inidonei ad inficiare la legittimità dell’accertamento impugnato. Chiedeva il rigetto del ricorso e la condanna alle spese di giudizio.
La sentenza della CTP di Salerno n. 467/21 del 14/12/2020, depositata il 01/02/2021, rigettava il ricorso per “l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime fiscale di vantaggio di cui alla Legge 398/1991, con il conseguente recupero a tassazione, non potendosi reputare sufficiente il rispetto formale delle prescrizioni imposte dalla norma”, con condanna alle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza della CTP di Salerno, la società “XXX” proponeva atto di Appello, in data 14/09/2021, regolarmente notificato, ed eccepiva: a) Illegittimità ed erroneità della sentenza per difetto di motivazione; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 148 comma 3 del TUIR e c) violazione e falsa applicazione dell’art. 90 L. 289/2002. Chiedeva in via principale di dichiarare illegittima la sentenza impugnata e per effetto annullare l’avviso di accertamento ed in via subordinata la riduzione dei maggiori importi accertati in base alla ricostruzione effettuata dalla parte.
L’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Salerno si costituiva in giudizio, in data 02/11/2021, e con controdeduzioni chiedeva il rigetto dell’appello con vittoria alle spese del presente grado di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appellante ripropone tutte le doglianze già proposte nel ricorso introduttivo oltre all’Illegittimità ed erroneità della sentenza per difetto di motivazione.
La società eccepisce che i giudici di prime cure hanno accolto in toto le conclusioni dell’Ufficio senza in alcun modo riscontrare quanto asserito e documentato dalla parte ricorrente. La sentenza doveva riprendere e confutare oggettivamente tutte le argomentazioni giuridiche espresse dalle parti.
La Cassazione a SS.UU. con sentenza n. 642/2015 ha affermato il seguente principio di diritto “Nel procedimento civile – ed in quello tributario – non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte , sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata“, ripresa dalla Cassazione con Ordinanza n. 435/2020.
Il Collegio ritiene che la sentenza è congruamente e puntualmente motivata in quanto i giudici hanno esaminato se, in base alla documentazione versata in atti, la società XXX avesse rispettato i requisiti per accedere al regime fiscale di vantaggio di cui alla L. n. 398/91 ed hanno evidenziato che non è sufficiente l’aspetto formale della veste giuridica assunta, ma il rispetto dei requisiti sostanziali previsti per l’accesso a tali facilitazioni.
Nell’esaminare l’atto di appello si osserva che le associazioni sportive, pur non essendo obbligate alla tenuta delle scritture contabili obbligatorie, devono comunque porre in essere una serie di adempimenti documentali, da cui si possa dedurre la natura “dilettantistica” e le modalità di esercizio dell’attività, laddove il rendiconto economico finanziario rappresenta senza dubbio uno strumento di trasparenza e di controllo dell’intera gestione economica e finanziaria dell’associazione, da cui poter desumere non soltanto il risultato economico dell’anno, ma anche la corretta destinazione degli utili di esercizio prodottisi nel corso degli anni ovvero delle modalità di copertura delle eventuali perdite.
In relazione alla materia trattata questo Collegio rileva che gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dal DPR n. 917/86, art. 148 (in materia di IRPEG) e del D.P.R. n. 633/72, art. 4 (in materia di IVA) come modificati, con evidente finalità antielusiva, dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 5, a condizione che riportano non solo l’inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate ma anche dell’accertamento che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse.
Il mancato rispetto delle clausole di cui all’art. 148, comma 8, TUIR e art. 4, comma 7, DPR 633/72 comporta il venir meno delle agevolazioni.
La Cassazione con sentenza n. 11456/2010 ha affermato che “Deve, infatti, ritenersi che l’applicazione alle associazioni sportive dilettantistiche, ed agli altri enti associativi ivi elencati, del trattamento agevolato previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 come modificati, con evidente finalità antielusiva, dal D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, art. 5 – trattamento correlato ai fini di rilevanza sociale perseguiti dagli enti medesimi e ritenuti dal legislatore meritevoli di particolare tutela, è soggetta alla condizione dell’inserimento, negli atti costitutivi o negli statuti, di tutte le clausole in tale norma dettagliatamente indicate (entro il termine, per le associazioni già costituite alla data del 1 gennaio 1998, del 18 dicembre 1998), nonché, ovviamente, all’accertamento – effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione – che l’attività delle associazioni si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse. Non è affatto sufficiente, pertanto, al fine della fruizione del trattamento tributario di favore in esame, né la mera appartenenza dell’ente alla categoria delle associazioni in questione, né la conformità dello statuto alle norme stabilite per il riconoscimento della relativa qualifica“.
I giudici di legittimità, con Ordinanza n. 14696/2018, hanno affermato che ” gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 (in materia di IRPEG) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 (in materia di IVA) come modificati, con evidente finalità antielusiva, dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 5 – a condizione non solo dell’inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nel D.Lgs. n. 460 cit., art. 5 ma anche dell’accertamento – effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione – che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse“.
La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 8182/2020 si è pronunciata in tema di associazioni sportive dilettantistiche ed occorre distinguere tra la questione relativa all’individuazione della qualità dell’ente da quella relativa alla qualificazione delle attività poste in essere dallo stesso, ai fini fiscali, quali commerciali o non commerciali e che le agevolazioni fiscali sono precluse qualora si svolga attività di tipo commerciale.
I Giudici della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21185/2020, rimanendo nel solco dell’orientamento giurisprudenziale in materia, hanno affermato che l’esenzione d’imposta prevista dall’art. 148 del D.P.R. n. 917/1986, in favore delle associazioni non lucrative, dipenda non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, Associazione Sportiva Dilettantistica), ma anche dall’effettivo svolgimento di un’attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato dell’affiliazione al CONI. Non è sufficiente che l’associazione sportiva sia iscritta ai registri del CONI per poter godere dei benefici fiscali contenuti nella Legge n. 398/1991.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 4331/21, ha statuito che le associazioni sportive possono godere di un particolare regime di favore, previsto dall’art. 148, primo, secondo e terzo comma nonché del comma 8 TUIR, a condizione che sussistano i requisiti richiesti dalla normativa in oggetto, la cui dimostrazione spetta al contribuente che se ne voglia avvalere.
Da ultimo per la Corte di Cassazione, Ordinanza n. 29800/2022 depositata il 12 ottobre, non è determinante “il contenuto formale dello statuto o dell’atto costitutivo, che pur è d’obbligo quanto ai principi cui deve conformarsi l’attività, né la mera evidenza delle prescrizioni e regole organizzative (regolarità della tenuta dei libri contabili, regolarità delle iscrizioni dei soci, osservanza del principio di democraticità dell’ente), né la veste giuridica assunta. Ciò che rileva, ai fini del controllo e delle valutazioni, è l’esplicazione concreta di attività senza fini di lucro, nel perseguimento delle finalità associative“.
L’atto impugnato si fonda sul disconoscimento operato dall’Ufficio della natura associativa dell’ente, con conseguente decadenza dal regime fiscale di vantaggio di cui alla Legge 398/1991. Per beneficiare del quale occorre avere una serie di requisiti di cui la Società in epigrafe risulta priva, sulla base dei rilievi di cui al PVC, che conducono inequivocabilmente verso la tesi della natura non associativa dell’ente ricorrente.
L’Agenzia delle Entrate in sede di verifica ha attribuito numerose violazioni, come l’esercizio di attività inequivocabilmente commerciali, entrate non contabilizzate e mancata tenuta dei libri sociali ed ha rilevato un’incongruente differenza tra il numero dei tesserati e dei soci.
Occorre verificare se l’Associazione possa ritenersi beneficiaria dei vantaggi fiscali previsti dalla L. n. 398 del 1991 oppure aver svolto quel ruolo di schermo per le attività sì da essere considerata soggetto fittiziamente interposto.
La Legge n. 398/91 prevede a favore delle associazioni sportive dilettantistiche, associazioni senza fini di lucro e pro loco, particolari modalità di determinazione forfetaria sia del reddito imponibile che dell’IVA da versare, nonché l’esonero dagli adempimenti contabili.
La legge 398/91 esenta i club aderenti dagli obblighi previsti da norme fiscali, inclusa la contabilità dell’attività commerciale, il che tuttavia non significa che il sodalizio tragga vantaggio da esoneri che potrebbero diventare omissioni, anzi proprio la presenza di ricavi rilevanti ai fini tributari impone una congrua qualità ed efficacia amministrativa e induce a convenire, ancora una volta, sull’opportunità di aggiornare scritture e registri anche se non vi è obbligo di farlo.
Per poter accedere al regime fiscale di vantaggio di cui alla Legge 398/1991, l’associazione deve rispettare una serie di parametri che il legislatore ha fissato in maniera stringente, trattandosi di una disciplina del tutto eccezionale rispetto a quella ordinariamente prevista per la tassazione dei redditi prodotti dai soggetti diversi dalle persone fisiche, onde evitare che sia violata la disciplina della libera concorrenza ove si consenta a soggetti, che fanno un uso distorto dello strumento associazionistico, di svolgere attività d’impresa, sottraendo alla regolare tassazione i ricavi ottenuti dalla medesima.
La gestione dell’attività da parte di soci dominanti, conferma la gestione di tipo imprenditoriale finalizzata alla distribuzione di utili di gestione usufruendo di una veste giuridica impropriamente qualificata come non commerciale per diretta derivazione della denominazione di “associazione sportiva dilettantistica” al solo fine di ottenere un trattamento fiscale di maggior favore.
In tema di divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili è emerso nel corso del controllo che l’associazione ha conseguito utili maggiori di quelli emergenti da rendiconti approvati per gli anni 2013 e 2014, confermando l’inosservanza di un fondamentale principio posto a carico degli enti non commerciali.
Allo stesso modo, le ulteriori distrazioni di fondi dalle disponibilità dell’Associazione per spese non documentate confermano la sostanziale finalità lucrativa e non di promozione sociale dell’ente.
Il Collegio constata che il venir meno della natura associativa e la conseguente decadenza dal regime fiscale di vantaggio di cui alla Legge 398/1991, fa si che l’Ufficio riprenda a tassazione ordinaria l’intero ammontare dei ricavi dichiarati dall’associazione.
Viene, altresì, rilevato che in merito alla ripresa di componenti: positivi di reddito pari a €. 76.793,58 non contabilizzati e pertanto non dichiarati; negativi dei Costi non documentati per €. 165.885,03 per rimborsi forfettari di spesa (carenza di documentazione giustificativa), per compensi ed ulteriori costi (derivanti dalla differenza tra i costi indicati nel rendiconto ed i costi documentati), la società ha provveduto solo alla loro contestazione non dandone prova concreta né ha sollevato ed effettuato eccezioni di quanto rilevato dagli accertatori alla conclusione del PVC.
Per quanto su detto e rilevato che dagli atti prodotti non risulta che l’appellante ha rispettato le prescrizioni contenute nelle clausole imposte dalla normativa di riferimento, l’appello deve essere rigettato.
Condanna la società, per effetto della soccombenza, alle spese di questo grado di giudizio che si liquidano come da dispositivo, sulla base del D.M. 55/2014 tabella 24.
P.Q.M.
Rigetta l’appello e condanna l’appellante “Società Polisportiva Balnea ASD” al pagamento delle spese di rito di questo grado di giudizio, in favore dell’Agenzia delle Entrate, che si liquidano in €. 3.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Salerno, 21.10.2022
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