Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, sezione n. 16, sentenza n. 4008 depositata il 26 giugno 2023
IMU – ente religioso – attività sanitaria convenzionale con ilSSN
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 12819/2021 sezione 18 , depositata il 24/11/2021 la Commissione Tributaria Provinciale di accoglieva in parte il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento Imu anno 2015 dall’Ente Provincia Religiosa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, dell’Opera di Don Orione decidendo che fossero soggetti a tassazione Imu gli immobili dell’Ente dove veniva svolta attività sanitaria, seppur in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale, sul presupposto, come si legge nella sentenza impugnata, che << In merito ai cespiti adibiti allo svolgimento di attività sanitaria, va evidenziato che la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3528 del 2018, ha chiarito che la circostanza che l’attività sanitaria sia svolta in forma convenzionata con Pubbliche amministrazioni (ivi compreso il Servizio Sanitario Nazionale) non consente di ritenere che gli immobili ove tale attività è svolta siano esenti dal pagamento delle imposte locali (tra cui l’IMU, come nel caso di specie). Tale soluzione si spiega perché, anche in tal caso, l’attività posta in essere non può dirsi di carattere non commerciale, in quanto è comunque svolta a fronte del pagamento di un corrispettivo che sia in grado di ricoprire i costi e di remunerare chi la svolge. Tuttavia, in caso di attività convenzionata, tale corrispettivo sarà pagato non dall’utenza ma dalla Pubblica Amministrazione che ha stipulato la convenzione, ma ciò non incide sulla natura dell’attività svolta. Tali coordinate sono certamente applicabili al caso di specie, in cui l’ente ricorrente possiede degli immobili in cui è svolta attività sanitaria (principalmente) in regime convenzionato con il Sistema Sanitario Nazionale. Con riguardo a tali immobili, quindi, non può trovare applicazione l’esenzione prevista in favore degli enti che svolgono attività di carattere non commerciale.>>
Il ricorso veniva accolto, invece, relativamente agli immobili dell’Ente classificati nella categoria catastale B01 in quanto <>
Con l’accoglimento parziale del ricorso sono state compensate le spese di lite.
La sentenza di primo grado è stata impugnata dall’Ente ecclesiastico con atto di appello notificato a mezzo pec in data 23.05.2022 alle controparti e depositato telematicamente alla CTR della Campania in data 24.05.2022.
L’appellante come motivi di ricorso in appello eccepisce che la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli ha errato in quanto:
a) ha omesso di pronunciarsi sul motivo di ricorso in primo grado circa l’errata applicazione dell’imposta Imu calcolata su rendite catastali non ancora vigenti al 1° gennaio dell’anno oggetto di accertamento (2015) ma rettificate dagli Uffici Catastali nel 2016 utilizzate per determinare l’imposta del secondo semestre 2015, in violazione del comma 1 dell’articolo 74 della L. n.342/00 il quale testualmente recita: “A decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita.>>
b) ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di non applicazione delle sanzioni nel caso di soccombenza anche solo parziale sussistendo i presupposti per la non applicazione delle sanzioni stante l’incertezza sulla applicazione della norma ai sensi dell’ art. 10, comma 3, della Legge n. 212 del 27/7/2000 ,nonché ai sensi dell’ art. 6 comma 2 del D.lgs. 472/1997 nonché ai sensi dell’art. 8 D.lgs. 546/1992.
c) spetta all’Ente l’esenzione dall’Imu relativamente ai cespiti utilizzati per l’attività sanitaria negata dai Giudici di primo grado che hanno fondato la loro decisione solo sull’ordinanza n. 3528 del 2018 della Cassazione riferita alla normativa Ici mentre per l’Imu tornerebbero applicabili le disposizioni dell’art. 91 bis, comma 3, del DL 24/1/2012 e del decreto n. 200 del 19 novembre 2012, che all’art. 1 lettera p) definisce diversamente le attività commerciali ed all’art.4 all’art. 4 comma 2 dispone che lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali. Eccepisce che anche a voler applicare i principi richiamati dalla sentenza della cassazione citata nella sentenza appellata l’Ente non svolge attività orientata alla realizzazione di profitti non solo perché le tariffe sono stabilite dalla convenzione, ma anche perché il risultato della gestione di tali attività evidenzia una perdita d’esercizio dell’anno 2015 dichiarata nell’apposito quadro RF rigo RF5 pari a 2.089.551 euro.
Conclude per la riforma della sentenza impugnata e l’accoglimento dell’appello con vittoria delle spese processuali e in via subordinata per il ricalcolo dell’imposta tenendo conto dell’accatastamento vigente al 1° gennaio 2015 e la non applicazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 10, comma 3, della Legge n. 212 del 27/7/2000, art. 6 comma 2 del D.lgs. 472/1997 e art. 8 D.lgs. 546/1992.
Si costituisce in giudizio la controparte che sostiene la infondatezza dell’appello in quanto eccepisce che l’Ente Provincia Religiosa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, dell’Opera di Don Orione non ha dato prova concreta in merito alle attività svolte negli immobili per cui chiede l’esenzione, con consequenziale legittimità dell’avviso di accertamento. Eccepisce che la normativa richiamata del DM 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 2 come affermato da recente sentenza della Cassazione (Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 05/03/2019) 11/04/2019, n. 10124) << non ha valore di legge, tanto più che lo stesso appare, per questa parte, essere stato emanato ultra vires, dato che il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91-bis, non demandava al decreto ministeriale il compito di definire autoritativamente il concetto di “modalità non commerciali” ma solo il compito di stabilire modalità e procedure da seguire in caso di utilizzazione mista di un immobile, al fine di individuare il rapporto percentuale tra utilizzazione commerciale e utilizzazione non commerciale dell’immobile stesso.>>.
Eccepisce ancora che l’Ente svolge anche attività al di fuori della convenzione con il Servizio sanitario Nazionale e nella brochure dell’Ente si dà atto di ciò: “Elenco Prestazioni – Fuori Convenzione”. Per quanto riguarda la data di variazione delle rendite catastali eccepisce che la rendita attribuita a seguito di rettifica da parte dell’Ufficio dell’Agenzia del Territorio, non ha valore costitutivo, ma dichiarativo-ricognitivo, quindi con efficacia retroattiva.
Con successive memorie depositate il 14.02.2023 il Comune di Ercolano ha ulteriormente illustrato le proprie difese.
All’udienza del 03.03.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va accolto il primo motivo di appello. Come eccepito dall’appellante e riconosciuto anche dal Comune appellato nelle sue controdeduzioni in appello, gli immobili indicati dal n.4 al n7 dell’atto di accertamento (precisamente fg. 12, p.lla 1552, sub 5 – cat. D/4 – R.C. ? 65400,00; fg. 12, p.lla 1552, sub 7 – cat. D/4 – R. C. ? 24600,00; fg. 12, p.lla 1552, sub 8 – cat. D/4 – R.C. ? 29500,00; fg. 12, p.lla 1552, sub 10 – cat. D/4 – R.C. ? 3340,00) risultavano sino alla data del 15.06.2022 accatastati con diversa categoria e rendita (precisamente fg. 12, p.lla 1552, sub 5 – cat. B/1 – cl. 1 – R.C. ? 12176,80; fg. 12, p.lla 1552, sub 7 – cat. B/1 – cl. 1 – R.C. ? 5583,51; fg. 12, p.lla 1552, sub 8 – cat. B/1 – cl. 1 – R.C. ? 5478,57; fg. 12, p.lla 1552, sub 10 – cat. B/1 – cl. 1 — R.C. ? 247,90).
Con avviso di accertamento catastale N.2021 NA0249791 del 16.06.2015 notificato al contribuente odierno appellante in data 22.11.2021 per i quattro immobili sono stati rettificati il classamento e la rendita.
L’appellante eccepisce che torna applicabile la previsione di cui al comma 1 dell’articolo 74 della L. n.342/2000 il quale testualmente recita: “A decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita”. In proposito è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite che ha affermato il seguente principio: < per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti” la determinazione della “base imponibile” ai fini dell’ICI va sempre definitivamente effettuata sulla base della rendita catastale, a prescindere dall’epoca sia di attribuzione che di comunicazione della stessa. E.3., La necessità scaturente dagli artt. 3 e 53 Cost., di applicare l’imposta, in via definitiva, in base al parametro impositivo prescelto dal legislatore evidenzia, infine, la fragilità della tesi giurisprudenziale che esclude l’applicabilità, alle annualità di imposta anteriori all’attribuzione, della rendita attribuita ai fabbricati classificati “nel gruppo catastale D > (Cass. civ., Sez. Unite, Sentenza, 09/02/2011, n. 3160).
Poiché l’accertamento oggetto del presente contenzioso è stato notificato in data 26.02.2021, prima della notifica in data 22.11.2021 della variazione delle rendite catastali, le nuove rendite non possono trovare applicazione.
Va rigettato, invece, il terzo motivo di appello in ordine alla esenzione dall’Imu, relativamente ai cespiti utilizzati per l’attività sanitaria, spettante , secondo l’appellante, sulla base delle disposizioni dell’art. 91 bis, comma 3, del DL 24/1/2012 e del decreto n. 200 del 19 novembre 2012, art. 1 lettera p) , che definisce diversamente le attività commerciali, ed all’art.4 all’art. 4 comma 2 che dispone che lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
Va effettuata una seppur breve ricostruzione della normativa applicabile ai sensi dell’art.91 bis del DL 24/1/2012 che detta le “Norme sull’esenzione dell’imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali” come segue:
– al comma 1 è stato modificato l’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, introducendo al comma 1, lettera i), dopo le parole «allo svolgimento» le seguenti: «con modalità non commerciali» per cui il testo in vigore così recita: “Sono esenti dall’imposta: i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all’imposta indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
– al comma 2 si prevede che “Qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione di cui al comma 1 si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l’ individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività”
– mentre al comma 3° “Nel caso in cui non sia possibile procedere ai sensi del precedente comma 2, a partire dal 1º gennaio 2013, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’ immobile quale risulta da apposita dichiarazione”
Prima di tutto si rileva che non è stato dimostrato quali immobile o porzioni di immobili sarebbero adibiti esclusivamente ad attività di natura non commerciale, né tantomeno risulta che l’appellante abbia presentato l'”apposita dichiarazione” volta a indicare la misura proporzionale di applicazione della esenzione prevista in ipotesi in cui non sia possibile tale separazione di attività.
L’appellante, però, sostiene che l’esenzione spetterebbe in ogni caso in quanto scaturente dal combinato disposto dell’art. 1 del decreto n. 200 del 19 novembre 2012, che lettera p) definisce le attività commerciali e dell’art.4 comma 2 che dispone che lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
Se ciò è vero è altrettanto vero però che la disposizione del 2° comma dell’art. 4 trova applicazione a condizione, come dispone il 1° comma, che siano “Fatti salvi i requisiti enunciati all’articolo 3 …” che a sua volta prevede che “Le attività istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale prevedono: a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili …; b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione …; c) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento …”.
A ciò si deve aggiungere che ai sensi dell’art.7 del Decreto n. 200 del 19 novembre 2012 “Entro il 31 dicembre 2012, gli enti non commerciali predispongono o adeguano il proprio statuto, a quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, del presente regolamento.”
In proposito con Risoluzione del Ministero dell’economia e delle finanze – Risoluzione 03/12/2012, n. 1/DF venne precisato che << seppure agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti non possono essere richiesti né la predisposizione né l’adeguamento dello statuto, si ritiene che questi ultimi debbano, comunque, conformarsi alle disposizioni di cui all’art. 3 del D.M. n. 200 del 2012, nelle stesse forme previste nel citato punto 1.11 della Circ. 26 giugno 1998, n. 168/E, vale a dire con scrittura privata registrata. Tale documento, peraltro, rientra tra quelli che detti enti debbono tenere a disposizione dei comuni, ai fini dell’attività di accertamento e controllo, secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 2, del D.M. n.200 del 2012.”
Con la risoluzione n. 1/DF del 3 Dicembre 2012 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiarito alcuni aspetti circa l’applicabilità dell’IMU agli enti ecclesiastici per cui, richiamando la circolare n. 168/E del 26 giugno 1998, la risoluzione del Ministero, ribadisce la non applicabilità agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti delle norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private (tra cui il possesso di uno statuto), ma prevede la predisposizione da parte degli stessi enti di un regolamento, nella forma della scrittura privata registrata da tenere a disposizione dei comuni, che recepisca le clausole dell’art.10, comma 1, del decreto legislativo n.460 del 1997. Ciò significa che gli enti ecclesiastici devono, comunque, conformarsi alle disposizione di cui all’art.3 del regolamento n.200 del 2012, circa i requisiti per lo svolgimento di attività con modalità non commerciali.
Anche sotto tale aspetto non risulta che l’appellante abbia ottemperato a tale disposizione.
Per di più la questione sulla pretesa esenzione ha trovato giurisprudenza contraria della Suprema Corte di cassazione che, in riferimento alla esenzione Imu per l’attività sanitaria convenzionata. ha avuto modo di chiarire, con motivazione che questa Corte condivide, che << Infatti anche in questo settore non vi è alcun profilo che consenta di affermare che l’attività sia svolta in forma gratuita o semigratuita, dovendosi ritenere che le tariffe convenzionali siano comunque, dirette a coprire i costi e a remunerare i fattori della produzione, salvo che in ragione di specifiche circostanze fattuali aventi, nel caso di specie assenti, possa dirsi che l’immobile viene destinato ad attività sanitaria svolta con modalità non commerciali escludendo la logica del profitto e del mercato. Né assume rilievo ai fini in questione l’osservazione che la prestazione sanitaria sia stata svolta in un mercato non concorrenziale dal momento che la qualifica dell’attività non dipende dal suo essere esercitata in regime di libero mercato. Nè è dirimente il fatto che l’attività sanitaria svolta in regime di convenzionamento si inserisca nel servizio pubblico (Servizio Sanitario Nazionale) gestito direttamente da una Istituzione pubblica. Il Servizio Sanitario infatti è attività pubblica ed eventualmente gratuita per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione ed i suoi rapporti con il cittadino utente ma nel caso in cui la P.A. si avvalga dell’opera di privati l’attività svolta da questi ultimi è attività commerciale ove sia prestata dietro corrispettivi pattuiti o stabiliti in funzione dei costi e dell’adeguata remunerazione dei fattori di produzione dei servizi demandati al privato stesso. Non può avere effetto vincolante la contraria qualificazione enunciata nella circolare 26.1.2009 secondo cui “lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse (…) sono accreditate, e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte (…) in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico trattandosi di una circolare amministrativa che ha una valenza interna e non può influire sulla qualificazione giuridica dell’attività che è invece demandata al giudice. Per completezza di esposizione può osservarsi che nessun valore vincolante può essere attribuito sul punto al D. del Ministero dell’Economia e delle Finanze 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 2. Esso non ha valore di legge, tanto più che lo stesso appare, per questa parte, essere stato emanato ultra vires, dato che il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91-bis, non demandava al decreto ministeriale il compito di definire autoritativamente il concetto di “modalità non commerciali” ma solo il compito di stabilire modalità e procedure da seguire in caso di utilizzazione mista di un immobile, al fine di individuare il rapporto percentuale tra utilizzazione commerciale e utilizzazione non commerciale dell’immobile stesso.>> (Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 05/03/2019) 11/04/2019, n. 10124)
Va accolto infine il secondo motivo di gravame con il quale l’appellante chiede la disapplicazione delle sanzioni nel caso di soccombenza anche solo parziale sussistendo i presupposti stante l’incertezza sulla applicazione della norma ai sensi dell’ art. 10, comma 3, della Legge n. 212 del 27/7/2000 ,nonché ai sensi dell’ art. 6 comma 2 del D.lgs. 472/1997 nonché ai sensi dell’art. 8 D.lgs. 546/1992.
Non vi è dubbio, infatti, che le norme così come modificate dalla normativa richiamata hanno sicuramente determinato incertezza sulla loro applicazione come è facile desumere anche dalla giurisprudenza richiamata di data successiva al periodo d’imposta oggetto del presente ricorso.
In conclusione, in riforma parziale della sentenza appellata, va accolto il primo motivo di appello per cui l’imposta Imu andrà applicata ai cespiti dal n. 4 al n. 7 dell’atto di accertamento ricalcolandola sulla base delle rendite catastali vigenti precedenti alla data di notifica dell’atto di variazione dell’accatastamento come esposto in precedenza, con disapplicazione delle sanzioni applicate sulla maggiore imposta dovuta.
L’accoglimento parziale dell’appello e la complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite del grado.
P.Q.M.
Accoglie parzialmente l’appello come in motivazione, spese compensate.
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