Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, sezione n. 9, sentenza n. 5118 depositata il 15 settembre 2023
Non esiste una disciplina positiva che generalizzi, in capo all’amministrazione finanziaria, l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente, al di fuori delle fattispecie normative in cui ciò sia espressamente previsto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con avviso n. TFxxxx, emesso ai sensi dell’art. 41 bis DPR 600/1973, l’Agenzia delle Entrate accertava a carico della X s.r.l., esercente l’attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali, l’omessa dichiarazione delle fatture emesse nei confronti del condominio Palazzo P per complessivi ? 77.931,00, quali risultanti dall’applicativo “Spesometro 2014”, nonché l’omessa dichiarazione di ? 4.428,20 corrisposti dal Condominio di Corso XXX ex XXX.
La società veniva, inoltre, inserita nel piano di controllo relativo all’anno 2019, atteso che nell’applicativo “Spesometro 2015” risultava non aver indicato operazioni in qualità di cedente, mentre le operazioni ricostruite attraverso i dati comunicati dalle controparti ammontavano ad un imponibile pari ad ? 160.162,00.
Sul punto, l’Agenzia sollecitava la società a fornire la documentazione relativa ai rapporti intercorsi con i soggetti terzi (in particolare, con la società XXX Srl) nell’anno 2015, ma l’invito (rimasto inesitato per compiuta giacenza) non aveva seguito.
Contestualmente, l’Ufficio inviava alla controparte XXX Srl apposito questionario, a sua volta finalizzato a documentare i rapprti commerciali intrattenuti con la XXX Srl. LaXXX srl, in risposta al questionario, esibiva plurime fatture emesse nei suoi confronti dalla XXX, tutte relative a lavori di muratura ed intonacatura presso un cantiere di XXX alla località XXX, per un totale imponibile pari ad ? 160.163,63 ed un IVA dovuta pari ad ? 16.013,36.
Le fatture risultavano emesse nel corso del 2014 e contabilizzate per competenza dalla XXX Srl fra i costi del 2014, utilizzando come contropartita il conto fatture da ricevere. Essendo state ricevute nel 2015, erano state contabilizzate ai fini IVA nel registro Iva acquisti 2015 ed indicate nello Spesometro. All’incontro, la Fincase aveva omesso di dichiarare i ricavi derivanti dalle ridette fatture, posto che, nell’anno 2014, così come in precedenti periodi di imposta, aveva omesso la presentazione di tutte le dichiarazioni fiscali.
Ne discendeva , per tal via, avviso di accertamento finalizzato al recupero a tassazione, per competenza, nell’anno 2014, dell’importo complessivo di ? 160.163,63 ed Iva al 10% per ? 16.016,36 derivante dalle fatture sopra elencate.
Trattandosi di società a ristretta base azionaria, seguiva famulativo avviso di acceramento a carico del socio, U. N., per i maggiori utili extracontabili in proporzione alla quota di partecipazione detenuta del 90%.
2.- Con ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Avellino, il N impugnava l’atto impositivo a suo carico, lamentando, sotto plurimo e concorrente rispetto: a) la sussistenza di elementi probatori atti a sterilizzare la presunzione semplice di distribuzione dell’utile, nella asserita assenza del presupposto impositivo e stante l’allegata estraneità del socio alla gestione sociale, una alla violazione del principio di cassa; b) violazione del principio della giusta imposizione ex art. 53 Cost. in relazione alla presunzione semplice di distribuzione dell’utile societario e del contestato automatismo accertativo; c) nullità dell’avviso di accertamento integrativo notificato alla società per violazione dell’art. 43, comma 3, del dpr 600/73; d) errata imputazione nel periodo di imposta 2014 delle prestazioni effettuate dalla Fincase srl e correlativa violazione del principio di competenza economica di cui all’art.109 del Tuir, con nullità del reddito accertato e) violazione del principio del preventivo contraddittorio.
3.- Con sentenza n. 464 in data 8 giugno 2021, resa nel rituale contraddittorio delle parti, l’adita Commissione accoglieva il ricorso, sull’argomentato (ed assorbente) assunto della violazione dell’obbligo di preventiva attivazione del contraddittorio in sede procedimentale.
4.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, l’Agenzia delle Entrate impugna la ridetta statuizione, di cui lamenta la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma, con pedissequa reiezione del ricorso di prime cure.
Nella resistenza di parte intimata, intesa ad argomentare l’infondatezza delle avverse doglianze e a riproporre, in via di devoluzione, le censure rimaste assorbite dalla decisione di prime cure, all’udienza del 27 marzo 2023 la causa è stata riservata per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- L’appello è fondato e merita di essere accolto.
2.- L’Agenzia appellante si duole che il primo giudice – dopo aver enunciato e ribadito il principio per cui la doverosità del preventivo contraddittorio procedimentale si atteggia diversamente secondo che si verta in materia di tributi c.d. armonizzati e tributi non armonizzati – ne avrebbe, in concreto, travisato la portata, facendone erronea applicazione nel caso di specie, attinente (trattandosi di maggior reddito derivante, a carico del socio di società a ristretta base azionaria, dalla imputazione di utili extracontabili) ad imposte dirette, per le quali alcuna disposizione normativa prevederebbe, positivamente, l’obbligo del contradditorio, anche in ragione della circostanza che il socio non avrebbe il potere di transigere in ordine all’accertamento societario, atto presupposto indefettibile dal quale deriva la rettifica del reddito del socio, e non sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario (sussistente per le sole società di persone: cfr. Cass. SS.UU. n. 14815/2008.
2.1. Il motivo è fondato.
Sulla questione dei limiti e delle condizioni perché si attivi, a carico dell’amministrazione finanziaria, l’obbligo di preventiva interlocuzione endoprocedimentale, strumentale alla adozione dell’atto impositivo, la Corte costituzionale (con la sentenza 21 marzo 2023 n. 47) ha, da ultimo, chiarito che, per consolidato intendimento, nel vigente sistema tributario, non esiste una disciplina positiva che generalizzi, in capo all’amministrazione finanziaria, l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente, al di fuori delle fattispecie normative in cui ciò sia espressamente previsto.
Se, invero, il procedimento tributario costituisce una species del procedimento amministrativo, a differenza di quest’ultimo non contiene previsioni generali in ordine alla formazione partecipata dell’atto impositivo che ne costituisce l’eventuale atto conclusivo. Anzi, l’art. 13, comma 2, della legge n. 241 del 1990, che reca la disciplina generale sul procedimento amministrativo, esclude l’applicabilità delle disposizioni del Capo III, dedicate alla «partecipazione al procedimento amministrativo», ai procedimenti tributari, per i quali «restano […] ferme le particolari norme che li regolano». Ad essi non si applicano, quindi, le norme che disciplinano l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7), l’intervento nel procedimento (art. 9), il diritto di accesso agli atti endoprocedimentali (art. 10, comma 1, lettera a) e quello di produrre memorie e allegare documenti (art 10, lettera b), nonché l’obbligo di comunicare il cosiddetto preavviso di rigetto (art. 10-bis).
Anche la giurisprudenza della Corte di cassazione, come consolidatasi a seguito della sentenza a sezioni unite civili n. 24823 del 2015, ha interpretato «il diritto nazionale, allo stato della legislazione, nel senso che non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto». Si è escluso, pertanto, che possa attribuirsi valenza generale alla previsione dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente, perché questa disposizione, come emerge dal suo tenore testuale, va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche “a tavolino” (ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 13 dicembre 2022, n. 36502; analogamente, Corte di cassazione, sezione sesta, ordinanza 29 luglio 2022, n. 23729; sezione quinta, ordinanza 6 aprile 2020, n. 7690; sezione sesta, ordinanza 3 luglio 2019, n. 17897).
Vero è che, pur nella ribadita assenza, in ambito tributario, di una previsione generale sulla formazione partecipata dell’atto impositivo, si è assistito a progressive e ripetute aperture del legislatore, che hanno reso obbligatorio, in un sempre più consistente numero di ipotesi, il contraddittorio endoprocedimentale.
Si tratta, tuttavia, di disposizioni specifiche, che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente con modalità ed effetti differentemente declinati a seconda della dinamica istruttoria seguita dall’amministrazione e delle esigenze, di matrice tipicamente collaborativa o più prettamente difensiva, ad essa sottese (cfr.., per esempio, l’art. 38, settimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che, in relazione alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, prescrive, a pena di nullità, che l’ufficio convochi il contribuente e, poi, avvii il procedimento di accertamento previsto dall’art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218; cfr., altresì, l’analogo iter previsto per l’accertamento legato agli studi di settore, per il quale l’art 10, comma 3-bis, della legge 8 maggio 1998, n. 146 impone all’ufficio, prima della notifica dell’avviso, di invitare i contribuente a comparire ai fini dell’accertamento con adesione; o, ancora, l’ipotesi di controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi di cui all’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e di controllo formale di cui all’art. 36-ter del medesimo decreto, letti alla luce dell’art. 6, comma 5, statuto contribuente, il cui esito deve essere, a pena di nullità, comunicato al contribuente, il quale, entro il successivo termine di trenta giorni, può fornire i necessari chiarimenti, le quante volte vi sia incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione).
Tra le principali ipotesi tipizzate di contraddittorio endoprocedimentale si pone, poi, l’art. 10-bis statuto contribuente che, dopo aver introdotto la clausola generale antielusiva, impone, a pena di nullità, una preventiva richiesta di chiarimenti rivolta al contribuente, caratterizzata dalla precisa indicazione degli elementi che portano a ritenere configurabile l’abuso del diritto, cui segue la concessione di un termine dilatorio di sessanta giorni, durante il quale al contribuente stesso è data la possibilità di comunicare i chiarimenti sollecitati dall’ufficio e dei quali l’amministrazione è obbligata a tenere conto in sede di motivazione dell’atto impositivo (commi 6, 7, 8).
Inoltre, lo statuto attribuisce al contribuente un rilevante spazio partecipativo, delineando uno specifico modulo procedimentale che si attaglia alle peculiarità delle verifiche eseguite dall’amministrazione finanziaria, caratterizzate appunto dall’essere svolte tramite accessi «nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali» (art. 12, comma 1, statuto contribuente). Peraltro, nei confronti di dette verifiche opera la deroga alle garanzie di cui all’art. 14 Cost. prevista per gli «accertamenti ed ispezioni» a fini fiscali «regolati da leggi speciali».
Ciò posto, alla ribadita frammentazione delle norme sul contraddittorio propria del diritto interno, si contrappone la previsione, in capo all’amministrazione tributaria, di un obbligo generale di attivarlo, ogniqualvolta adotti decisioni che rientrano nella sfera di applicazione del diritto europeo.
Nel procedimento di verifica fiscale in cui l’amministrazione attua il diritto dell’Unione europea, infatti, questa è tenuta ad osservare gli obblighi derivanti dal diritto a una buona amministrazione sancito dall’art. 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed inteso come «il diritto a che le questioni […] siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione», tra le cui articolazioni, elencate in via esemplificativo, il paragrafo 2 prevede espressamente «il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio» (da ultimo, Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione quinta, 24 febbraio 2022, in causa C-582/20, SC Cridar Cons srl). Questo diritto «garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, la propria opinione durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi» (ex multis, Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione sesta, 4 giugno 2020, in causa C-430/19, SC C.F. srl; Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione quinta, 16 ottobre 2019, in causa C-189/18, Glencore Agriculture Hungary Kft.; Corte di giustizia dell’Unione europea, 3 luglio 2014, in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV).
Proprio il rispetto dei principi fondamentali del diritto europeo implica, secondo la giurisprudenza di legittimità, che, nell’accertamento dei cosiddetti “tributi armonizzati”, «avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione», vige un generale obbligo dell’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo, ma solo se questi assolve alla “prova di resistenza”, allegando le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede procedimentale e il conseguente pregiudizio sostanziale subito (Corte di cassazione, sentenza n. 24823 del 2015; in senso conforme, ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta, ordinanza 1° aprile 2021, n. 9076; ordinanza n. 7690 del 2020; sezione quinta, ordinanza 3 ottobre 2019 n. 24699 e ordinanza n. 17897 del 2019).
L’esigenza di superare la disarmonia del vigente sistema tributario, per cui non sussiste un obbligo generale di attivare il contraddittorio con il contribuente al di fuori delle ipotesi espressamente previste, ha portato, di recente, a un nuovo intervento del legislatore.
L’art. 4-octies del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, in legge 28 giugno 2019, n. 58, ha infatti introdotto, nel d.lgs. n. 218 del 1997, l’art. 5-ter, in forza del quale, prima di emettere un avviso di accertamento, l’ufficio deve notificare al contribuente l’invito a comparire per avviare il procedimento di accertamento con adesione (comma 1); in caso di mancato accoglimento dei chiarimenti forniti nel corso del contraddittorio, è imposto all’amministrazione un obbligo di motivazione rinforzata (comma 3). L’invito a comparire può essere omesso soltanto nei «casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione», potendo l’ufficio notificare direttamente l’avviso di accertamento al contribuente (comma 4).
Inoltre, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia, il comma 5 del citato art. 5-ter tipizza la cosiddetta prova di resistenza, prevedendo che «il mancato avvio del contraddittorio […] comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento, qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato». Sono, infine, fatte salve «le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di accertamento» (comma 6) e le ipotesi in cui è stata «rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo» (comma 1).
Sul punto, la Corte evidenzia che, nonostante la scelta legislativa di inserire la nuova disciplina dell’«[i]nvito obbligatorio» a comparire nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione – così circoscrivendone il campo di applicazione alle sole imposte a cui si estende questa procedura ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 218 del 1997 – e di escluderne l’operatività nel caso di accertamenti e rettifiche parziali (art. 41-bis del d.P. R. n. 600 del 1973 e art. 54, commi 3 e 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), essa denota, in effetti, un’evoluzione del sistema tale per cui l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale non costituisce più un’ipotesi residuale, ma aspira ad assurgere a principio generale, che, peraltro, esprime, de jure condito, solo una linea di tendenza (come, indirettamente, dimostra, per inciso, il recente disegno di legge di delega per la riforma fiscale approvato dal consiglio dei ministri il 16 marzo 2023, il quale prevede, all’articolo 4, la generale estensione dell’applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità).
Del resto, è ormai diffusamente riconosciuto che il contraddittorio endoprocedimentale, quale espressione del «principio del “giusto procedimento” (in virtù del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti), ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento (cfr. Corte Cost., sentenza n. 71 del 2015), anche come criterio di orientamento non solo per l’interprete, ma prima ancora per il legislatore (sentenza n. 210 del 1995). Il che vale anche in ambito tributario, dove il contraddittorio endoprocedimentale, da un lato, persegue lo scopo di “ottimizzare” l’azione di controllo fiscale, risultando così strumentale al buon andamento dell’amministrazione finanziaria; dall’altro, garantisce i diritti del contribuente, permettendogli di neutralizzare, sin dalla fase amministrativa, eventuali errori a lui pregiudizievoli.
In definitiva, dall’analisi dell’attuale ordito normativo emerge che dall’analisi come il legislatore abbia introdotto – seppur con diversi limiti applicativi – un meccanismo di portata generale; tuttavia, avendo fatti salvi i moduli di partecipazione del contribuente alla formazione dell’atto impositivo previsti dalla normativa vigente, si è determinato un sistema composito del contraddittorio nel procedimento tributario.
Questo è, del resto, il senso dell’esclusione disposta dal richiamato art. 13 l. n. 241/1990, che non va inteso come impedimento alla sottoposizione dei procedimenti tributari al principio di partecipazione enunciato, per i procedimenti amministrativi, dalla legge n. 241 del 1990, ma semplicemente come espressione dell’esigenza che ad essi sia dedicata una disciplina specifica.
Se ne deve trarre, ai fini della risoluzione della presente controversia, il corollario che – per quanto la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, allo stato limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulti ormai obiettivametne distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale, al segno da sollecitare la sua generalizzazione de lege ferenda, spettando al legislatore, a fronte della molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, il compito, nel rispetto dei principi costituzionali, di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco) – nel caso di specie, trattandosi di tributi non armonizzati (inerenti l’imposizione diretta) e non rientrandosi nelle ipotesi allo stato codificate in termini di tipicità, l’amministrazione non fosse tenuta, contrariamente all’avviso manifestato dal primo giudice, alla (doverosa) attivazione, a pena di nullità dell’atto impositivo, del contraddittorio con la parte.
Sotto il profilo in esame, l’appello si rivela, per tal via, fondato e la sentenza merita di essere riformata.
3.- Ciò posto, avuto riguardo alle doglianze formulate da parte appellata in prime cure, devolutivamente richiamate in resistenza al gravame, osserva il Collegio che l’accertamento in contestazione obbedisce alla presunzione per cui nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, gli utili extracontabili accertati a carico della società siano stati distribuiti, in guisa occulta, ai soci, i quali, peraltro, hanno la facoltà di superare le presunzione offrendo, con ogni mezzo, adeguata prova del contrario (ex permultis, Cass., VI, 2 febbraio 2016, n. 1932).
Nel caso di specie il N. ha allegato: a) la propria obiettiva estraneità alla gestione degli affari sociali, in tesi dimostrata dalla circostanza di svolgere attività di dipendente pubblico in altro contesto territoriale, non meno che dalla attivata revoca per giusta causa nei confronti dell’amministratore della società; b) l’assenza di trasferimenti dai conti correnti della società ai propri.
Segnatamente, ha valorizzato: a) l’esistenza di una revoca dalla carica di amministratore del signor B C deliberata in data 04.05.2015, motivata per non aver egli convocato l’assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio dall’esercizio: il che vorrebbe evidenziare un’attività ostruzionistica dell’amministratore finalizzata ad oscurare qualsiasi conoscenza dei fatti sociali; b) la propria estraneità del socio ricorrente alla gestione sociale anche e soprattutto perché dipendente pubblico a tempo pieno nella qualità di assistente capo della Polizia di Stato con sede di lavoro presso la Questura di Napoli: e ciò in quanto il luogo di servizio ed il tempo dedicato alla propria attività non avrebbero potuto consentire una benché minima partecipazione alle attività sociali; 3) l’analisi della movimentazione finanziaria degli estratti conto bancari Anno 2014 intestati alla società XXX s.r.l., che evidenzierebbe in modo incontrovertibile che la società XXX s.r.l. aveva regolarmente pagato nel 2014 ? 159.500.00 alla XXX s.r.l. per le prestazioni di cui alle fatture oggetto di contestazione, con pagamenti avvenuti tramite bonifici bancari, come del resto confermato dalla contabilità della XXX s.r.l, una alla inesistenza di trasferimenti di danaro dalla società XXX s.r.l.
3.1.- Si tratta, ad avviso del Collegio, di circostanze per sé inidonee a superare la valorizzata presunzione distributiva. Invero, quest’ultima non può essere sterilizzata da fatti di ordine essenzialmente negativo, che finerebbero per contraddirire intrinsecamente la logica presuntiva: occorre, infatti, l’allegazione di fatti e circostanze positivamente in grado di evidenzare la non concludenza della inferenza legittimata dalla legge.
Ora, la circostanza di essere dipendente pubblico non prova l’impossibilità di ingerenza nei fatti sociali, quanto meno (ed è sufficiente) in relazione al segmento distributivo degli utili maturati e non contabilizzati, oggetto di accertamento. Nè ha rilievo l’attivazione, per giunta in tempi già condizionati dalla attivazione delle verifiche fiscali, di una iniziativa a carico dell’amministratore. Avrebbe, per contro, giovato la dimostrazione di una concreta ed alternativa destinazione, quanto meno in termini di effettiva plausibilità, delle somme occultate: in difetto di che, la presunzione legale opera, per l’appunto, nel ragionevole senso che le stesse abbiano finito per remunerare, a guisa di dividendo occulto, i soci. Al qual fine, è il caso di soggiungere, è evidente che non giova il fatto (di ordine sostanzialmetne negativo) che i conti correnti non evidenziassero, con una trasparenza che non si addice al postulato occulatamento, il trasferimento di somme.
4.- Alla luce delle esposte considerazioni, l’appello deve essere in definitiva accolto e, per l’effetto, disatteso ogni rilievo di parte appellata, il ricorso di prime cure deve essere, in riforma della sentenza impugnata, respinto.
Sussistono, in ragione delle peculiarità delle vicenda, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze del doppio grado.
P.Q.M.
accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
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