Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, sez. n. 23, sentenza n. 2529 depositata il 10 agosto 2023
Il termine per la presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA non coincide con quello utile per ottenere il rimborso di un credito IVA
SVOLGIMENTO DEI FATTI
xxxx ha presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Mantova avverso il diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Mantova relativamente alla richiesta di rimborso presentata ai fini IVA per l’anno 2016.
L’oggetto del contendere riguarda il diniego di rimborso di un credito IVA, non riconoscibile stante la presentazione della dichiarazione IVA annuale oltre i 90 giorni, ai sensi dell’articolo 2 DPR 322/1998.
In sede di ricorso la parte premetteva che l’Ufficio non ha contestato la fondatezza del credito, ma solo l’omessa presentazione della dichiarazione annuale, adempimento peraltro da non ritenersi essenziale. In ogni caso, osservava di avere dimostrato la sussistenza dei requisiti sostanziali del credito.
La Commissione adita ha accolto il ricorso, condannando l’Ufficio a rifondere le spese di lite per Euro 700,00 oltre accessori. Il primo giudice richiamava la decisione n. 17757/2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo la quale anche in mancanza di dichiarazione annuale va riconosciuta l’eccedenza risultante dalle dichiarazioni periodiche e dai versamenti dedotta entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto. Nel merito, la parte aveva prodotto documentazione comprovante l’esistenza del credito.
Appella l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Mantova ribadendo che la dichiarazione presentata oltre i novanta giorni dal termine di scadenza deve considerarsi omessa ex art.2 comma 7 DPR 322/1998, con conseguente esclusione della possibilità di riportare il credito o di chiederne il rimborso. Nel merito ritiene che la documentazione prodotta dalla parte non sia idonea a comprovare il credito chiesto a rimborso, trattandosi di mere bolle doganali. Contesta altresì la condanna alle spese del giudizio, dato che il contenzioso deriva da una omissione del contribuente. Chiede che venga confermato il proprio operato con vittoria di spese e contestualmente propone istanza di discussione in pubblica udienza.
Si costituisce in giudizio parte contribuente rilevando che nelle more del giudizio l’Agenzia delle Entrate chiesto di fornire la documentazione necessaria a dimostrare l’esistenza del credito, sanando il problema della tardività della dichiarazione, tanto che chiede l’accoglimento dell’appello per mancanza di prova del credito. Nel merito produce ulteriore documentazione- comprensiva delle dichiarazioni IVA periodiche – a dimostrazione della fondatezza del credito. Insiste per la conferma della sentenza impugnata, con rifusione di spese.
Avendo l’appellante proposto tempestiva istanza di discussione in pubblica udienza, regolarmente notificata a controparte, si procede in forma pubblica.
Nella prima parte dell’atto di impugnazione, l’Agenzia delle Entrate ribadisce che il diniego opposto al rimborso è ”fondato sulla mancata presentazione, nei termini, delle dichiarazioni IVA relativa a/l’annualità 2016′‘. Sul punto, l’appello deve essere respinto.
La giurisprudenza ha affermato il principio per il quale “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta che risulti da dichiarazioni periodiche e da regolari versamenti e sia richiesta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, deve essere riconosciuta dal giudice tributario, qualora il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione… non è, pertanto, la presentazione della dichiarazione IVA che regge, in quanto tale, la spettanza della detrazione, ma la sussistenza dei presupposti sostanziali per la sua fruizione”. Di conseguenza, “è consentito l’esercizio della detrazione in caso di mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ove il contribuente dimostri che il diritto alla detrazione sia stato esercitato entro il termine di decadenza previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello nel quale è sorto ai sensi del D.P.R. n. 322/1998, art. 8, comma 3 pro tempore“ (Cas. Civ., Sez. Trib., 3066/2023).
Del resto, secondo la giurisprudenza, “non v’è perdita del credito d’imposta nel caso in cui il contribuente, che abbia regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca per lui il credito e operato la relativa detrazione nelle liquidazioni periodiche, non presenti poi la dichiarazione annuale“ e comunque non vi è decadenza del credito IVA non risultante dalla dichiarazione annuale “purché lo stesso emerga dalle scritture contabili” sulla scorta dell’art. 18 sesta direttiva CE n. 77/388, in base alla quale per il principio di neutralità fiscale l’inosservanza del dato formale non può privare il contribuente del diritto alla detrazione dell’IVA (Cass. Civ., Sez. Trib., 11671/2013).
Peraltro, l’Ufficio ritiene che “non sia stata dimostrata attraverso documentazione idonea la sussistenza contabile del credito chiesto a rimborso”. Ma anche sul punto l’impugnazione deve essere respinta. Premesso che l’atto di diniego di rimborso non sollevava questioni circa la prova dell’effettività del credito, in primo grado parte contribuente aveva prodotto la bolletta doganale in cui è riportato l’importo dell’IVA chiesta a rimborso, nonché distinta di pagamento, estratto conto c/c e fattura dello spedizioniere. A fronte del rilievo formulato dall’Agenzia delle Entrate con l’appello, in secondo grado la società ha altresì prodotto – allegazione il cui contenuto l’Ufficio non ha specificamente contestato – le liquidazioni periodiche ed il registro degli acquisti, che confermano l’esistenza del credito portato in compensazione. In conclusione, “una volta dimostrato l’effettiva esistenza del credito, risultante dai registri Iva e i documenti già prodotti all’Ufficio, l’Amministrazione finanziaria non può negare la compensazione, pur in mancanza della dichiarazione, in quanto in tale modo la P.A. verrebbe posta nella medesima condizione in cui si sarebbe trovata qualora il contribuente avesse presentato la dichiarazione“ (Cas. Civ., Sez. Trib., 3066/2023).
La sentenza di primo grado deve essere confermata anche in punto di spese, stante la soccombenza dell’Ufficio.
Sussistono peraltro i presupposti per compensare le spese del giudizio di appello, rilevato che le ragioni di parte contribuente vengono in questa sede confermate anche in considerazione della produzione documentale operata per la prima volta nel presente grado di giudizio.
Rigetta l’appello dell’Ufficio. Spese del grado compensate
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