Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 19, sentenza n. 476 depositata il 7 febbraio 2023
Ai fini dell’applicazione della disciplina del transfer pricing, è richiesta la sussistenza del presupposto soggettivo del rapporto di controllo tra l’impresa italiana e l’impresa estera, nonchè del presupposto oggettivo che tra le due società siano intercorse operazioni utili a generare componenti di reddito
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza n 912/2022, ha accolto il ricorso presentato da SS.R.L. avverso avvisi di accertamento, per l’anno 2015, emessi dall’Agenzia delle Entrate per recuperare a tassazione ricavi non contabilizzati ai sensi dell’art. 110, comma 7, del D.P.R. n. 917/1986.
La Commissione di primo grado non ha ritenuto sussistere il presupposto soggettivo per l’applicazione della disciplina del transfer pricing in quanto le operazioni sottostanti ai rilievi formulati negli avvisi impugnati non sono intervenute all’interno del gruppo, avendo la società ceduto i marchi A e P a un soggetto terzo indipendente.
L’Agenzia delle Entrate propone appello eccependo che i primi giudici non avrebbero valutato gli elementi addotti dall’ufficio relativi alla circostanza che la cessione dei marchi, da parte della consociata italiana, a entità terze non sarebbe avvenuta alle condizioni di libero mercato per volere della capogruppo estera, che non avrebbe indennizzato la consociata per il danno infertole con l’imposizione della cessione a condizioni di minor vantaggio. L’Agenzia delle Entrate argomenta ulteriormente che le operazioni oggetto di rilievo rientrerebbero nell’ambito di applicazione dal capitolo IX delle linee – guida OCSE in quanto conseguenza di ristrutturazione del gruppo societario e come tali eterodirette e effettuate in mancanza di un congruo indennizzo per la perdita dei guadagni futuri attesi dalla gestione dei marchi ceduti. L’Agenzia delle Entrate motiva, poi, riguardo al metodo utilizzato per la determinazione dell’indennizzo e domanda conclusivamente l’accoglimento dell’appello con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La società contribuente controdeduce che le cessioni contestate sono avvenute sulla base di procedure trasparenti che hanno permesso di selezionare la migliore offerta tra quelle ricevute. La società contribuente controdeduce poi relativamente alla carenza del presupposto soggettivo per l’applicazione della disciplina del transfer pricing, considerando che la sezione delle linee guida OCSE in materia di ristrutturazioni di gruppo concerne il trasferimento di funzioni, beni e rischi tra entità appartenenti allo stesso gruppo. La società contribuente controdeduce, anche, relativamente alla quantificazione del valore normale dei marchi ceduti, riassume i restanti motivi del ricorso introduttivo e domanda il rigetto dell’appello con vittoria di spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva che l’art. 110, 7° comma, del DPR 917/86 stabilisce che: <>, dovendo il valore normale dei beni ceduti determinarsi, secondo quanto previsto dal comma 2 citato, a norma del comma 3 dell’art. 9 del menzionato DPR 917/86, dunque con riferimento “in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”.
L’applicazione della norma richiede, dunque, la sussistenza del presupposto soggettivo del rapporto di controllo tra l’impresa italiana e l’impresa estera e del presupposto oggettivo che tra le due società siano intercorse operazioni tali da generare componenti di reddito da accertarsi con il parametro del valore normale dei beni ceduti e dei servizi prestati.
Tanto premesso, il Collegio osserva che l’appello è motivato con la sussistenza del rapporto di controllo tra la capogruppo e S s.r.l. Tale rapporto di controllo configurerebbe il presupposto soggettivo per l’applicazione della disciplina del transfer pricing, pur avendo la società italiana ceduti i propri marchi a enti terzi. In particolare, secondo l’ufficio, dovrebbero applicarsi al caso in esame le regole di cui al capitolo IX delle linee – guida OCSE in quanto la cessione dei marchi sarebbe avvenuta quale parte di una operazione di ristrutturazione infragruppo. Nella tesi dell’ufficio assumerebbero, a riguardo, rilievo i termini di cui alla sezione E del detto capitolo IX. Negli avvisi di accertamento si fa riferimento, in particolare, al punto 9.100 per dimostrare l’applicabilità delle linee – guida (del 2010) al caso in esame.
Il Collegio osserva che, nella parte di tale punto 9.100, non citata negli avvisi, si legge: <>. Secondo le linee – guida, dunque, la determinazione di un indennizzo a favore della entità ristrutturata è motivata dallo spostamento del potenziale di profitto dall’entità ristrutturata all’entità consociata, sempre che si possa dimostrare che tale indennizzo sarebbe stato concordato tra parti indipendenti. Nel caso di specie è questo presupposto che è carente proprio in ragione del fatto che, con la cessione dei marchi, i rischi connessi e i correlati profitti potenziali sono stati trasferiti all’esterno del gruppo societario.
Non essendo, dunque, ammissibile che, nel caso di specie, possa individuarsi una componente positiva del reddito della società contribuente derivante da operazione con consociata non residente, perché controparte della cessione dei marchi è società esterna al Gruppo, deve ritenersi che, per l’applicazione della disciplina del transfer pricing, non difetta il solo presupposto soggettivo, ma anche il presupposto oggettivo, che senza il primo non può porsi.
I primi giudici hanno correttamente motivato, riguardo alla ristrutturazione aziendale che, secondo l’ufficio, motiverebbe gli accertamenti:<< Tale assunto non è condivisibile, poiché secondo le linee guida OCSE, il capitolo IX si applica esclusivamente alla fattispecie in cui il business restructuring riguardi direttamente una diversa riorganizzazione delle relazioni commerciali o finanziarie tra le sole imprese del gruppo, con una diversa ridistribuzione degli utili tra le entità del gruppo multinazionale>>.
Restano assorbiti i motivi residui.
Segue la soccombenza la decisione sulle spese che si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione in favore della società contribuente delle spese del grado che liquida in euro 45.000,00, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.
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