Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 25, sentenza n. 4045 depositata il 21 ottobre 2022
Il classamento degli immobili deve essere effettuato in base alla destinazione ordinaria e alle caratteristiche degli stessi. L’attribuzione della rendita catastale è, infatti, un atto tributario inerente il bene e riferito alle sue “caratteristiche costruttive e tipologiche”, che ne costituiscono il nucleo sostanziale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Brescia, con atto di appello, rituale e tempestivo, impugna la sentenza n.189/2020, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, con la quale il Giudice di prime cure “Accoglie il ricorso e condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite nella misura di ? 2.780,00= oltre 15% spese generali, Cassa Previdenza ed IVA”.
La ——- in sede di dichiarazione Docfa presentata per “diversa distribuzione degli spazi interni”, indicava la categoria catastale B/2 (case di cura ed ospedali senza fine di lucro) con una rendita catastale pari ad ? 11.836,89, ma l’Ufficio del Territorio di Brescia – con l’avviso n. BS/2018 – rettificava il classamento con assegnazione della categoria speciale D/4 (case di cura ed ospedali con fini di lucro) e l’attribuzione di una rendita catastale pari ad ? 58.100,00.
Con l’atto introduttivo del giudizio, la contribuente, sostenendo che l’accatastamento operato dall’Agenzia delle Entrate non avesse tenuto conto né della natura di Onlus della F, né della circostanza che, all’interno della struttura, non venisse svolta alcuna attività commerciale con fine di lucro, chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato.
L’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Brescia, controdeduceva osservando, in particolare, come – ai fini della classificazione catastale – non risultassero determinanti la natura ed il fine della ditta intestataria dell’unità immobiliare, ma le caratteristiche proprie dell’immobile.
La CTP di Brescia, sez.4, con la sentenza n.189/2020, accoglieva il ricorso sulla scorta delle seguenti considerazioni: “Se ovvia rilevanza deve essere riconosciuta all’indagine sulle caratteristiche oggettive dell’immobile, è per l’espressa dizione delle tabelle attributive delle varie categorie che deve indagarsi se sussiste o meno il fine di lucro: gran parte dei sotto insiemi che costituiscono le categorie B e D, infatti, si distinguono proprio per il fine di lucro e, se vi sia o meno il fine di lucro, comporta l’attribuzione di categoria D oppure B all’immobile sottoposto all’accatastamento. Se quindi si dovesse prendere in considerazione solo l’involucro, qualunque fosse l’attività svolta all’interno del fabbricato, questa dovrebbe essere ininfluente: al contrario, deve necessariamente attribuirsi una qualche rilevanza all’attività esercitata all’interno del fabbricato, poiché, diversamente, la suddivisione tra immobili basata sul fine di lucro, non si comprenderebbe”.
Propone appello l’Agenzia eccependo quanto segue.
“Non hanno alcuna rilevanza le considerazioni esposte dalla Commissione circa l’esistenza o meno di un “utile” derivante dalla gestione delle attività svolte all’interno della casa di cura. Quest’ultima, infatti, deve essere correttamente classificata nella categoria speciale “D” con esclusivo riferimento alle sue
caratteristiche strutturali, secondo quanto disposto dalla disciplina catastale vigente. Solo per mera completezza, sebbene non assuma rilevanza, si osserva comunque che la Commissione di primo grado ha apoditticamente escluso l’esistenza di un “profitto”, senza alcun riscontro documentale. In assenza dei dati del bilancio della Casa di Cura è, infatti, impossibile stabilire se il gestore abbia tratto o meno un “profitto” dall’attività svolta al suo interno, né la Commissione può affermare, senza alcuna prova, che la retta corrisposta abbia soltanto natura di compartecipazione alle spese. Gli unici dati certi sono, infatti, che la struttura offre un’ampia gamma di servizi alla persona, non tutti essenziali (vedi servizio di parrucchiere) e che gli ospiti della struttura pagano una retta per usufruire dei suoi servizi. In assenza di una prova contraria, è verosimile, quindi, che la gestione della casa di Cura tragga un “profitto” dallo svolgimento dell’attività. Anche sotto tale profilo la sentenza deve, pertanto, ritenersi errata e meritevole di riforma.”.
Discussa la causa alla udienza del 10 marzo 2022, è stata trattenuta a sentenza per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’art. 61 del d.P.R. n. 1142 del 1949, dispone che “il classamento consiste nel riscontrare, con sopralluogo per ogni singola unità immobiliare, la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l’unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria a norma dell’art. 9 che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe. Le unità immobiliari urbane devono essere classate in base alla destinazione ordinaria ed alle caratteristiche che hanno all’atto del classamento”.
Il successivo art. 62 dispone che : “La destinazione ordinaria si accerta con riferimento alle prevalenti consuetudini locali, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive dell’unità immobiliare”.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo “reale”, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della cd. “destinazione ordinaria”, sicché l’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di esso venga fatto, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d’utilizzo purché non in contrasto con la disciplina urbanistica. (vedi Cass. n. 8773 e n. 12205 del 2015); precisando altresì che in tema di rendita catastale, nell’ipotesi in cui l’immobile per le proprie caratteristiche strutturali rientri in una categoria speciale, non assume rilevanza la corrispondenza rispetto all’attività in concreto svolta all’interno dello stesso che può costituire, ove ricorrente, mero elemento rafforzativo della valutazione oggettiva operata (Vedi Cass. n. 22103 del 2018).
Pertanto, ai fini della classificazione, non rileva né il carattere pubblico o privato della proprietà dell’immobile, né eventuali funzioni latamente sociali svolte dal proprietario, mentre il fine di lucro merita di essere preso in considerazione, in quanto espressamente previsto come criterio di classificazione per numerose categorie, ma in termini oggettivi, nel senso che se ne richiede una verifica che ne ricerchi la sussistenza desumendola dalle caratteristiche strutturali dell’immobile, irreversibili se non attraverso modifiche significative, e non si arresti quindi al tipo di attività che in un determinato momento storico vi viene svolta, che può costituire un criterio complementare ma non alternativo o esclusivo ai fini del classamento.( Cass. n.14078/2020).
Nel caso de quo, la visione delle planimetrie prodotte rende evidente la “specialità” dell’immobile e l’impossibilità di ricondurre la struttura ad una unità tipo ordinaria. Ad esempio, oltre alle camere per i degenti, alle cucine, ai bagni, sono presenti: un ingresso accoglienza, un ambulatorio, un locale cure, una sala per fisioterapia, una sala per riabilitazione cognitiva, una palestra, una sala parrucchiere, una cappella, un locale per i quadri elettrici, etc. È evidente la specialità dell’immobile e l’impossibilità di ricondurre la struttura ad una unità tipo “ordinario”. Ai fini della qualifica catastale l’immobile deve essere valutato nella sua visione
“oggettiva”, sia rispetto alle caratteristiche proprie della struttura sia rispetto alle attività concretamente svolte al suo interno (redditività oggettiva), a nulla rilevando la qualifica soggettiva di colui che esercita tale attività o l’esistenza o meno di un profitto. La Corte di Cassazione nella sentenza n.22103/2018, ha confermato la correttezza dell’operato dello scrivente ufficio in un caso analogo.
Nella fattispecie risulta, dunque, irrilevante la circostanza che l’attività svolta dalla ricorrente non possa essere qualificata né industriale né commerciale in ragione della sua qualifica come ONLUS, assumendo al contrario rilievo la circostanza che l’immobile in esame è adibito dalla contribuente allo svolgimento di attività assistenziale e sociosanitaria e, dunque, alla luce dei principi sopra esposti esso è stato dall’amministrazione finanziaria correttamente inquadrato nella categoria di destinazione speciale D4, rilevando il fine di lucro, non sul piano della soggettività proprietaria, bensì su quello della idoneità strutturale e funzionale dell’immobile (Cass. n.18842/21).
P.Q.M.
La Corte, in riforma della sentenza impugnata, accoglie l’appello dell’Ufficio. Condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 3.500,00.
Brescia, 10 marzo 2022
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