Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, sezione 28, sentenza n. 1797 depositata il 27 giugno 2022
Associazioni sportive dilettantistiche: qualificazione e benefici fiscali
Ai fini della corretta qualificazione fiscale delle associazioni come enti sportivi dilettantistici, è necessario che esse abbiano uno statuto contenente i requisiti indispensabili per l’attribuzione allo stesso della natura sportivo dilettantistica, certificata dall’iscrizione nel Registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche, tenuto presso il Coni. È, altresì, richiesto che l’attività svolta in concreto dalle stesse sia effettivamente priva di finalità lucrative e aderente alla promozione sportiva dichiarata, in conformità alle clausole riguardanti la vita associativa, inserite nell’atto costitutivo o nello statuto
Massima:
L’esenzione d’imposta in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta dall’associazione, ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro. Ai fini della corretta qualificazione fiscale come ente sportivo dilettantistico, è necessario che le associazioni siano dotate di uno statuto contenente i requisiti indispensabili ai fini del corretto perfezionamento della natura sportivo dilettantistica dell’ente, certificata dall’iscrizione nel Registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche tenuto presso il Coni.
La concessione dei benefici fiscali può essere accordata quando emerga oltre alla normale affiliazione (che indica già un implicito riconoscimento ed esame a fini sportivi), anche il profilo sostanziale dell’aderenza dell’attività effettivamente svolta alla promozione sportiva dichiarata, in conformità alle clausole riguardanti la vita associativa, inserite nell’atto costitutivo o nello statuto.
La mancata redazione del rendiconto non può determinare automaticamente l’inapplicabilità delle disposizioni a favore delle Associazioni Sportive Dilettantistiche.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. XXXXX XXXXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXXX XXXX, con ricorso alla CTP di Taranto proposto, in proprio e nella sua qualità di legale rappresentante dell’Associazione sportiva dilettantistica “XXXX XXXX XXXX” nei confronti dell’Agenzia delle Entrate di Taranto, impugnava, per illegittimità, l’avviso di accertamento n. TVXXXX004 relativo a IRES per euro 24.767,00, IRAP per euro 9.033,00, IVA per euro 32.530,00 oltre sanzioni e interessi, per il periodo di imposta 2011.
All’esito del giudizio, riuniti i giudizi, la CTP di Taranto, sez. II, con sentenza n. XXXXXdel XX/XX/2016, depositata il XX/XX/2016, accoglieva il ricorso “per quanto di ragione e come in motivazione”.
L’Agenzia delle Entrate di Taranto con atto di appello notificato il XX/XX/2017 al sig. XXXX XXXX “già legale rappresentante dell’Associazione sportiva dilettantistica “XXXXX XXXX XXX”, all’Associazione sportiva dilettantistica “XXXX XXXX XXXX” presso il domicilio eletto e XX/XX/2017 per compiuta giacenza alla stessa Associazione presso la propria sede e depositato il XX/XX/2017, impugna la sentenza di primo grado per violazione dell’art. 4 del DPR 633/1972, dell’art. 148 del DPR 917/1986 e dell’art. 36 del d.lgs. 546/1992, richiamando, inoltre, le controdeduzioni svolte in primo grado.
Conclude, in accoglimento dell’appello, per la riforma della sentenza gravata e per la conferma dell’avvio di accertamento con condanna degli appellati al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
Il sig. XXXX XXXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXXX XXXX, si è costituito in giudizio in proprio e nella sua qualità di legale rappresentante dell’Associazione sportiva dilettantistica “XXXX XXXX XXXX”, con controdeduzioni depositate il XX/XX/2017, eccependo:
1. inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici di impugnazione ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. 546/1992;
2. nel merito:
a) al mancato esercizio dell’opzione per il regime forfettario di cui alla legge 398/1991;
b) sulla mancata redazione del rendiconto finanziario;
c) sull’art. 38 del c.c.
Propone, altresì, appello incidentale per le spese di lite poste a carico dell’Associazione per violazioni formali non contestate con l’avviso di accertamento.
Conclude, per il rigetto dell’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, per la riforma parziale della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione delle spese di lite.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio con distrazione in favore del difensore ex art. 93, comma 1, del c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato e va rigettato.
Con l’unico articolato motivo di doglianza l’appellante censura la sentenza gravata per violazione dell’art. 4 del DPR 633/1972, dell’art. 148 del DPR 917/1986 e dell’art. 36 del d.lgs. 546/1992.
Sostiene che i giudici di primo grado hanno accolto le eccezioni della ricorrente, senza fornito adeguate spiegazioni per giustificare la loro decisione; non hanno considerato gli aspetti formali della normativa di settore di cui agli articoli 148 del DPR 917/1986 e 90 della legge 289/2022, che sono determinanti per ottenere le agevolazioni fiscali previste per le associazioni sportive. Inoltre, l’Associazione ricorrente:
1. non aveva, a suo tempo, esercitato l’opzione per usufruire del regime forfettario previsto dalla legge n. 398/91 (opzione fondamentale per usufruire delle agevolazioni fiscali);
2. non aveva effettuato il versamento trimestrale dell’Iva (fatto che sottolinea l’assenza anche di un comportamento concludente);
3. non aveva redatto il Rendiconto Finanziario;
4. aveva effettuato dal conto corrente bancario aperto presso il Monte dei Paschi una serie di prelevamenti in contanti senza una chiara individuazione del beneficiario.
Per cui il mancato adempimento degli obblighi e degli adempimenti previsti dalle norme di settore comportava la decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge n. 398 del 1991.
Sostiene, inoltre l’appellante, che il giudice di prime cure, ha ritenuto non applicabile l’articolo 38 del codice civile alla fattispecie con una motivazione non comprensibile, lasciando delle incertezze nella sua interpretazione. Contrariamente a quanto statuito, i rappresentanti legali degli enti non riconosciuti sono responsabili per le obbligazioni contratte dall’Ente stesso. Tale responsabilità non si estingue con la cessazione dell’Associazione o con la cessazione della carica del soggetto che agisce in nome e per conto dell’ente.
Sostiene, infine, l’appellante che la sentenza è affetta da motivazione apparente non avendo esplicitato le argomentazioni a base della decisione, violando l’articolo 36 del d.lgs. n. 546/92.
Eccepisce l’appellato:
1. inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici di impugnazione ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. 546/1992;
2. nel merito:
a) al mancato esercizio dell’opzione per il regime forfettario di cui alla legge 398/1991;
b) sulla mancata redazione del rendiconto finanziario;
c) sull’art. 38 del c.c.
Sostiene l’inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici di impugnazione ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. 546/1992. Le censure di parte appellante non individuano articolate ragioni di doglianza, sono le risultanze di una copia e incolla delle risultanze del PVC e della memoria di costituzione, senza contrapporre al ragionamento ed alla sentenza dei giudici di primo grado puntuali e specifiche osservazioni dirette a confutare il fondamento logico-giuridico delle motivazioni esposte in sentenza poste a fondamento della decisione di accoglimento.
Nel merito, preliminarmente, sostiene che in base al principio della non contestazione di cui all’art. 115, comma 2 del c.p.c. le seguenti circostanze devono considerarsi provate in quanto non contestate nelle controdeduzioni depositate in primo grado dall’Ufficio:
1. sulla strutturazione dell’attività istituzionale (modalità di organizzazione dei corsi ed attività agonistiche);
2. non esiste alcuna divergenza di posizione degli associati in termini di diritti ed obblighi all’interno dell’Associazione Sportiva, nonché il rispetto del principio di democraticità e di effettività del vincolo associativo;
3. dagli atti dell’Associazione “XXXX XXXX XXXX”, non è stata riscontrata la presenza di clausole o condizioni limitative in ordine all’esercizio del diritto di voto;
4. non risultano contestate -come si deduce in sentenza- le difformità delle previsioni statutarie dell’Associazione rispetto alle lettere da a) a f) del comma 8 dell’art. 148 del TUIR.
Sostiene, inoltre, in merito al mancato esercizio dell’opzione per il regime forfettario di cui alla legge 398/1991 che comporterebbe – a dire dell’Ufficio Legale – la decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge n 398/1991, che la volontà da parte della contribuente di avvalersi del regime forfettario si desume, ai sensi dell’art. 1 del DPR n. 442/1997, dalle modalità di tenuta delle scritture contabili, in particolare dalla circostanza di aver consegnato in sede di verifica esclusivamente il prospetto riepilogativo iva conforme al modello di cui al D.M. 11/2/1997.
Evidenzia sulla mancata redazione del rendiconto finanziario che ha esibito il rendiconto gestionale.
Quanto poi alla inapplicabilità dell’art. 38 del codice civile l’Ufficio non ha inteso contrapporre al ragionamento ed alla sentenza dei giudici di primo grado puntuali e specifiche osservazioni dirette a confutare il fondamento logico-giuridico delle motivazioni esposte in sentenza poste a fondamento della decisione di accoglimento.
Nel ricorso introduttivo la contribuente ha formalmente contestato la ritenuta sussistenza della responsabilità solidale ex art 38 c.c. in capo al rappresentante legale in ragione della semplice titolarità della carica rivestita alla data dell’accesso e prescindendo che dagli atti dell’Anagrafe Tributaria si evince che il sig. XXXXX ha assunto tale carica a far data dal 24/01/2012.
Peraltro, nessuna prova è stata fornita dall’Ufficio che lo stesso abbia agito a nome e per conto dell’Associazione nel periodo 2011.
Il Collegio ritiene preliminarmente scrutinare l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici di impugnazione ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. 546/1992, proposta dagli appellati.
L’eccezione è infondata.
Il Collegio evidenzia che ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. 546/1992, il ricorso in appello deve contenere, tra l’altro, i motivi specifici dell’impugnazione.
È stato osservato che l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, non deve consistere in una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza (Cass. 30341/2019).
Si é, inoltre, ritenuto che non vi è incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, tali da comportare l’inammissibilità dell’appello a termini del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, ove il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi dall’intero atto di impugnazione nel suo complesso (Cass. 20379/2017; Cass.15519/2020; Cass. 14582/2021).
Ne consegue che non è necessaria ai fini dell’ammissibilità dell’appello l’indicazione di specifici motivi in relazione a specifiche censure della sentenza impugnata, essendo sufficiente che l’appellante si riporti alle argomentazioni già sostenute nel grado di merito precedente, insistendo per la legittimità dell’avviso impugnato. (Cass. 14582/2021), in quanto il ricorso in appello deve contenere i motivi specifici dell’impugnazione e non già nuovi motivi, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. 1371/2022; Cass. 3127/2022; Cass. n. 23532/2018; Cass. n. 7369/2017; Cass. n. 1200/2016; Cass. n. 3064/2012).
Nel caso in esame, dal ricorso in appello proposto dall’Agenzia delle Entrate di Taranto, si evincono in maniera chiara ed univoca i motivi di impugnazione, individuati nella violazione dell’art. 4 del DPR 633/1972, dell’art. 148 del DPR 917/1986 e dell’art. 36 del d.lgs. 546/1992, con richiamo alle controdeduzioni svolte in primo grado. Da ciò ne discende, per il Collegio, l’infondatezza dell’eccezione.
Passando all’esame del motivo di appello, l’appellante ha impugnato la sentenza di primo grado, con un unico e articolato motivo per violazione dell’art. 4 del DPR 633/1972, dell’art. 148 del DPR 917/1986 e dell’art. 36 del d.lgs. 546/1992, riportandosi anche alle controdeduzioni svolte in primo grado.
Il motivo è infondato.
Rileva il Collegio che il giudice di prime cure ha evidenziato nella motivazione della decisione impugnata: “… rileva che l’associazione è regolarmente affiliata al Coni e che nessun rilievo è stato acquisito a carico della ricorrente e proveniente dall’indicato Ente comunque organismo di vigilanza sugli affiliati e per questo in assenza di prove di irregolarità non rinvenute dai verbalizzanti e né acquisite presso Terzi si deve ritenere l’associazione ricompresa a tutto il 2011 nella categoria di quelle ammissibili ai benefici di cui all’art. 90 comma 2 della legge 289/2002 e al DM 11.02.97 e al regime forfettario di cui alla legge 398/91.
Tanto precisato alla ricorrente spetta il trattamento agevolato e con addebito delle sole sanzioni formali per quanto alla mancata o irregolare compilazione delle dichiarazioni dovute palesemente giustificate da meri errori non costituenti intento evasivo non sanabile stante peraltro il comportamento collaborativo dell’amministratore in sede di verbalizzazione e a tanto soccorre altresì l’art.19 del Dlgs.158/2015 che ha modificato il comma 5 dell’art.25 della legge 133/99. Inapplicabile al caso qui esaminato l’art.38 del c.c. per insufficienza di prova certa volta ad un indebito arricchimento.
Di mero contorno tutta la restante disputa processuale intercorrente tra la parte resistente e l’Agenzia e per questo si ritiene inutile e improduttivo di validi effetti ogni e qualsiasi approfondimento.
Sussistono infine sufficienti motivi per addebitare alla parte ricorrente spese di giustizia per euro 1.500,00 omnicomprensive per i ricorsi riuniti e a favore della Amministrazione Finanziaria.”.
Evidenzia il Collegio che la normativa di riferimento del regime agevolato in questione è rappresentata dalla legge 398/1991, dai commi 17 e 18 dell’articolo 90 della L.289/2002 e dall’articolo 148 del Tuir, disciplinante, invero, gli enti non commerciali e, per la tipologia di attività istituzionale, anche le associazioni sportive dilettantistiche.
Ai fini della corretta qualificazione fiscale come ente sportivo dilettantistico, è necessario che le associazioni siano dotate di uno statuto contenente i requisiti di cui all’articolo 90, commi 17 e18 della citata legge 289, indispensabili ai fini del corretto perfezionamento della natura sportivo dilettantistica dell’ente, certificata dall’iscrizione nel Registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche tenuto presso il Coni.
L’articolo 90, della richiamata legge n. 289, recante “disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica”, al comma 1, prevede che “Le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398 e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro”; al comma 18, prevede che “Le società e le associazioni sportive dilettantistiche si costituiscono con atto scritto nel quale deve tra l’altro essere indicata la sede legale. Nello statuto devono essere espressamente previsti: a) la denominazione; b) l’oggetto sociale con riferimento all’organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica; c) l’attribuzione della rappresentanza legale dell’associazione; d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette; e) le norme sull’ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche sociali, fatte salve le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni del codice civile; f) l’obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziari, nonché le modalità di approvazione degli stessi da parte degli organi statutari; g) le modalità di scioglimento dell’associazione; h) l’obbligo di devoluzione ai fi ni sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società e delle associazioni”.
La norma, quindi, ha dettagliatamente previsto i requisiti necessari per l’individuazione delle associazioni sportive dilettantistiche (con o senza personalità giuridica) e delle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza fine di lucro.
Le regole generali concernenti l’attività degli enti di tipo associativo sono dettate dall’articolo 148 del Tuir.
La norma, al comma 1, stabilisce che “non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo”. Il successivo comma 3 prevede che “Per le associazioni (…) sportive dilettantistiche (…)non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, (…)”.
Tuttavia, la non commercialità di tali corrispettivi specifici è condizionata, ai sensi del comma 8 dello stesso articolo 148, all’inserimento nei relativi atti costitutivi o statuti delle seguenti clausole:
-divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;
-obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità;
-disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori di età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;
-obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;
-libera eleggibilità degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti;
-intrasmissibilità della quota o contributo associativo a eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.
In pratica, per la spettanza del regime di favore occorre considerare la sostanza dell’attività esercitata e senza fine di lucro, in quanto “gli enti associativi non godono di uno status di extrafiscalità, che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, occorrendo sempre tenere conto della natura delle attività svolte in concreto” (Cass. 4147/2013; Cass. 16449/2016; Cass. 6346/2018).
In particolare, le agevolazioni tributarie previste in favore degli enti di tipo associativo non commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, dall’art. 148 del d.P.R.22 dicembre 1986, n. 917 si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto nonché a requisiti di natura sostanziale, attraverso un’operatività concreta senza fine di lucro (Cass.4872/2015; Cass. 28175/2017; Cass. 29157/2017; Cass. 2152/2020).
Nel caso di specie l’Agenzia appellante ha contestato all’Associazione la decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge n. 398 del 1991 per:
1. il mancato esercizio dell’opzione per usufruire del regime forfettario previsto dalla legge n. 398/91;
2. il mancato versamento trimestrale dell’IVA;
3. la mancata redazione del Rendiconto Finanziario;
4. l’aver effettuato dal conto corrente bancario aperto presso il Monte dei Paschi una serie di prelevamenti in contanti senza una chiara individuazione del beneficiario.
Per il Collegio tali inadempienze non costituiscono motivo di decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge n. 398 del 1991. Infatti, l’esercizio dell’opzione per usufruire del regime forfettario previsto dalla legge n. 398/91 può avvenire anche per comportamenti concludenti del contribuente a norma dell’art. 1 del DPR 10 novembre 1997, n. 442 “Regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette”. Il contribuente ha provato di essersi avvalso del regime forfettario con comportamenti concludenti a norma dell’art. 1 del DPR 442/1997 con la consegna ai verificatori del prospetto riepilogativo IVA conforme al modello di cui al D.M. 11.2.1997, come risulta a pag. 8 del PVC.
È noto che il prospetto riepilogativo cui fanno cenno gli appellati è quello utilizzato dai contribuenti che adottano modalità di determinazione forfetaria del reddito imponibile e dell’IVA secondo il regime fiscale introdotto dalla legge 398/1991 e di semplificazione degli adempimenti contabili secondo le previsioni del DPR 544/1999.
Inoltre, evidenzia il Collegio, che il mancato versamento dell’IVA, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio appellante, non comporta la decadenza dal regime tributario di cui alla legge n. 398 del 1991, ma l’applicazione delle specifiche disposizioni previste dal d.lgs. n. 471 del 1997.
Sull’asserita mancata redazione del Rendiconto Finanziario sostenuta dall’appellante, il Collegio rileva, a pag. 8 del PVC del 29.5.2015, che “In data 25.5.2015 la Parte, con un nuovo Verbale di Contraddittorio, consegnava la seguente documentazione: Rendiconto gestionale 2011/2012;…”. L’Ufficio appellante, invece, ha ritenuto il documento prodotto non idoneo trattandosi di un rendiconto economico e non finanziario.
Per il Collegio il documento prodotto assolve gli obblighi di cui all’art. 5, comma 5 del D.M. 26.11.1999 n. 473 ove si fa riferimento ad “un apposito rendiconto, […], dal quale devono risultare, […], le entrate e le spese relative a ciascuna manifestazione nell’ambito della quale vengono realizzati i proventi […], senza distinzioni sul suo contenuto se finanziario o economico.
Tra l’altro, il Collegio ritiene che la mancata redazione del rendiconto – circostanza che non riguarda la presente fattispecie- non può determinare automaticamente l’inapplicabilità delle disposizioni a favore delle Associazioni Sportive Dilettantistiche (Comm. trib. reg. Lombardia sez. XXV – Milano, 08/11/2018, n. 4826; Comm. trib. reg. Lombardia sez. XXV – 29/11/2018, n. 5271; CTR Lombardia 1299/2018), non essendo, tra l’altro, prevista tale sanzione dal D.M. 473/1999.
Pertanto, risultando assolto l’obbligo di presentazione del rendiconto da parte dell’Associazione, il mero indizio relativo alla distribuzione degli utili avanzato dall’Ufficio è infondato.
Quanto poi all’asserita decadenza delle agevolazioni per aver, gli appellati, effettuato una serie di prelevamenti in contanti senza una chiara individuazione del beneficiario, dal conto corrente bancario n. 1210.09 aperto il 14.9.201 presso il Monte dei Paschi, il Collegio osserva che gli appellati hanno evidenziato “…che i prelevamenti in contanti sono collegati con i rimborsi corrisposti agli allenatori, giocatori e dirigenti, ciascuno di importo inferiore ai limiti di tracciabilità, come si evince dalla documentazione esibita unitamente alla memoria difensiva citata” e che l’Ufficio non ha contestato tale affermazione.
Osserva, inoltre, il Collegio che la mancata specificazione dei singoli importi dei prelevamenti da parte dell’Ufficio non consente di valutare se nella fattispecie sia stato superato il limite di euro 516,46 per ogni singolo prelevamento e quindi la fondatezza dell’eccezione.
Tra l’altro va evidenziato che, il Dlgs 24 settembre 2015 n. 158 ha abrogato all’art. 19 la disposizione dell’art. 25, comma 5, della legge 133/1999 conseguentemente la violazione di tale norma non comporta la decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398. Infatti, la modifica normativa può ritenersi applicabile al caso in esame per il principio del favor rei e per la non definitività dell’avviso di accertamento, per cui la violazione alla tracciabilità delle movimentazioni finanziarie, anche se commesse prima del 2016, non comporta per gli appellati la decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge 398/1991.
Quanto poi al parziale riconoscimento di costi per euro 100.700,00 su costi documentati dall’Associazione per euro 133.356,00 come affermato dall’Ufficio a pag. 3 delle controdeduzioni nel giudizio di primo grado, il Collegio ritiene illegittimo il riconoscimento parziale e non totale dei costi documentati, in quanto ritiene deducibili anche i costi riferiti agli atleti non tesserati (XXXXXX, XXXXXX, XXXXXX XXXX, XXXXX XXXX, XXXXXX XXXX, XXXXXX XXXXXX).
Quanto poi al lamentato vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata denunciato dall’Ufficio appellante, il motivo è infondato.
Il Collegio evidenzia che la motivazione della sentenza è solo apparente, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Cass. – sez. un. n. 22232/2016; Cass. 30777/2021).
Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il giudice di prima cure ha evidenziato il percorso argomentativo e spiegato le ragioni della propria decisione, indicando, altresì, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo, in tal modo, possibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, ne consegue, quindi, l’infondatezza.
L’infondatezza dell’unico articolato motivo di appello esonera il Collegio dall’esame del motivo relativo all’applicabilità dell’art 38 del c.c. al rappresentante legale dell’Associazione appellata.
Gli appellati hanno proposto appello incidentale alla sentenza n. 2795/02/2016 nella parte in cui ha deciso di porre a carico della “XXXX XXXX XXXX” le spese di lite pari ad ?. 1.500,00 e per aver ritenuto applicabili all’Associazione l’irrogazione delle sole sanzioni formali, trascurando ed ignorando che l’atto di accertamento impugnato è privo di statuizioni che attengono alle mere violazioni formali.
L’appello incidentale è fondato e va accolto.
Il Collegio osserva che la sentenza impugnata non ha irrogato sanzioni per violazioni formali a carico dell’appellante incidentale.
Il giudice di prime cure ha solo sostenuto che per le violazioni formali accertate nel corso del giudizio, l’Ufficio poteva irrogare delle sanzioni per tali fattispecie, cosa che però non ha fatto con l’avviso di accertamento impugnato. L’accoglimento del ricorso di grado “per quanto di ragione e come in motivazione”, per il Collegio non poteva comportare la condanna alle spese della parte vittoriosa, in quanto in violazione dell’art. 15 del d.lgs. 546/1992.
In definitiva, per le motivazioni esposte, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, restando assorbite da quanto prefato, l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate è infondato e va respinto, mentre va accolto l’appello incidentale della “XXXX XXXX XXXX” con riforma parziale della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione delle spese di lite.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale per la Puglia, Sezione XXVIII di Taranto, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Accoglie l’appello incidentale.
Condanna l’Agenzia dell’Entrate di Taranto al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 2.500,00 in parti uguali in favore degli appellati, oltre accessori di legge, se dovuti, e per essi all’avv. XXXX XXXXX, dichiaratasi distrattaria, ex art. 93, comma 1, del c.p.c.
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