Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, sezione n. 22, sentenza n. 1449 depositata il 17 aprile 2024

Gli uffici impositori possono accedere in un locale adibito anche ad uso abitativo solo previa autorizzazione del capo dell’ufficio da cui dipendono e del procuratore della Repubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza n. 355/02/13, pronunciata in data 17/09/2013 e depositata in data 08/10/2013, la Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi  accoglieva parzialmente, con compensazione delle spese di giudizio, il ricorso presentato da Omissis Omissis nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Brindisi, avverso avviso di accertamento n. avviso di accertamento n. omissis , notificato in data 09/10/2014 e avente ad oggetto IRPEF, Add. Regionale e Add. Comunale, oltre a sanzioni e interessi per il periodo di imposta 2005.

Con tale atto impositivo, l’Ufficio accertava un reddito di capitali pari ad Euro 534.110,00, quale quota di reddito rinveniente dalla imputazione di utili extracontabili originati dal maggior reddito accertato, a seguito di verifica fiscale eseguita nei confronti della società Omissis S.r.l., di cui il ricorrente era socio al 100%.

Infatti, secondo l’Agenzia ricorreva la presunzione di distribuzione ai soci di tali utili rinvenienti da una società di capitali a ristretta base societaria.

Il contenzioso in parola traeva, quindi, origine dall’impugnazione di tale avviso di accertamento da parte del omissis, il quale censurava il modus agendi operato dagli accertatori in tema di acquisizione degli “elementi raccolti” nel corso del controllo fiscale e alla attribuzione di redditi di capitali nei suoi confronti, quale socio della predetta società, senza la prova della loro reale percezione.

Infatti, il contribuente eccepiva la nullità dell’atto impugnato per i seguenti motivi:

illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società per illegittima acquisizione di documentazione e per intervenuta estinzione della stessa;

per decadenza del termine ex art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 ;

per illegittima applicazione della norma sul raddoppio dei termini per l’accertamento;- per nullità del pvc redatto nei confronti della società e notificato quando era già estinta;

per violazione dell’ art. 2727 c.c. .

Chiedeva, pertanto, i provvedimenti consequenziali.

L’Agenzia delle Entrate, ritualmente evocata in causa, si costituiva in giudizio ribadendo la correttezza del proprio operato e la legittimità della pretesa impositiva e chiedendo il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di giudizio.

Con la richiamata sentenza, la Commissione Tributaria di Brindisi così decideva nel merito degli atti impositivi: “quanto alla ristretta base sociale valga solo rilevare come nell’anno di che trattasi il ricorrente fosse socio unico della società Omissis Srl Unipersonale (fatto noto alla base della presunzione) e come nel giudizio in oggetto il ricorrente non abbia addotto alcuno degli elementi che, per quieta giurisprudenza del giudice di legittimità, possono ritenersi idonei a superare la presunzione di distribuzione al socio dei maggiori utili attribuiti alla società ovvero la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione per essere stati, invece, accantonati dalla società o da essa reinvestiti. Da qui l’accoglimento parziale del ricorso (limitatamente alla riduzione de maggiore reddito accertato al socio in conseguenza della rideterminazione del maggiore reddito della società quale affermata dalla citata sentenza della CTP di Brindisi n. 178211 del 30.06-03.11.2011 (che ha determinato in Euro 560.607.00 i maggiori ricavi della società ci fini delle imposte dirette, dell’IVA e dell’IRAP nell’anno 2005)”.

Contro la predetta decisione della Commissione Tributaria Provinciale, il Sig. Omissis Omissis , a mezzo del proprio difensore di fiducia, depositava ricorso in appello, chiedendone l’accoglimento con vittoria di spese.

Con tale ricorso, Parte appellante eccepiva l’erroneità della sentenza, reiterando le motivazioni già argomentate in primo grado.

L’Agenzia delle Entrate si costituiva in quel giudizio presentando proprie controdeduzioni e appello incidentale per la riforma della sentenza.

La Commissione Tributaria Regionale di Bari, Sezione staccata di Lecce, con la sentenza n. 2824/2020, pronunciata in data 25/11/2020 e depositata in data 09/12/2020 , accoglieva l’appello principale, annullava l’accertamento emesso nei confronti di Omissis Omissis e rigettava l’appello incidentale.

In tale sentenza si legge: “l’Amministrazione Finanziaria, per sua scelta, nell’accertamento nei confronti del socio non ha dedotto, indicato e specificato il fatto degli utili extracontabili della società, con riferimento anche alla prova di ciò, ma si è limitata sul punto a rinviare puramente e semplicemente all’atto impositivo emesso nei confronti della società, senza neppure allegarlo a quello riferito allo stesso socio. Ha cioè essa stessa posto una situazione di collegamento funzionale tra l’atto impositivo verso la società con quello emesso nei confronti del socio, nel senso che il secondo è divenuto subordinato, quanto al suo esito, alla definizione del primo”.

Avverso tale decisione della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione rubricato al R. G. n. 15974/2021, chiedendo l’annullamento della decisione impugnata perché motivata sulla sentenza resa nel giudizio a carico della società (ordinanza n, 14156/18), che ha dichiarato la nullità del relativo avviso di accertamento per motivi di rito e non di merito.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 36058/22, pronunciata in data 18/10/2022 e depositata in data 09/12/2022 , in accoglimento del ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava anche per le spese di giudizio di legittimità a questa Corte, in diversa composizione collegiale.

I Giudici di legittimità, ritenendo fondate le censure affidate a tre motivi trattati congiuntamente, dichiaravano la sentenza nulla poiché: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società a ristretta base partecipativa, costituisce presupposto indefettibile ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, con la conseguenza che l’annullamento dello stesso, con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari, mentre tale carattere pregiudicante non si rinviene, al contrario, nelle ipotesi di vizi del procedimento (quale, nella specie, l’inesistenza della notifica e l’errata intestazione dell’avviso), le quali danno luogo ad un giudicato formale e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in dubbio l’accertamento della pretesa erariale…”.

Ed ancora: “che tale ultima è l’ipotesi verificatasi nella specie (cfr. anche l’ordinanza del 4.6.2018, n. 14156 di questa Corte), laddove la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, aveva determinato il difetto tanto della capacità processuale della Omissis quanto della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore (arg. da Cass., Sez. 5, 21.12.2018, n. 33278, Rv. 652120-01 )”.

A seguito, quindi, della predetta ordinanza che dichiarava nulla e cassata la sentenza n. n. 2824/2020 , pronunciata dalla CTR della Puglia – Sezione staccata di Lecce, il Sig. Omissis Omissis , a mezzo del proprio difensore di fiducia, depositava ricorso in riassunzione ai sensi dell’ art. 63 del D.Lgs. n. 546/92 , meglio indicato nel frontespizio, insistendo sulle conclusioni già rassegnate negli scritti difensivi proposti contro l’atto di appello.

L’Agenzia delle Entrate si costituiva nel presente giudizio insistendo sul riconoscimento della legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, con vittoria di spese di giudizio.

All’udienza del 21/12/2023, la Corte tratteneva la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In primis, tenendo presente che, nel processo tributario, caratterizzato dalla introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, il thema decidendum è limitato alle censure specificamente dedotte dal contribuente nel ricorso introduttivo di primo grado, occorre dare preliminarmente riscontro alle contestazioni avverso l’atto impositivo proposte con il ricorso introduttivo, le quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini, in via pregiudiziale, si chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato.

Sulla violazione dell’ art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 e dell’ art. 33, comma 1, del D.P.R. n. 600/73 .

Parte appellante si duole della mancata pronuncia da parte della CTP di Brindisi sulla eccezione sollevata in merito alla documentazione che sarebbe stata acquisita illegittimamente, e cioè senza la preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Infatti, censurava il modus agendi operato dai verificatori in tema di acquisizione degli “elementi raccolti” nel corso del controllo fiscale.

In data 11/05/2009, i Funzionari dell’Agenzia delle Entrate eseguivano l’accesso nell’immobile, sito in Brindisi alla via Omissis , adibito a sede legale delle due società Omissis S.r.l. e OMISSIS S.r.l., entrambe legalmente rappresentate da Omissis Omissis .

Tuttavia, nello stesso immobile il Omissis aveva la propria residenza anagrafica.

Dal relativo processo verbale di constatazione del 18/06/2009 si rileva a pag. 2: “I sottoscritti verbalizzanti, in data 11.05.2009 giungevano nella sede della società in Via Omissis – Brindisi – al cui interno è anche lo studio professionale del Rag. Omissis Omissis .

Dopo le presentazioni di rito, i verbalizzanti comunicavano al rappresentante legale, Rag. Omissis Omissis , lo scopo della visita facendo prendere visione e consegnando una copia dell’ordine di accesso prot. n. 18838/2009 del 16 Aprile 2009 (Allegato A), a firma del Direttore dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Brindisi – Dott. Omissis omissis , ed ottemperavano, quindi, alle prescrizioni contenute nell’ art. 12 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 “Statuto dei diritti del contribuente” e procedevano alla materiale consegna della “Carta dei diritti e dei doveri del soggetto verificato”, predisposta dalla Direzione Regionale della Puglia, illustrandone diffusamente il contenuto.

Inoltre, i verificatori invitavano il rappresentante legale della società di cui sopra ad esibire tutta la documentazione fiscale, contabile ed amministrativa della ” OMISSIS S.r.l” per gli anni d’imposta 2004 – 2005 e 2006″.

Si rileva, quindi, la presenza fisica, durante l’attività ispettiva, del legale rappresentante, Sig. Omissis Omissis , le cui generalità ( tra cui la residenza in Brindisi alla via Omissis ) venivano riportate nel medesimo verbale, che sottoscriveva unitamente agli accertatori.

Orbene, l’accesso fiscale costituisce uno degli strumenti maggiormente pregnanti ed invasivi utilizzati dall’Amministrazione Finanziaria per l’esecuzione delle proprie attività ispettive, nel cui ambito si pone come momento iniziale.

La materia è disciplinata in modo puntuale dall’ art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 , in materia di IVA, ma si applica, per espresso richiamo di altre disposizioni normative, alla generalità dei tributi.

La norma in commento prevede diverse tipologie di accesso per fini fiscali, che si differenziano in relazione ai presupposti e condizioni che ne legittimano l’adozione, nonché alle modalità esecutive.

Infatti, la difesa del contribuente si duole della violazione dell’ art. 52 del D.P.R. 633/1972 , laddove: “i Militari hanno eseguito l’accesso domiciliare anche in assenza di apposita autorizzazione rilasciata dal proprio capo ufficio (oltre che in assenza di autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica). I verbalizzanti erano dotati, infatti, solo di autorizzazione per iniziare l’attività di verifica (vgs. allegato nr. 2 – foglio di servizio notificato) ma non della specifica autorizzazione per l’accesso domiciliare.

Il documento notificato non sostituisce la specifica autorizzazione per l’accesso domiciliare, tanto è vero che, ai sensi dell’ art. 52 del D.P.R. 633/1972 , “Gli impiegati che eseguono l’accesso (domiciliare) devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono” e la Circolare 1/2008 della G. di F., disciplinante l’attività di verifica, prevede due diversi modelli di autorizzazione (c.d. fogli di servizio) da notificare in caso di accesso nelle abitazioni (all. nr. 11 della circ. 1/2008) o in caso di inizio verifica nei confronti imprese o esercenti arti e professioni (all. nr. 10 della circ. 1/2008).

Anche in questo caso la differenza non è formale perché con il rilascio della specifica autorizzazione per l’accesso domiciliare il capo ufficio autorizza, sotto la sua responsabilità, i verificatori ad accedere presso il domicilio del contribuente poiché gli stessi sono anche dotati di autorizzazione emessa dal Procuratore della Repubblica (nel presente caso neanche richiesta) “.

Orbene, è necessario, a questo punto, analizzare la norma cardine intorno alla quale ruota la tematica esaminata in questa sede e, quindi, la doglianza del contribuente.

L’art. 52 del Testo Unico IVA ( D.P.R. n. 633/1972 ) così recita: “Gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonché in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici di cui al codice del Terzo settore di cui all’ articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106 , per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia, e in ogni caso per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.

L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”.

Ordunque, l’articolo in commento legittima l’accesso domiciliare in locali esclusivamente adibiti ad uso abitativo, al fine di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove di violazioni tributarie, solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica e soltanto in presenza di gravi indizi delle infrazioni medesime.

Di contro, la norma precisa che qualora l’accesso debba avvenire in locali adibiti anche ad abitazione, è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica , oltre all’autorizzazione del capo dell’Ufficio.

Orbene, sobbalza all’attenzione la precisa volontà del Legislatore di rimarcare la netta distinzione normativa di accesso a seconda che il locale sia adibito esclusivamente ad uso abitativo oppure ad uso promiscuo, come nel caso in esame.

La destinazione ad uso promiscuo dei locali ricorre certamente nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, associativa in questo caso.

Sul punto, la giurisprudenza di merito e di legittimità è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di determinate operazioni di accesso, essendone espresso motivo di impugnazione da parte del contribuente unitamente all’atto impositivo emesso a conclusione del procedimento tributario (iniziato appunto con l’accesso contestato).

Infatti, secondo l’interpretazione dei Giudici di legittimità, la promiscuità dei locali è ravvisabile anche quando i locali aziendali e privati siano distinti, qualora vi sia una agevole e obiettiva possibilità di comunicazione interna tra gli ambienti. In altre parole, tutte le volte in cui l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi, tali luoghi devono essere qualificati come promiscui e per l’accesso ispettivo è necessaria l’autorizzazione della Procura della Repubblica.

Se quindi, tenuto conto dell’impianto normativo di riferimento, il principio generale è costituito dall’ art. 52, D.P.R. 633/1972 , a mente del quale per gli accessi, ispezioni e verifiche da parte degli Uffici finanziari, l’autorizzazione all’accesso da parte dell’Autorità giudiziaria non è necessaria quando l’accesso si riferisce ai locali in cui si svolge la normale attività commerciale, agricola, artistica o professionale, differente appare, invece, la previsione normativa per quei locali che sono adibiti anche ad abitazione del contribuente, oppure per i locali “diversi” e quindi destinati esclusivamente ad abitazione.

In tema, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1698/2022, ha specificato che, in ordine alla definizione di “uso promiscuo”, tale destinazione risulta configurabile non soltanto quando gli stessi ambienti sono contestualmente utilizzati per la vita familiare e l’attività professionale, ma ogni qualvolta si possa rilevare un’agevole possibilità di comunicazione interna, che consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali ad uso abitativo (cfr. Cass. n. 21411/2021). La “promiscuità” dei locali destinatari di accesso ispettivo e quindi la necessità dell’autorizzazione del magistrato competente, dipende esclusivamente dalla circostanza che vi sia tale “agevole possibilità di comunicazione interna”.

Nella vicenda in esame, è risultato pacifico tra le parti che l’accesso sia avvenuto in un luogo utilizzato contemporaneamente sia come sede legale di due società sia come abitazione privata del legale rappresentante, per cui non fa venir meno la ratio di maggior tutela connessa alla “promiscuità”.

Di conseguenza, se nei locali aziendali in cui è effettuato l’accesso manca siffatta “agevole possibilità” di comunicazione interna con i locali privati del contribuente, perché ad esempio si tratta di immobili collegati solo esternamente, verrebbe meno la loro connotazione di promiscuità e sarebbe sufficiente esclusivamente la lettera d’incarico rilasciata dal capo dell’ufficio che dispone la verifica senza necessità di ottenere l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Orbene, a fronte di quanto rilevato, può affermarsi l’esistenza di vizi procedurali relativi al PVC direttamente incidenti sulla legittimità dell’accertamento, nonché la rilevanza specifica di un accesso eseguito senza la necessaria autorizzazione, che inficia la successiva azione amministrativa, con la inevitabile caducazione degli effetti del medesimo accertamento tributario o di inutilizzabilità delle parti dello stesso che sono legate all’atto istruttorio da un nesso di consequenzialità.

Più in generale va chiarito, infatti, che qualsiasi tipo di violazione concernente le modalità ed i criteri di effettuazione della verifica riportate nel PVC, ne determinano la sua illegittimità e si ripercuotono inevitabilmente sull’avviso di accertamento con conseguente nullità derivata dello stesso.

Infatti, le SS.UU. della Suprema Corte hanno, infatti, statuito che il Giudice tributario ha il compito di valutare non solo la legittimità degli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria, ma anche quella relativa a tutte le fasi del procedimento che hanno portato all’adozione ed alla formazione degli atti istruttori.

Più specificamente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18751/2014 ha, infatti, chiarito che “la giurisdizione del Giudice tributario…omissis…ha carattere pieno ed esclusivo, estendendosi non solo all’impugnazione del provvedimento impositivo, ma anche alla legittimità di tutti gli atti del procedimento (S. U. 6315/09 ; S.U. 11082/10), di modo che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale impugnato” (631/12; 23595/11; 19337/11)”.

Pertanto, in considerazione della richiamata circostanza fattuale, questa Corte osserva, quindi, la illegittimità del PVC e, per l’effetto, la nullità dell’avviso di accertamento impugnato.

Ne consegue che l’eccezione pregiudiziale sollevata nell’appello diventa assorbente rispetto a tutti gli altri motivi.

Infatti, l’esame analitico di tutta la documentazione depositata permette alla Corte:

– di accogliere l’appello avente RGA n. 1215/2014, in riforma della sentenza di primo grado n. 355/02/2013; – di rigettare l’appello incidentale proposto da Agenzia delle Entrate nel RGA n. 1215/2014.

P.Q.M.

La Corte, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie l’appello di Omissis Omissis , rigetta l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate e dispone l’annullamento dell’atto impugnato.

Spese compensate per entrambi i gradi di giudizio e per il giudizio di legittimità, stante la peculiarità e complessità del caso concreto sotto il profilo giuridico.