Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, sezione n. 26, sentenza n. 944 depositata il 30 marzo 2023
L’accertamento del maggior reddito imponibile basato su dichiarazioni rese dal contribuente
Massima:
Nel processo tributario le dichiarazioni rese dal contribuente (in caso di società, dal legale rappresentante) acquisite dalla polizia tributaria o da funzionari accertatori dell’Ufficio nel corso di un’ispezione o verifica, risultanti dal verbale di constatazione, costituiscono confessione stragiudiziale e, quindi, prova diretta e non indiziaria del maggior imponibile accertato, senza che occorra a tal fine la presenza del difensore. Le dichiarazioni in questione possono legittimamente fondare l’accertamento del maggior reddito imponibile eventualmente accertato a carico del dichiarante, in quanto costituiscono una prova non indiziaria ma diretta, quindi considerata dai giudici, pienamente utilizzabile nell’ambito del processo tributario. Spesso, infatti, in virtù di un auspicato rapporto sereno tra verificatori e contribuente al rappresentante della società i verificatori chiedono notizie specifiche e mirate (ricarichi, sfridi, valore rimanenze, calcoli vari, etc.) che, è bene sapere equivalgono a confessione, impedendo, in molti casi, qualsivoglia futura difesa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. XXX del 13 febbraio 2017 la Commissione Tributaria Provinciale di Foggia accoglieva, con compensazione delle spese, il ricorso proposto da XXXX XXXX XXX avverso l’avviso di accertamento n. TVK 0XXXXXX/2011 per IRPEF, IVA, IRAP per il periodo d’imposta 2009. Tanto perché riteneva errate la percentuale di ricarico posta a base della rideterminazione del reddito; l’utilizzazione, nell’ambito dell’accertamento induttivo, delle dichiarazioni rese dalla contribuente; la ripartizione, negli anni dell’imposta oggetto di verifica, del maggior reddito di impresa attraverso l’applicazione del ricarico alla differenza inventariale.
Avverso detta pronuncia proponeva rituale appello l’Agenzia delle Entrate che sosteneva l’utilizzabilità delle dichiarazioni confessorie rese dalla XXXXXXX che aveva, peraltro, chiesto di procedere alla “spalmatura” dei maggiori ricavi dal 2009 al momento dell’accesso nonché l’esattezza della minore percentuale di ricarico e della minore pretesa erariale riconosciute in sede di adesione. Contestava la pronuncia nella parte in cui aveva annullato l’avviso anziché procedere, eventualmente, alla sua correzione.
Si costituiva in giudizio la XXXXXX chiedendo il rigetto dell’appello.
All’odierna udienza, il Collegio decideva come da dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello dell’Agenzia è fondato e merita accoglimento.
Come evidenziato nell’atto di appello, la XXXXXX, nel corso della verifica, dichiarava che le maggiori rimanenze erano frutto di sopravvalutazioni e gonfiamento delle merci al fine di ridurre il reddito d’impresa. Chiedeva, conseguentemente, di spalmare i maggiori ricavi a partire dal 2009 fino al momento dell’accesso (2011).
Contrariamente a quanto sostenuto nella pronuncia impugnata, la dichiarazione della XXXXX può essere posta a fondamento della decisione in quanto, come sostenuto dalla S.C. con la sentenza n. 592/21 “In tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni rese dal contribuente alla Guardia di finanza in sede di verifica fiscale integrano una confessione stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2735 c.c., costituendo prova non già indiziaria ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato a carico del dichiarante, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri” ( tra le altre, Cass. nn. 12271/07; 22616/14).
A tanto va aggiunto che la XXXXXXX non ha fornito, neppure in sede di giudizio, prova alternativa dell’assunta cessione dei beni non rinvenuti nell’esercizio e che la richiesta di accertamento con adesione non ha avuto esito positivo. Ciononostante, però, l’Ufficio nell’atto di appello ha chiesto la rideterminazione degli importi dovuti come proposti in sede di adesione. In particolare, nel corso del verbale di contraddittorio del 16.04.2012, la XXXXX riteneva che andasse applicata una percentuale di ricarico del 43% e l’ufficio aderiva alla richiesta riconoscendone l’esattezza (sul punto va precisato che l’accordo non si perfezionava perché non era accolta la richiesta della contribuente di imputare tutti i maggiori ricavi all’anno 2011).
Ne consegue che gli importi dovuti dalla XXXXXX vanno rideterminati calcolando una percentuale di ricarico del 43% anziché del 71% e sui maggiori ricavi, pari ad euro 3.771,20, andranno calcolati sanzioni ed interessi.
Le spese vanno compensate in ragione della parziale reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte In accoglimento dell’appello, ridetermina i maggiori ricavi di XXXX XXXX XXX per l’anno 2009 in euro 3.771,20 su cui andranno calcolati interessi e sanzioni;
compensa le spese di questo grado di giudizio.
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