Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione n. 3, sentenza n. 1989 depositata l’ 8 marzo 2024
Le pronunzie della Corte di giustizia dell’Unione europea, così come quelle della Corte Costituzionale che dichiarano l’illegittimità di una norma nazionale, non incidono sui rapporti già definiti. Questi ultimi devono essere intesi come tutti quelli in cui è intervenuta una sentenza irrevocabile, ovvero non sia stato impugnato l’atto applicativo, oppure siano maturate la prescrizione e la decadenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata n. 6668/8/2015 del 2.7.2015 depositata il 24.9.2015, la Commissione Tributaria Provinciale di Messina rigettava il ricorso proposto da B. G., avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate sulla sua istanza di rimborso della somma pari al 50% della ritenuta IRPEF a tassazione separata subìta sulle somme erogategli per incentivo all’esodo.
In particolare, i giudici di prime cure ritenevano che l’istanza di rimborso fosse stata presentata oltre il termine decadenziale di 48 mesi.
Avverso tale sentenza, B. G. proponeva appello, insistendo (più che censurando specifici passaggi della sentenza impugnata) sulla violazione da parte dell’Ufficio di una legge dello Stato, posto che avrebbe dovuto considerarsi il normale termine di prescrizione piuttosto che il termine di decadenza di cui all’ art. 38 D.P.R. n. 602/73 , e in ogni caso adducendo che il termine dei 48 mesi per la presentazione della istanza di rimborso, in realtà, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale decorreva dall’ordinanza della CGUE del 16.1.2008.
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Messina si costituiva in giudizio, controdeducendo ai motivi di appello. All’udienza del 5 febbraio 2024 la causa veniva posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il gravame proposto è infondato. Ed invero, l’ art. 38 D.P.R. n. 602/73 fissa il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento entro il quale il soggetto che lo ha effettuato può presentare istanza di rimborso nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento.
Nel caso in esame si verte proprio in un caso di inesistenza dell’obbligo del versamento, poiché l’effetto delle pronunzie della Corte Europea retroagisce, travolgendo la normativa per la quale è stato ravvisato il carattere discriminatorio contrastante con il diritto comunitario. Si vuole dire, in altre parole, che l’intervento della Corte Europea ha comportato la disapplicazione della legislazione nazionale discriminatoria ed ha fatto, quindi, venire meno, per il suo effetto retroattivo che inficia fin dall’origine la validità della norma, quell’obbligo in forza del quale era stato effettuato il versamento oggetto del presente giudizio.
Da ciò l’inesistenza dell’obbligo in capo (anche) all’odierno appellante. Sennonché, le pronunzie della Corte Europea, così come quelle della Corte Costituzionale che dichiarano l’illegittimità di una norma nazionale, non incidono sui rapporti già definiti, tali dovendosi intendere tutti quelli in cui è intervenuta una sentenza irrevocabile, ovvero non sia stato impugnato l’atto applicativo, ovvero ancora siano maturate la prescrizione e la decadenza.
In tal senso si sono pronunziate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 16 giugno 2014 n. 13676 (che questa Corte condivide appieno e da cui non ha ragione per discostarsi, con conseguente rigetto del secondo motivo di appello proposta dal FAZIO) affermando, appunto, che “il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall’ art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla “data del versamento” o da quella in cui “la ritenuta è stata operata”, opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche“.
Nel contempo, la medesima sentenza ha statuito che le suddette esigenze di certezza delle situazioni giuridiche prevalgono necessariamente sui principi elaborati in tema di “overrulling” (v. sentenza citata, secondo la quale, infatti, “allorché un’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di “overruling” non sono invocabili per giustificare la decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, termine fissato per le imposte sui redditi dall’ art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 , dovendosi ritenere prevalente una esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti“).
Nella fattispecie qui in esame, era, appunto, già maturata la decadenza per il decorso del termine di cui all’art. 38 sopra ricordato con riferimento alla data di effettiva trattenuta delle somme (risalente al 2001), e, dunque, il rapporto tributario si era, comunque, già definitivamente consolidato alla data in cui (19.10.2009), poi, è stata presentata l’istanza di rimborso. Nella specie, la contestazione su cui si fondava la domanda di rimborso del contribuente – ossia che la ritenuta era stata operata applicando l’aliquota piena e non l’aliquota dimidiata – attingeva la struttura stessa del calcolo della ritenuta e, pertanto, poteva essere fatta valere fin dal momento di effettuazione della ritenuta, mediante la ripetizione del 50% dell’importo calcolato dal datore di lavoro in base all’aliquota intera.
Questa Corte, facendo proprie le argomentazioni della Corte di Cassazione, rigetta dunque l’appello del contribuente, confermando la sentenza di primo grado. In relazione alla peculiarità della controversia, sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio di appello.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado della Sicilia, Sezione Terza, rigetta l’appello proposto da B. G. nei confronti della Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Messina, confermando la sentenza di primo grado.
Spese compensate.