Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, sezione n. 6, sentenza n. 267 depositata il 24 marzo 2023
In tema di rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola, l’opzione fiscale, volontariamente esercitata per usufruire del regime di imposta sostitutiva a seguito di rivalutazione dei cespiti immobiliari (art. 7 L. 448/2001), costituisce manifestazione di volontà irretrattabile
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I signori G. G., M. G., P. F., V. E., V. F. e V. T., con separati appelli, impugnano la decisione n. 172/2021 a mezzo della quale la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Lucca (già Commissione tributaria provinciale di Lucca) aveva rigettato i ricorsi da loro proposti avverso il silenzio rifiuto manifestato dall’Agenzia delle Entrate riguardo all’istanza di rimborso dell’imposta sostitutiva, versata ai sensi dell’art. 7 della legge n. 448/2001, conseguente alla rideterminazione del valore di terreni edificabili effettuata in base alle risultanze di una perizia giurata.
Poiché in virtù delle interpretazioni di prassi dell’Amministrazione Finanziaria all’epoca correnti anche il valore dei fabbricati esistenti e regolarmente accatastati, destinati ad essere parzialmente/integralmente demoliti, veniva assoggettato alla citata rivalutazione, gli appellanti, nel novembre del 2010, effettuavano i versamenti dell’imposta sostitutiva sulla base dei valori emergenti dalla perizia redatta da un professionista abilitato e regolarmente asseverata.
A parere degli attori l’interpretazione Ministeriale sarebbe stata smentita dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4150/2014 che avrebbe stabilito che la cessione di immobili da demolire non può essere considerata cessione di terreno edificabile. In data 31/10/2014 gli appellanti richiedevano pertanto il rimborso dell’importo di complessivi euro 18.400,00 (oltre agli interessi di legge) relativo alla parte di imposta sostitutiva versata in relazione ai soli fabbricati.
L’inerzia dell’Ufficio a seguito dell’istanza di cui sopra ha determinato il formarsi del silenzio-rifiuto di cui all’art. 19, lettera g) del D.Lgs. n. 546/1992, avverso il quale è stato prodotto il ricorso oggetto dell’appello.
La decisione di rigetto dei giudici a quo si fonda su di un unico motivo incentrato sull’irretrattabilità dell’opzione volontariamente esercitata per usufruire del regime di imposta sostitutiva.
Gli appellanti, ribadendo nella sostanza le argomentazioni svolte in primo grado del giudizio, fondano l’impugnazione essenzialmente su due motivi.
1) L’erronea, illogica ed insufficiente motivazione della sentenza in ordine alla violazione dell’art. 7, comma 1, della Legge 448/2001. In proposito evidenziano che, anche a seguito della citata sentenza n. 4150 dei giudici di legittimità, la stessa Agenzia delle Entrate, riconoscendo superate le proprie precedenti indicazioni, ha definitivamente stabilito che “se su un’area insiste un qualsivoglia fabbricato, la stessa area deve dirsi già edificata e non può essere ricondotta alla previsione di area «suscettibile di utilizzazione edificatoria» di cui all’articolo 67 del TUIR, atteso che la potenzialità edificatoria si è già consumata”.
2) L’erronea, illogica ed insufficiente motivazione della sentenza in ordine alla inesistenza dell’obbligazione tributaria e la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973. In proposito affermano che la corretta applicazione della disposizione sull’imposta sostitutiva avrebbe condotto alla inequivocabile conclusione che nessuna obbligazione tributaria poteva esistere in riferimento alla rideterminazione dei valori dei fabbricati in quanto sarebbe inesistente il presupposto oggettivo della stessa poiché solo i terreni edificabili e con destinazione agricola potevano essere rivalutati. Pertanto legittima e tempestiva si appaleserebbe la richiesta di rimborso effettuata nei termini previsti dall’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 dove è stabilito che l’istanza di rimborso dei versamenti diretti può essere presentata “entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”.
Termina con la richiesta di vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio.
Si costituisce in giudizio la Direzione provinciale di Lucca dell’Agenzia delle Entrate che ribatte puntualmente le tesi di parte privata, riafferma la natura volontaria del versamento effettuato a seguito della rivalutazione, con conseguente definitivo perfezionamento dell’obbligazione tributaria. Conclude per il rigetto dell’appello e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato e deve essere rigettato.
La questione preliminare e assorbente da risolvere è quella riguardante la natura giuridica da attribuire all’opzione fiscale esercitata tramite il versamento dell’imposta sostitutiva effettuato dagli appellanti a seguito della rivalutazione dei cespiti immobiliari.
Gli odierni appellanti lamentano che, nel caso di specie, il giudice a quo non avrebbe valutato la circostanza che essi avrebbero agito in quanto tratti in errore indotto dalla prassi e dalla dottrina all’epoca vigente e che tale errore sarebbe stato successivamente riscontrato anche dall’Agenzia delle Entrate. Al contrario il collegio lucchese ha correttamente qualificato come legittimo l’operato dell’Ufficio in quanto, secondo giurisprudenza consolidata, l’opzione fiscale in oggetto non rientra tra le dichiarazioni di scienza suscettibili di essere corrette in caso di errore, bensì tra le manifestazioni di volontà irretrattabili, non essendo configurabile, nel caso di specie, un errore materiale bensì una libera e discrezionale scelta compiuta dal contribuente e non ricorrendo un’ipotesi di duplicazione o inesistenza della obbligazione. Questo orientamento è stato di recente confermato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 2321 del 31/1/20 che testualmente afferma “Giova premettere che questa Corte è ferma nel ritenere che l’imposta sostitutiva prevista dall’art. 7 è un’imposta ” volontaria” che trova “causa necessaria e sufficiente in se stessa, ossia nella stessa scelta liberamente operata dal contribuente di accedere all’opzione offertagli dal legislatore, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti probabilmente dovuta sulla plusvalenza non affrancata“. Conseguentemente è irrilevante, ai fini del perfezionamento del meccanismo agevolativo, la circostanza che il contribuente tragga concretamente vantaggio dalla propria scelta in quanto la successiva cessione potrebbe addirittura mancare, senza perciò consentire di richiedere il rimborso di quanto versato (Cass. n. 29575 del 2018; Cass. n. 19217 del 2017)”.
Ancora in tema di irretrattabilità della dichiarazione di scienza e di irreversibilità dell’obbligazione conseguente si è pronunziata la Cass. civ. con ord. n. 4659 /2020 secondo cui “In tema di determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 81, comma 1, lett. a) e b) del d.P.R. n. 917 del 1986 (ora art. 67, comma 1, lett. a e b dello stesso d.P.R., come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 344 del 2003), nel caso di opzione per la rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili a norma dell’art. 7 della legge n. 448 del 2001, una volta soddisfatte le condizioni previste da tale disposizione (redazione della perizia giurata di stima e versamento dell’intera imposta sostitutiva o, in caso di pagamento rateale, della prima rata), si determina l’irreversibile perfezionamento dell’obbligazione tributaria, per cui il contribuente non può più ottenere il rimborso delle somme corrisposte, sia che abbia scelto di avvalersi del pagamento in unica soluzione sia che abbia scelto di avvalersi di quello rateale“.
In disparte la considerazione che, nel merito, i contribuenti non avevano acquisito alcun diritto al rimborso dell’imposta sostitutiva volontariamente versata in quanto la loro richiesta si fondava su una questione di interpretazione di legge riguardo alla quale, come correttamente affermato dai primi giudici, non esisteva, all’epoca, neppure un univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta l’appello e condanna gli appellanti al pagamento delle spese del processo che liquida in E. 1.500 oltre accessori come per legge.
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