Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo sez. staccata di Pescara, sezione 6, sentenza n. 546 depositata il 2 settembre 2022
Ricorre l’abuso del diritto in presenza di una sequenza artificiosa di operazioni negoziali che, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, è realizzata al fine di eludere l’imposizione e sia priva di sostanza commerciale ed economica
Massima:
Con sentenza n. 27158 del 2021 la Corte di Cassazione ha affermato il principio, secondo cui in materia tributaria, ricorre l’abuso del diritto, enucleabile in base ai principi di capacità contributiva e di progressività ex art. 53 Cost, ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talchè, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle ragioni economiche delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di anormalità economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonchè sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato.
Testo:
L’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di un processo verbale di constatazione emesso dalla G.d.F. a seguito di verifica fiscale condotta nei confronti della T. s.p.a., emetteva nei confronti di quest’ultima un avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria accertava un maggior reddito di impresa ai fini IRES per l’anno d’imposta 2014 derivante dalla: 1) indeducibilità degli interessi passivi per euro 1.196.477,00 corrisposti dalla società contribuente alla A. Ltd a fronte di un finanziamento fruttifero che tale ultima società aveva concesso alla prima nell’anno 2013; 2) indeducibilità della sopravvenienza passiva di euro 2.766.382,00 derivante da un debito per imposte e sanzioni afferente ad un contenzioso tributario riguardante A.; 3) inapplicabilità del regime della partecipation exemption sugli utili sui cambi di euro 278.887,00 derivanti dalla restituzione del capitale sociale di A. LTD. A seguito di numerosi incontri tra le parti, l’Agenzia delle Entrate si determinava ad annullare in autotutela solo tale ultima contestazione (rilievo n. 3) rideterminando in diminuzione sia il maggior reddito d’impresa accertato sia le sanzioni applicate; confermava, invece, il recupero degli interessi passivi di cui al rilievo n. 1, in quanto derivanti da operazione riconducibile alla fattispecie dell’abuso del diritto, e della sopravvenienza passiva di cui al rilievo n. 2, trattandosi di un debito per imposte e sanzioni indeducibili ex art. 99 del TUIR. La società contribuente, quindi, impugnava l’avviso di accertamento proponendo ricorso dinanzi alla CTP di Chieti che con la sentenza n. 323/02/2021 lo rigettava. La società contribuente ha proposto appello. Con riferimento al rilievo n. 1 (indeducibilità degli interessi passivi corrisposti alla A. LTD per il finanziamento fruttifero concessole nell’anno 2013) ha dedotto: 1) la violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 con conseguente decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di accertamento; 2) il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 36, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 111, comma 6, Cost.; 3) la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, in tema di abuso del diritto, che riteneva nella specie insussistente; 4) la violazione dell’art. 10-bis, comma 9, della legge n. 212 del 2000, e dell’art. 2697 cod. civ. in tema di prova dell’abuso, ricadente sull’amministrazione finanziaria che non lo aveva assolto. Con riferimento al rilievo n. 2 (indeducibilità della sopravvenienza passiva derivante da un debito per imposte e sanzioni afferente ad un contenzioso tributario riguardante A.) ha dedotto: 1) la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 99 e 101 del d.P.R. n. 917 del 1986 per avere la CTP omesso di pronunciarsi sulla censura volta a contestare l’infondatezza della ripresa a tassazione in quanto la sopravvenienza passiva non aveva natura di imposte e sanzioni, ma di indennizzo, come tale fiscalmente deducibile; 2) la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 3 della legge n. 241 del 1990, 7, comma 1, della legge n. 212 del 2000 e, in ogni caso, degli artt. 97 e 109, comma 5, del TUIR, per avere la CTP omesso di pronunciarsi sulla censura con cui aveva lamentato l’illegittimità del rilievo «per essere la contestazione mossa dalla DP del tutto apodittica e, in ogni caso, per avere le somme qualificate come “imposte” dalla Direzione natura di interessi», come tali deducibili; 3) la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 99 e 101 del d.P.R. n. 917 del 1986 per avere la CTP omesso di pronunciarsi sulla questione della deducibilità delle sanzioni; 4) la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. per avere la CTP omesso di pronunciarsi sulla questione della sussistenza sub specie di obiettive condizioni di incertezza e sull’assenza di colpa di essa società contribuente con conseguente inapplicabilità della sanzione irrogata. La società appellante ha chiesto, quindi, in riforma dell’impugnata sentenza dichiararsi nullo l’avviso di accertamento impugnato, in via gradata, fermo l’annullamento del rilievo n. 1, ridursi il rilievo n. 2 riconoscendo la deducibilità della somma corrisposta a titolo di interessi e di sanzioni; in via ulteriormente gradata, ritenersi non dovuta la sanzione irrogata. Il tutto con vittoria di spese ed onorari. Ha avanzato altresì istanza cautelare di sospensione “inaudita altera parte” dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, che è stata dichiarata inammissibile con decreto del Presidente di questa Sezione staccata del 18/11/2021. Si è costituita l’appellata Agenzia delle entrate che ha replicato su tutti i motivi di appello chiedendo il rigetto dell’appello con conferma dell’impugnata sentenza e refusione delle spese processuali. La società appellante ha depositato memoria. All’esito dell’udienza tenutasi con collegamento da remoto con le parti, questa Commissione ha pronunciato il dispositivo in calce trascritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con riferimento al rilievo n. 1 (indeducibilità degli interessi passivi per euro 1.196.477,00 corrisposti dalla società contribuente alla A. Ltd – A. Ltd – a fronte di un finanziamento fruttifero che tale ultima società aveva concesso alla prima nell’anno 2013) occorre premettere quanto segue. La A. Ltd, società di diritto irlandese costituita nel 2008, avente ad oggetto sociale l’acquisto e la locazione operativa di aeromobili, è società interamente controllata dalla T. s.p.a. (di seguito TH), all’epoca T. s.p.a. Al riguardo, risulta dagli atti di causa e non è comunque contestato che nel 2005 la A. s.p.a., di proprietà del Gruppo T. aveva sottoscritto un contratto con A. per l’acquisto di 30, poi divenuti 67 aeromobili. Successivamente, nel 2008, a seguito dell’acquisizione da parte di C. s.p.a. della partecipazione del Gruppo T. in A. s.p.a. in cambio di una quota di minoranza del predetto Gruppo in C., per non perdere i vantaggi del contratto concluso con A. per l’acquisto degli aeromobili, la T. s.p.a. costituiva la A. LTD cui trasferiva il contratto allo scopo di noleggiare in futuro a C. gli aeromobili acquistati da A.. In data 23/12/2008 venne sottoscritto l’accordo tra A. A. e A. LTD. Intanto, in data 11/12/2008 la T. s.p.a. sottoscriveva l’intero capitale sociale di A. LTD, all’epoca pari a 50.000,00 euro, che successivamente incrementava con versamenti del 31/12/2008, del 15/01/2009 e del 3/06/2009, per un valore complessivo di oltre 143milioni di euro. Tra il 2012 ed il 2015, a seguito di difficoltà nell’approvvigionamento (da A) e leasing (a C) degli aeromobili (calo dei tassi di locazione, difficoltà di reperire finanziamenti per il rispetto del programma di acquisto degli aeromobili) la A. LTD procedeva alla dismissione di tutti gli asset, con la vendita di 4 velivoli nel febbraio 2013 (con accordo formalizzato già nel 2012) alla C.Company (1^ dismissione), e con la successiva vendita, nell’anno 2014, di tutti gli altri aeromobili a soggetto terzo (2^ dismissione). Le risorse derivanti dalle predette dismissioni di velivoli, venivano trasferite alla controllante TH a titolo di finanziamento fruttifero, c.d. ascendente. Il 20/02/2013, in corrispondenza con la prima dismissione, veniva stipulato il contratto di finanziamento tra A. LTD e TH per 50 milioni di euro che al 31/12/2014 aveva generato interessi passivi per euro 1.196.477,00. Il 20/04/2015, in corrispondenza con la seconda dismissione, il finanziamento veniva incrementato a 150milioni di euro, che generava interessi passivi per la TH di euro 1.563.604,00. Il 26/11/2015 la A. LTD procedeva alla riduzione del capitale sociale, all’epoca versato interamente dalla controllante TH, compensandolo (per la maggior quota) con il debito che quest’ultima aveva contratto con la controllata A. LTD con il contratto di finanziamento e allocando a riserva la restante parte.
Ciò precisato in punto di fatto, con riferimento al primo rilievo la società appellante con il secondo motivo di impugnazione, che per ragioni di ordine logico-giuridico va esaminato preliminarmente, ha censurato la sentenza impugnato per vizio assoluto di motivazione, in violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 36, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 111, comma 6, Cost.. L’appellante ha anche dedotto, con riferimento al secondo rilievo e per tutti i motivi di impugnazione, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. lamentando l’omessa pronuncia della CTP sulle questioni riproposte comunque nei motivi di appello. Al riguardo va precisato che il vizio di motivazione della sentenza impugnata nonché l’omessa pronuncia dei giudici di prime cure in relazione ad alcuni dei motivi di impugnazione dell’avviso di accertamento, anche ove esistenti, non possono comportare la riforma dell’impugnata sentenza, spettando al giudice di secondo grado colmare dette lacune, essendo noto che il giudizio di appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia (cfr. Cass. n. 3559 del 2010; n. 17127 del 2007). Ne consegue che l’appellante non ha interesse alla pronuncia atteso che, anche ove il motivo fosse fondato, non le porterebbe alcun untile risultato non potendo comportare né la regressione del processo alla Commissione di primo grado (non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 59 del d.lgs. n. 546 del 1992), né la riforma dell’impugnata sentenza, spettando a questa Commissione, per come detto, decidere nuovamente nel merito la causa.
Il secondo motivo di appello va, quindi, rigettato.
Con il primo motivo di impugnazione, al cui esame deve passarsi, la società contribuente con riferimento al rilievo n. 1 (indeducibilità degli interessi passivi per euro 1.196.477,00 corrisposti dalla società contribuente alla A. LTD a fronte di un finanziamento fruttifero che tale ultima società aveva concesso alla prima nell’anno 2013) ha dedotto l’intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di accertamento, ex art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973. Il motivo è infondato e va rigettato. Premesso che nella specie si verte in ipotesi di deduzione di interessi passivi su finanziamento fruttifero acceso nell’anno 2013 e dedotti dalla società contribuente fino all’anno d’imposta 2018 (appello, pag. 15), deve farsi applicazione del principio affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 8500 del 2021, secondo cui «In caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale non per l’errato computo del singolo rateo dedotto, ma a causa del fatto generatore e del presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, ex art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, e non già del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio».
Con il terzo motivo di appello la società contribuente ha dedotto, sempre con riferimento al primo rilievo, la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 in tema di abuso del diritto, contestato dall’amministrazione finanziaria ma che riteneva nella specie insussistente, e, con il quarto motivo, la violazione dell’art. 10-bis, comma 9, della legge n. 212 del 2000, e dell’art. 2697 cod. civ. in tema di prova dell’abuso, ricadente sull’amministrazione finanziaria che non lo aveva assolto. I motivi, stante la loro stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente. Al riguardo la società appellante, muovendo dal presupposto che l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto sussistente l’elusione fiscale nel rimborso al Gruppo T. da parte di A. LTD del capitale sociale a quest’ultima versato negli anni 2008-2009, mascherato nella forma del finanziamento fruttifero concesso dalla seconda (A. LTD) alla prima, con conseguente deduzione da parte della T. degli interessi passivi versati alla A. LTD, ha dedotto una serie di argomentazioni e circostanze dirette a contrastare la diversa tesi sostenuta dall’Agenzia delle entrate nell’avviso di accertamento impugnato e più precisamente: 1) che il c.d. finanziamento ascendente ottenuto da A. LTD trovava ragione «in più che valide ragioni economiche», costituite dalla necessità di «consentire alla controllante (TH) di disporre di risorse economiche messe a sua disposizione dalla propria controllata (A. LTD), sfruttando la liquidità che quest’ultima aveva all’epoca maturato»; 2) che gli strumenti giuridici utilizzati nell’operazione in esame sono conformi alle logiche di mercato; 3) quanto alla sequenza negoziale, che tra la data del 20/02/2013, di sottoscrizione del finanziamento, e quella del 26/11/2015, di riduzione del capitale sociale da parte di A. LTD, era intercorso un significativo lasso temporale e che altrettanto significativo era il lasso temporale intercorso tra il contratto integrativo di finanziamento, stipulato il 30/04/2015 (per 100milioni di euro), e quello sopra indicato di riduzione del capitale sociale; 4) che la vendita degli asset (da parte di A. LTD) non aveva nulla a che vedere con la riduzione del capitale e che una società ben potrebbe dismettere il patrimonio attivo senza necessariamente ridurre il capitale sociale; 5) che «la decisione di dismettere oltre la metà della propria flotta aerea è stata assunta da A. LTD al verificarsi nel 2015 di eventi (quali, appunto, il risultato “fallimentare” dell’iniziativa economica svolta da A. C. s. p.a.; l’ingresso di E. nel capitale sociale del nuovo soggetto giuridico / A C. s.p.a.; la decisione del Gruppo T. di non diventare socio di quest’ultima società) del tutto imprevisti ed imprevedibili nel 2013»; 6) che, pertanto, l’erogazione del finanziamento da A. LTD a TH, effettuato nell’anno 2013, smentiva la tesi dell’amministrazione finanziaria dell’esistenza di un nesso di collegamento tra tale erogazione (che mascherava il rimborso del capitale sociale effettuato dalla TH) e la dismissione degli asset di A. LTD e la riduzione del capitale sociale effettuato ben due anni dopo, nel 2015, per le imprevedibili circostanze sopra riferite; 7) che l’inesistenza di tale collegamento si poteva desumere anche dalla circostanza che prima del 2015 A. LTD non aveva mai espresso l’intenzione di ridurre il proprio capitale sociale, come risultava chiaramente dalle relazioni degli amministratori della società (“Direct Reports”) allegati ai bilanci degli anni 2013 e 2014, la cui attendibilità era particolarmente elevata essendo stati certificati da una società di revisione (in tal senso deponendo anche il principio affermato da Cass. n. 6532 del 2009). L’appellante ha dedotto altresì l’insussistenza nella specie del conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, anche esclusivo. Al riguardo ha sostenuto: 1) che TH per procurarsi le risorse finanziarie necessarie allo svolgimento della propria attività, ove non avesse fatto ricorso al finanziamento infragruppo, avrebbe dovuto ricorrere al sistema bancario ed avrebbe, in tal caso, dovuto corrispondere un saggio di interesse ben più elevato rispetto a quello pattuito contrattualmente con A. LTD, come stava a dimostrate la documentazione prodotta in giudizio (da un lato, l’estratto del contratto di finanziamento stipulato con A. LTD e quelli stipulati con tre istituti bancari), non contestata dall’appellata; 2) che, pertanto, il vantaggio fiscale era tutt’altro che indebito, stante la concreta convenienza economica dell’operazione in esame; 3) che, inoltre, il vantaggio fiscale conseguito non era “esclusivo”, ovvero “predominante ed assorbente” rispetto al vantaggio fiscale conseguito; 4) che, in ogni caso, a norma del comma 4 dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, non sussiste un abuso allorché il contribuente, per raggiungere un determinato obiettivo economico, adotti una condotta anziché un’altra al solo fine di massimizzare il risparmio fiscale.
Le censure sono fondate e vanno accolte. Al riguardo va richiamato il principio affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 27158 del 2021, secondo cui «In materia tributaria, ricorre l’abuso del diritto, enucleabile in base ai principi di capacità contributiva e di progressività ex art. 53 Cost, ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talchè, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonchè sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato».
Orbene, nella specie le circostanze dedotte dalla società appellante e sopra analiticamente riportate, inducono ad escludere la sussistenza della contestata violazione dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000. Risulta, infatti, che l’operazione di finanziamento era assistita da una valida ragione economica, giustificabile in base alla pratica, comune tra società infragruppo, che l’una finanzi l’altra, senza che potesse ragionevolmente ipotizzarsi all’epoca della sua erogazione (2013) quali sarebbero state due anni dopo (nel 2015) le “sorti” della società finanziatrice (che provvedeva nel novembre di tale anno a ridurre il proprio capitale sociale e vendere il 66% degli aeromobili di sua proprietà). Ed in tal senso nessun elemento concreto ha fornito l’amministrazione finanziaria, su cui gravava il relativo onere probatorio, evidenziandosi al riguardo che la circostanza dedotta dall’Agenzia delle Entrate, ovvero che nell’aprile 2015, e quindi a ridosso della riduzione del capitale sociale della controllata di TH, la A. LTD aveva provveduto a concedere alla controllante un ulteriore finanziamento, è circostanza verificatasi successivamente all’anno d’imposta qui in rilievo, inidonea a far ritenere sussistente il fine abusivo rilevato dall’amministrazione nell’operazione finanziaria, ben potendo ipotizzarsi che le parti, nel 2015, constatata una modifica in peius delle condizioni economiche della società controllata, abbiano in tale momento approfittato dell’operazione lecitamente posta in essere nel passato. La circostanza dedotta dall’amministrazione finanziaria, secondo cui nel 2012 risultava per tabulas che la A. LTD versasse in una situazione di crisi, non è stata adeguatamente provata in quanto l’Agenzia delle Entrate fa riferimento a difficoltà nei rapporti contrattuali tra la predetta società ed il fornitore AIRBUS risalenti a qualche anno prima (2009/2010), che ben possono trovare spiegazione in normali quanto contingenti difficoltà finanziarie della società, mentre non è condivisibile la tesi che la liquidità maturata dalla A. LTD nel 2013, ovvero all’epoca del finanziamento erogato alla TH, costituisca prova di «sbocchi/impieghi alternativi progettuali» (controdeduzioni, pag. 18), potendo tale liquidità essere invece il frutto di un andamento favorevole degli affari, idonea peraltro a smentire la prima delle circostanze sopra riferite. D’altro canto, l’Agenzia delle Entrate non spiega in che modo una società che ritiene in crisi fin dal 2009/2010, possa poi conseguire nel 2013 una liquidità tale da consentirle di effettuare il finanziamento a favore della società controllante. Di contro, la circostanza, risultante dallo stesso contratto di finanziamento, che la società appellante abbia fatto ricorso alla liquidità della controllata allo scopo di ottimizzare l’efficienza e la gestione finanziaria del Gruppo T. s.p.a., sta a dimostrare che l’operazione commerciale non era «priva di sostanza commerciale ed economica» (cfr. Cass. sopra citata); che sussistevano ragioni extrafiscali che escludono che tale operazione sia stata posta in essere al solo fine di ottenere un indebito vantaggio fiscale costituita dalla deduzione degli interessi passivi pagati alla società controllata per l’erogazione del finanziamento. A ciò aggiungasi che è pacifico tra le parti (v. controdeduzioni dell’Agenzia delle Entrate, pag. 19) che il ricorso al sistema bancario per ottenere analogo finanziamento avrebbe comportato per la società appellante maggiori oneri. In buona sostanza, da quanto detto consegue l’accoglimento del terzo e quarto motivo di appello, con conseguente annullamento dell’atto impositivo nella parte in cui l’amministrazione finanziaria ha ripreso a tassazione, perché non deducibili, gli interessi passivi sul finanziamento erogato dalla A. LTD alla TH nell’anno 2013, per l’anno d’imposta 2014.
Con il quinto motivo di impugnazione l’appellante TH ha dedotto la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonché degli artt. 99 e 101 TUIR per avere la CTR omesso di pronunciarsi sul motivo di ricorso proposto con riferimento alla ripresa a tassazione della sopravvenienza passiva di euro 2.766.382,00 derivante da un debito che l’Agenzia delle Entrate riteneva essere per imposte e sanzioni mentre in realtà era per interessi e sanzioni afferente ad un contenzioso tributario riguardante A., sostenendo che comunque l’amministrazione finanziaria aveva erroneamente ritenuto tale sopravvenienza indeducibile, sul presupposto che la stessa avesse natura di imposte e sanzioni e non, invece, di indennizzo, come tale deducibile.
Il motivo è fondato e va accolto nella sua seconda censura posto che l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte dei giudici di primo grado è vizio cui deve sopperire questa Commissione (cfr. Cass. n. 3559 del 2010; n. 17127 del 2007 già citata esaminando il secondo motivo di appello). Nel merito, come riferito dalla stessa amministrazione finanziaria, la contestazione in esame trae origine dalla cessione all’A s.p.a. da parte della AP Holding s.p.a., controllata da TH, della partecipazione della stessa in A. s.p.a. In relazione a tale cessione, la TH aveva effettuato «nel corso degli anni una serie di accantonamenti al conto fondo rischi contenzioso, quasi interamente utilizzato nel modello di dichiarazione dei redditi SC 2018 redditi 2017 a seguito della definitiva soccombenza nell’ambito di una lunga procedura conciliativa extragiudiziale, conclusasi con il lodo M. Con particolare riferimento all’anno 2014, oggetto di controversia, alla data del 31 dicembre, T. SpA contabilizzava una sopravvenienza passiva dell’importo di 2.766.381,74, fiscalmente dedotta, per il debito maturato verso A a seguito della sentenza definitiva della Cassazione n. 16221 del 16707/2014, che decideva a favore dell’Agenzia delle Entrate contenziosi pendenti in capo ad A., identificati all’atto della cessione della partecipazione e per i quali l’acquirente aveva avanzato richiesta di indennizzo alla società verificata. Successivamente, nel 2016 il debito verso A. veniva stornato, senza imputazione al conto economico, e portato ad incremento del fondo rischi per contenzioso, in ragione del fatto che, nel frattempo, la T. aveva eccepito nel nuovo arbitrato appena costituitosi (conclusosi con il Lodo M. del 17/2/2017) l’assenza di idonei riferimenti probatori addotti dalla parte acquirente. Detta eccezione veniva accolta dal collegio giudicante, che rigettava definitivamente la richiesta di indennizzo avanzata da C.. Nel 2017 si concludeva l’intera vicenda stragiudiziale tra le due parti, con il definitivo componimento delle pregresse pendenze originate dalla cessione della partecipazione A.. Le parti definivano bonariamente tutte le liti pendenti legate alla vendita di A., con accettazione da parte di A. della proposta di definizione avanzata dalla T., con la quale si riconosceva che T. avrebbe versato a favore di A.-C. un totale indennizzo di 50.775.252,00 con le modalità definite nel paino di rateizzazione del 3 agosto 2017, successivamente ridefinito con le successive scritture private del 12 luglio 2018 e del 18 febbraio 2019. In ragione della soccombenza nel Lodo M., nel 2017 la società T. ha contabilmente utilizzato il fondo rischi contenzioso destinato alla copertura degli specifici rischi connessi alla vendita della partecipazione A., per la rilevazione del debito nei confronti di A., provvedendo alla contestuale deduzione ai fini fiscali del suo utilizzo mediante variazione in diminuzione rilevata nel quadro RF del Modello Unico SC2018 per l’anno di imposta 2017, per un importo di 48.514.363, al netto dell’utilizzo già dedotto nel 2014» (controdeduzioni, pagg. 24 e 25).
Orbene, secondo l’amministrazione finanziaria doveva escludersi che gli accantonamenti al fondo rischi potessero rientrare tra quelli ammessi in deduzione a norma dell’art. 107, comma 4, del TUIR, tant’è vero che la stessa società contribuente ne aveva effettuato la ripresa in aumento in dichiarazione, ed anche il loro definitivo utilizzo era parimenti indeducibile in quanto riferibile ad imposte e sanzioni. In pratica, secondo l’amministrazione finanziaria si verterebbe in ipotesi di indeducibilità degli utilizzi del fondo rischi riferiti ad imposte e sanzioni conseguenti alla definizione (giudiziale o transattiva) di molteplici controversie fiscali, per essere le une (le imposte) e la altre (sanzioni) (controdeduzioni, pagg. 25 e 26). La tesi non è condivisibile. Come ha correttamente evidenziato la società appellante: – con sentenza del n. 16221 del 2014 la Corte di Cassazione aveva sancito la soccombenza di A. s. p.a. in una controversia in materia di IVA ed accessori; – con clausola (art. 12) inserita nell’accordo quadro di cessione tra TH e C.-A., la prima, tenuto conto della predetta sentenza della Corte di cassazione e degli esiti del Lodo A. e del successivo Lodo M. , si era impegnata «a manlevare e tenere indenne» C. «per ogni e qualsiasi danno sofferto o incorso a C. […] derivante da o in qualunque modo connesso al contenzioso» suddetto (appello, pag. 50) e quindi aveva indennizzato C. dell’importo di 2.766.382 corrispondente alla somma di sanzioni ed interessi che quest’ultima a sua volta aveva dovuto corrispondere all’Erario in relazione al contenzioso terminato con la richiamata pronuncia del 2014; – in pratica, le somme corrisposte da T. ad A. – C., interamente dedotte dalla società, scaturivano dall’esecuzione dei due lodi (A. e M.) con i quali la società T. era stata condannata ad indennizzare A. – C., acquirente di A. s.p.a., per danni, oneri e sopravvenienze passive derivanti da fatti e circostanze che avessero avuto origine anteriormente al trasferimento della partecipazione in A.; le successive vicende, accadute nel 2016 e 2017, in particolare con il Lodo M. in cui per la prima volta TH aveva contestato l’esistenza dei presupposti per la corresponsione della somma sopra indicata, con conseguente eliminazione dal bilancio di TH del 2016 del debito nei confronti di C. per poi operare, nel 2017, una variazione in diminuzione del reddito d’impresa non comprensiva dell’importo della sopravvenienza passiva già dedotta nel 2014, non erano idonee a legittimare ex post il recupero a tassazione operato nel 2014. Ha precisato l’appellante, peraltro senza essere stata sul punto smentita, che diversamente da quanto sostenuto dall’amministrazione finanziaria l’importo di 2.766.382 corrispondeva alla somma di sanzioni ed interessi che C. aveva dovuto corrispondere all’Erario in relazione al contenzioso terminato con la richiamata pronuncia del 2014 e non, invece, ad imposte e sanzioni, con la conseguenza che almeno per quanto riguardava gli interessi la ripresa a tassazione era illegittima. Su tale questione ha proposto il sesto motivo di appello (contestando l’omessa pronuncia da parte dei giudici di primo grado) mentre con il settimo motivo ha dedotto l’omessa pronuncia sul motivo di ricorso con cui aveva dedotto la non debenza delle sanzioni per sussistenza di obiettive condizioni di incertezza normativa e per assenza di colpa.
Ciò precisato, il quinto motivo va accolto con assorbimento degli altri. Invero, è evidente che quello dovuto da TH a C. non erano né interessi, né sanzioni, né imposte, in quanto il debito di TH nei confronti di C. aveva origine in un accordo contrattuale e non era un debito della prima verso l’erario. Invero, le somme (per imposte e sanzioni, secondo l’Agenzia delle Entrate, ma interessi e sanzioni per la TH) era dovute all’Erario non dalla T. ma da A., società ceduta. Trattavasi invece di indennizzo che la prima doveva alla seconda sulla base di accordi privatistici intervenuti a seguito della cessione di A. s.p.a. ad A.. Al riguardo deve osservarsi, richiamando quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 17011 del 2020, che quella inserita nell’accordo quadro era «una clausola “di garanzia” della consistenza patrimoniale della società, con la quale il cedente assume un autonomo e specifico obbligo di indennizzo (altrimenti estraneo all’oggetto della garanzia legale cui il venditore è tenuto nei confronti del compratore) rappresentato dal reintegro, totale o parziale, di passività sopravvenute, usualmente di natura fiscale, riferibili alla gestione anteriore all’acquisto. La clausola ha quindi una funzione sostanziale di garanzia, di tipo assicurativo, e l’obbligazione che ne deriva a carico del cedente è finalizzata a tenere il cessionario indenne dagli effetti pregiudizievoli, sulla consistenza patrimoniale della società, derivanti dal fatto predeterminato» In tale pronuncia si è condivisibilmente affermato che «l’indennizzo incassato, in esecuzione della richiamata clausola contrattuale “di garanzia”, dalla società costituiva quindi, ai fini fiscali, un componente attivo del reddito imponibile della contribuente ai sensi dell’art. 88, terzo comma, lett. a), d.P.R. n. 917 del 1986, il quale considera sopravvenienze attive anche «le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 85 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 86». «Non osta a tale conclusione la tesi […] secondo la quale, nel caso di specie, difetterebbe la simmetria tra l’imponibilità della stessa sopravvenienza attiva, costituita dall’indennizzo, e l’indeducibilità del componente negativo correlato, rappresentato dalle imposte che la contribuente ha assunto a debito e pagato […]. L’argomentazione, invero suggestiva, è tuttavia viziata dalla già censurata equivoca sovrapposizione tra i due diversi rapporti, quello tributario e quello contrattuale, nei quali trovano rispettivamente titolo il debito tributario ed il credito indennitario. Infatti, vista la già descritta funzione della clausola contrattuale “di garanzia”, l’indennizzo era destinato a ristorare l’effetto pregiudizievole della consistenza patrimoniale della società ceduta, prodottosi a seguito della passività fiscale emersa successivamente alla cessione.
L’adempimento del debito fiscale de quo non costituiva, quindi, il componente negativo deducibile da porre in relazione simmetrica con l’indennizzo contrattuale, ma era l’evento al cui verificarsi si era prodotta la lesione della consistenza patrimoniale da ristorare (ed in tale prospettiva, peraltro, l’indeducibilità delle imposte dovute dalla cessionaria costituiva piuttosto un presupposto dell’indennizzo, poiché stabilizzava definitivamente il relativo effetto patrimoniale negativo).
Pertanto, sulla mera base della parziale coincidenza solo quantitativa tra debito fiscale sopravvenuto ed indennizzo, non può assumersi l’irrilevanza fiscale di quest’ultimo, facendo leva sulla natura di costo indeducibile della passività fiscale che lo ha reso dovuto, attivando la relativa clausola». Come correttamente ha osservato la società appellante, «se, per la cessionaria, la somma corrisposta dalla cedente a titolo di indennizzo è fiscalmente imponibile come sopravvenienza attiva, simmetricamente, questa stessa somma è fiscalmente deducibile dalla cedente ex art. 101, comma 4 TUIR» (appello, pag. 49). Conclusivamente, da quanto detto consegue l’accoglimento dell’appello e l’annullamento degli atti impositivi impugnati. L’esito del giudizio e l’evidente complessità delle questioni esaminate costituiscono valide ragioni di compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie l’appello e compensa le spese processuali.