Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione n. 1, sentenza n. 675 depositata il 8 ottobre 2024

n caso di distribuzione del reddito societario al socio formale o di fatto sub specie di erogazione del dividendo, la doppia imposizione economica è ammessa dall’ordinamento in quanto colpisce sì lo stesso reddito ma sulla base di due diversi presupposti (la realizzazione dell’utile societario e l’erogazione dei dividendi). Si ricade, invece, nella fattispecie di doppia imposizione giuridica vietata dall’art. 67 TUIR allorché si accerti, sulla base della presunzione legale relativa di maggior reddito societario ex art. 32, del D.P.R. n. 600/1973, che i versamenti e i prelevamenti ingiustificati registrati sui conti correnti bancari intestati a terzi legati da vincoli familiari alla compagine sociale della società a base ristretta, astrattamente qualificabili come “redditi diversi”, costituiscano, in realtà, proventi della società stessa realizzati attraverso attività illecite e, dunque, ad essa direttamente riferibili

IRPEF – L’attribuzione del reddito societario al socio (di fatto) sulla base della presunta distribuzione dello stesso non è una doppia imposizione – Sussiste – E’ una forma di doppia imposizione economica ammessa dal nostro ordinamento – Sussiste

Massima:

Con l’Ordinanza n. 29112 del 19/10/2023 la Corte Suprema di Cassazione enuncia il principio di diritto riferito alla doppia imposizione, secondo il quale la stessa non vi sarebbe nel caso di attribuzione del reddito societario al socio (di fatto) sulla base della presunta distribuzione dello stesso, trattandosi di doppia imposizione economica, come tale ammessa dal nostro ordinamento in quanto, sebbene riferibile al medesimo reddito, basata pur sempre su 2 diversi presupposti (da un lato la realizzazione del reddito in capo alla società, dall’altro la distribuzione del dividendo in capo al socio). Al contrario, chiarisce la Corte che ” diverso, invece, sarebbe il caso in cui si ritenesse, come unico presupposto della tassazione, la presenza sul conto corrente del socio di movimentazioni in entrata ed in uscita non giustificate. Ne deriva che una volta fatto proprio dei giudici di seconde cure l’intendimento dei primi giudici di riferire alla operatività societaria tutte le operazioni non giustificate, non sarebbe possibile considerare gli stessi importi quali redditi diversi non dichiarati dal contribuente “.

Testo:

Ricorrente/Appellante: Il rappresentante del contribuente si riporta l’istanza di riassunzione nel chiedere l’accoglimento.

Resistente/Appellato: Il rappresentante dell’ufficio si riporta la comparsa di costituzione, chiede il rigetto dell’istanza, l’accoglimento dell’appello incidentale e deposita giurisprudenza

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. A seguito del primo processo verbale di constatazione del 30/10/2007 della Guardia di Finanza si contestava, su segnalazione da parte del comando della polizia tributaria di Roma, dopo una verifica parziale eseguita nei confronti della società D., l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Si era rinvenuto, tra l’altro, in sede di accesso nei locali della D. un timbro a secco dell’ufficio tecnico di finanza di Roma, risultato abilmente contraffatto. Risultava, dunque, che “la P. ha effettuato acquisti di prodotti petroliferi dalla D. s.r.l., tutti annotati nelle scritture contabili e confluiti nella dichiarazione fiscale del medesimo anno di imposta, per complessivi litri 2.520.000 con un controvalore in euro pari a 1.712.064,00”. A seguito del secondo processo verbale di constatazione del 16/10/2008, con riferimento agli anni dal 2001 al 2007, l’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della società, n. xxx, per l’anno 2002. Veniva emesso avviso di accertamento anche nei confronti del socio P.M., n. xxx, con allegato allo stesso l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società. In particolare, era stato scoperto un sistema di evasione fiscale e truffa posto in essere dalla P. s.r.l. così congegnato: venivano utilizzate autocisterne con sistemi di erogazione alterati, per effettuare consegne di prodotti petroliferi alla pubblica amministrazione in quantità inferiore rispetto a quelle pattuite. Il prodotto illecitamente sottratto veniva poi rivenduto in “nero” a clienti compiacenti che si trovavano nelle vicinanze, con la realizzazione di proventi non assoggettati ad imposizione fiscale. Tale condotta veniva dimostrata dal reperimento di documentazione extracontabile, oltre che da intercettazioni telefoniche e da rilevanti pagamenti in denaro contante. Inoltre, il reddito della società, maggiore di quello dichiarato, veniva ricostruito tramite indagini finanziarie effettuate sui conti correnti personali dei soggetti direttamente o indirettamente collegati alla società, tra cui M.P.. Quest’ultimo era amministratore di fatto della società. Sui conti correnti di M.P., per l’anno 2002, era risultato il transito di operazioni per complessivi euro 342.051,90, di cui euro 65.350,89 per prelevamenti ed euro 276.701,01 per versamenti.

2. In sostanza, la società P. 88 s.r.l. era nella titolarità di 3 soci: A., socia al 45%, G., socia 45% e F., socio per l’ulteriore quota. Dalle movimentazioni finanziarie, però, era emerso che notevoli importi di danaro si rinvenivano nei conti correnti di soggetti non soci, quali: F. (euro 523.525,43 per l’anno 2002), F. (per euro 221.297,00 nell’anno 2002) e M.P., amministratore di fatto della società (anch’egli non socio), come emergeva dalle intercettazioni telefoniche, con euro 342.051,90 sui conti correnti propri. 2.1. Per l’anno 2002, dunque, l’avviso di accertamento alla società recava un maggior reddito pari a euro 3.438.051,90. Con riguardo ai soci l’imputazione di pagamento veniva operata “depurando” il maggior imponibile societario della quota rappresentata dalle movimentazioni rinvenute sui conti correnti dei soggetti formalmente estranei alla società, attribuendo così ad essi il reddito calcolato in proporzione alla partecipazione al capitale sociale. Per i non soci, invece, l’utile societario veniva attribuito in misura pari alle movimentazioni individuate sui loro conto correnti, utilizzando l’ammontare delle movimentazioni finanziarie quale criterio di quantificazione e di imputazione dell’imponibile societario a ciascun riferibile. Nei confronti dei soci, allora, si utilizzava il sistema di imputazione delle società a ristretta base partecipativa. Pertanto, nel 2002, nei confronti di A., socia al 45%, la somma imputata era di euro 1.077.525,49; questo dato si rinveniva dal reddito imponibile societario pari ad euro 3.481.375,00, cui però dovevano essere sottratte le movimentazioni finanziarie relative ai n. 3 non soci: F. per euro 523.525,43; F. per euro 221.296,56 e M.P. per euro 342.051,00. Pertanto, si otteneva la somma di euro 2.394.027,58, il cui 45% era di euro 1.077.525,49. Nei confronti di G., socia al 45%, si imputava la somma di euro 1.077.525,49, sempre previa decurtazione delle movimentazioni relative ai non soci. Allo stesso modo, nei confronti di F., socio, gli utili imputabili erano di euro 244.391,00, calcolati con i medesimi criteri (partecipazione al capitale sociale + movimentazione bancaria). L’ammontare complessivo era di euro 244.391,00. Con riferimento invece ai non soci, a F. venivano imputati maggiori redditi pari ad euro 523.525,43. A P.M., non socio (ma amministratore di fatto), venivano imputati redditi pari ad euro 342.051,90; a F., non socio, venivano imputati redditi pari ad euro 221.297,00. Venivano, poi, emessi ulteriori avvisi di accertamento nei confronti dei medesimi soggetti per l’anno 2004: A.: avviso di accertamento numero xxx; F., avviso di accertamento numero xxx; G., avviso di accertamento numero xxx; P.M., avviso di accertamento numero xxx; F., avviso di accertamento numero xxx.

3. Proponeva ricorso M.P. evidenziando: 1) nullità per carenza di motivazione dell’avviso di accertamento. Legittima provenienza delle somme confluite sui conti correnti del ricorrente nel periodo d’imposta considerato; doppia imposizione, sia sul reddito della società che sul reddito “diverso” del non socio ex art. 67 d.p.r. n. 917 del 1986; 2) vizi dell’avviso di accertamento alla società: insussistenza della contestazione inerente l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti; 3) vizi dell’avviso di accertamento alla società: motivazione contraddittoria perciò solo apparente, o comunque infondatezza dell’avviso di accertamento, nonché illegittimità nell’utilizzo della presunzione legale relativa alle indagini finanziarie; 4) erronea determinazione dell’imposta dovuta. Pertanto, il ricorrente chiedeva, in via preliminare, l’accoglimento del ricorso con annullamento dell’atto per carenza di motivazione. In via principale, l’accoglimento del ricorso con annullamento dell’atto, non essendo fondate le motivazioni alla base delle contestazioni. In via subordinata la riduzione della pretesa ai soli versamenti effettuati sui conti correnti personali del ricorrente nel periodo considerato.

4. Si costituiva in giudizio l’ufficio chiedendo la riunione con i procedimenti scaturiti da ricorsi presentati, per l’anno di imposta 2004, da A., F., G., M.P. e F.

5. Con ordinanza del 17/1/2011 la CTP dell’Aquila disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società P. nel giudizio promosso da M.P. La società P. interveniva nella causa facendo valere i vizi del proprio avviso di accertamento n. xxx, relativo all’anno 2002. In particolare, la società deduceva l’insussistenza della contestazione inerente all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, oltre alla motivazione contraddittoria, e perciò solo apparente, dell’avviso di accertamento.

6. L’Ufficio deduceva che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della P. per l’anno 2002 era ormai definitivo, non essendo stato impugnato nei termini.

7. Veniva conferito incarico peritale al CTU Dott. I..

8. La CTP, con la sentenza depositata il 30/09/2013, accoglieva in parte il ricorso di M.P., ritenendo condivisibili le risultanze della CTU, con conseguente rideterminazione in diminuzione delle imposte dovute la ricorrente. In particolare, nella sentenza del 30/9/2013 si leggeva che “il ricorso può essere accolto in parte. Infatti, nel caso in oggetto, essendo il ricorrente, dall’esame della documentazione prodotta ritenuto formalmente non socio, si ritiene di dover decidere in modo autonomo dalla società coinvolta […] l’Ufficio ritiene che i movimenti bancari sui conti correnti dei soci derivano dalle operazioni della società, per cui se queste non sono giustificabili in quanto relative ad operazioni inesistenti o di illecita provenienza, calcola i maggiori ricavi per l’anno 2002, pari alla somma dei versamenti e dei prelevamenti effettuati sui conti correnti intestati a soggetti direttamente o indirettamente collegate la società. Per quanto riguarda le risultanze della perizia del dott. I. esse sono da ritenersi condivisibili sia nel metodo che nei risultati […] In base alle risultanze di tale perizia, l’ufficio rideterminerà in diminuzione, alla parte appellante le imposte di competenza dovute coi relativi accessori “.

9. Avverso tale sentenza proponeva appello principale M.P. deducendo: 1) erroneità della sentenza impugnata. Nullità per carenza di motivazione dell’avviso di accertamento. Legittima provenienza delle somme confluite sui conti correnti dell’appellante nel periodo di imposta considerato. Divieto di doppia imposizione; 2) vizi dell’avviso di accertamento alla società: insussistenza della contestazione inerente all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti; 3) vizi dell’avviso di accertamento della società: motivazione contraddittoria e perciò solo apparente, o comunque infondatezza dell’avviso di accertamento nonché illegittimità nell’utilizzo della presunzione legale relativa alle indagini finanziarie; 4) erronea determinazione dell’imponibile contestato.

10. Proponeva appello incidentale l’Agenzia delle entrate. L’Agenzia evidenziava le contraddittorietà rinvenibili nella sentenza della CTU, sia con riferimento all’ordine di integrazione del contraddittorio, in assenza dei presupposti del litisconsorzio necessario, ed in presenza di definitività dell’accertamento societario, che con riguardo all’intervenuta rettifica delle maggior imponibile societario ormai intangibile per omessa impugnazione termini. Censurava, inoltre, la acritica ricezione dell’operato peritale da parte del collegio. Insisteva per la conferma dell’accertamento.

11. La Ctr rigettava entrambi gli appelli, seppur con una motivazione giudicata, poi, dalla Corte di cassazione, difficilmente intellegibile. In particolare, “il motivo afferente in apparenza alla non esaustività generale della perizia viene rigettato, posto che le premesse in diritto vengono confermate, mentre nel merito il metodo appare idoneo all’attribuzione dei movimenti bancari ai soggetti titolari dei conti o alla società. Il motivo dell’omessa pronuncia dei primi giudici sulle operazioni definite non giustificate, ma che necessiterebbero di ulteriore valutazione discrezionale del giudice per essere riferite alla operatività societaria o altrimenti, viene rigettato, posto che dalla lettura della sentenza si desume che l’intendimento dei primi giudici è riferire alla operatività societaria tutte le operazioni non giustificate. Tale procedimento è conforme ai principi di spettanza della prova previsti dall’art. 32 del d.P.R. 600/73. Il motivo in merito all’impossibilità dell’impugnazione del medesimo maggior reddito contemporaneamente in capo ai non soci e alla società si rigetta, in quanto è evidente che si è in presenza di distribuzione del medesimo reddito prodotto dalla società […] Nel caso di spese i soggetti non soci sono stati di fatto accertati quali destinatari di parte degli utili della società. Inoltre la sentenza della cassazione (27/6/2011, n. 14041) riafferma pure la liceità dell’accertamento sulla base dei movimenti bancari non giustificati anche per le persone fisiche (in quel caso dei professionisti). Il motivo di appello che contesta l’impossibilità di presumere la distribuzione del reddito in quanto non giudizialmente definito viene rigettato, posto che il procedimento di definizione del reddito è legittimo ed efficace anche nel merito. La contestata violazione del principio di doppia imposizione è rigettata, posto che, nel caso di società a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire prova del fatto che i maggiori redditi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, non risultando peraltro, al fine della prova contraria né la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili, né il definitivo accertamento di una perdita contabile. Nel caso di specie perché la presunzione posso operare occorre che la ristretta base sociale e/ o familiare abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio e che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ricavi contabilizzati […] La qualifica dei redditi è ininfluente ai fini della misura dell’imposta. I primi giudici hanno accolto in parte il ricorso avverso l’avviso di accertamento di cui si conservano la motivazione, della quale è parte sostanziale la molteplicità delle irregolarità e degli illeciti contestati, che appaiono continui nell’arco temporale dell’accertamento, sin dall’anno 2001 e che consentono la costituzione di presupposizioni gravi, precise e concordanti in merito all’inesaustività ed all’inesattezza della contabilità; del metodo dell’accertamento si conferma però quella sola parte che consiste nella ricostruzione del reddito della società sulla base delle movimentazioni bancarie non giustificate. Per tali ragioni si rigettano tanto i motivi di appello inerenti all’infondatezza e contraddittorietà delle prove e del procedimento di ricostruzione del reddito, come pure le eccezioni che contestano la parziale ricostruzione del reddito sulla base dell’estensione presuntiva delle cessioni in frode ad altro cliente e ad altre annualità, che non è presente nell’accertamento come riformato dalla CTP, basato sulle sole movimentazioni bancarie non giustificate…. Come affermato dall’ufficio, le consistenze riscontrate sui depositi dei signori P. Massimo, come pure altri soggetti, hanno valenza indiziaria per la sostanziale incongruenza con i redditi dichiarati, si rigetta perciò la contestazione del contribuente che evidentemente ha il fine di negarne la valenza. Si rigetta il motivo d’appello sull’inerenza dei movimenti bancari accertati. Come detto, il d.P.R. 633 del 1972, art. 51, ed il d.P.R. 600 del 1973, art. 32, autorizzano l’ufficio a procedere all’accertamento anche attraverso indagini sui conti correnti bancari formalmente intestate a terzi, quando sussista ragione di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti […] Rigettata è pure l’eccezione in merito all’inapplicabilità dell’Iva sui prelievi, posto che il meccanismo accertativo applicato presuppone che i prelievi siano assimilati ai costi in quanto produttivi di ulteriore reddito occultato. Si rigettano i motivi di merito, giacché, dal confronto con quanto esposto nella perizia del CTU non appare che il contribuente apporti elementi di prova sufficiente a modificare quanto statuito in materia di determinazione del reddito dei primi giudici […] La commissione rileva la contraddizione contenuta nell’avviso di accertamento laddove alcuni soci sono ritenuti soci di fatto della società mentre in sede di determinazione del reddito personale assumono veste di soggetti terzi come quella degli altri familiari interessati, ritiene che non possono trovare accoglimento le tesi delle parti appellanti…. Va innanzitutto richiamata la circostanza che tali soggetti assumono ai fini fiscali, la veste di persone fisiche, non essendo contestata loro la qualifica di soci di fatto. Nei confronti delle persone fisiche la commissione ritiene che possa trovare applicazione il disposto di cui all’art. 32 d.P.R. 600 del 1973, per quanto concerne i prelevamenti e pertanto la presunzione in questione può operare solo limitatamente ai versamenti. In ordine a questi ultimi la commissione ritiene legittimo l’assoggettamento ad imposizione fiscale e la qualificazione degli stessi quali redditi diversi. Non sussiste la dedotta duplicazione di imposta stante la natura di reddito personale attribuibile alla persona fisica delle somme transitate sui conti privati e come tali soggetti ad autonome imposizioni fiscale. Per l’effetto l’imputabile a soggetti terzi va determinato come segue: escludendo i prelevamenti e considerando i soli versamenti giustificati, il reddito imputabile ai ricorrenti è pari alle operazioni ritenute giustificate dal CTU e limitatamente ai soli versamenti. Ne consegue che per la determinazione del reddito imponibile nei confronti del signor M.P., non socio, si fa riferimento alla somma indicata nella perizia. Si rigetta la censura sollevata dall’ufficio circa l’inammissibilità dell’appello poiché né la P. srl , nè i soci hanno titolo per contrastare in questa sede l’avviso di accertamento societario per mancata opposizione.

12. La Ctr si limitava a correggere il solo errore materiale formale, affermando che il termine F., socio della società, va corretto con la seguente dicitura M.P..

13. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’ufficio deducendo: 1) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973. Nella motivazione della sentenza della Ctr si è evidenziato che il reddito imputabile soggetti terzi va determinato come segue: escludendo i prelevamenti e considerando i soli versamenti giustificati, e il reddito imputabile al ricorrente è pari alle operazioni ritenute giustificate dal CTU relativamente soli versamenti. Pertanto, quanto al M.P., non socio, si fa riferimento alla somma indicata nella perizia. Per l’amministrazione, invece, il maggior reddito imputabile a M.P. doveva essere individuato considerando tutte le movimentazioni finanziarie, quindi sia i prelevamenti sia i versamenti, non giustificati. Tale motivo restava assorbito con la decisione della Corte di cassazione. Con il secondo motivo di impugnazione principale l’Agenzia deduceva “la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Per l’Agenzia la Ctr, nel condividere le argomentazioni del CTU, che aveva ritenuto giustificato il versamento di euro 146.379,89 eseguito da M.P. sul conto corrente n. xxx acceso presso la Banca xxx , aveva male applicato l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973. Tale norma, infatti, prevedeva che era onere del contribuente, a carico del quale si determinava un’inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non fossero riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’amministrazione era soddisfatto per legge attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti. A parere del CTU e della Ctr, invece, l’ufficio avrebbe dovuto produrre adeguata documentazione a sostegno dell’effettiva operazione bancaria. Tale motivo restava assorbito nella sentenza della Corte di cassazione. Con il 3º motivo la ricorrente denunciava la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.”. I giudici di merito non si erano limitati ad un sindacato incidentale sul maggior imponibile societario, ma avevano violato la regola posta dall’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992. Avevano ritenuto sussistere l’ipotesi del litisconsorzio necessario e disposto l’integrazione del contraddittorio, mediante la chiamata in causa della società, in un’ipotesi in cui tale esigenza non sussisteva. In tal modo la Ctr, decurtando il maggior imponibile delle giustificazioni accolte nell’elaborato peritale, aveva dato ingresso alle doglianze introdotte in giudizio con l’intervento della società, consentendo a quest’ultima di aggirare il termine dell’impugnativa. Tra l’altro la stessa Ctr aveva escluso l’applicabilità del litisconsorzio. Questo motivo veniva accolto nell’ordinanza della Corte di cassazione. Con il 4º motivo la ricorrente deduceva “la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del Tuir e dell’art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Il giudice di seconde cure aveva errato nel ritenere illegittimo il recupero dei costi e dell’Iva detratta contenuti nell’avviso accertamento notificato alla società. Il collegio, richiamando l’art. 8 del d.lgs. n. 16 del 2012, ha evidenziato che tale legge ha limitato l’indeducibilità ai soli costi direttamente utilizzati per il compimento di attività illecite. In realtà, però, da una parte i giudici erano intervenuti sul recupero dei costi, così come quantificato nell’avviso di accertamento diretto alla società, dall’altro avevano confermato la cristallizzazione degli effetti del medesimo avviso di accertamento. Il recupero dei costi e l’indetraibilità dell’Iva, però, non emergeva in base all’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537 del 1993. Ciò emergeva invece dagli elementi indiziari forniti dall’amministratore finanziaria, sia con il PVC della Guardia di Finanza e poi con l’avviso accertamento a carico della società P., essendo stata fornita la prova che le fatture emesse dalla società D. di Roma ed è utilizzata dalla P., nella determinazione del reddito di impresa dell’Iva dovuta, si riferivano ad operazioni mai eseguite quindi oggettivamente inesistenti. Questo motivo veniva accolto nell’ordinanza della Corte di cassazione.

14. Proponeva ricorso incidentale il contribuente denunciando “la nullità della sentenza impugnata, ex articoli 36, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,132 c.p.c. e 118 disposizione di attuazione c.p.c. per contraddittorietà ed indecifrabilità assoluta della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.”.. In particolare, le “eccezioni da lui mosse in sede di appello sono infatti valutate nell’erronea convinzione che quest’ultimo sia socio della P. s.r.l., invece che soggetto terzo e del tutto estraneo alla compagine societaria “. Questo motivo sarà accolto con l’ordinanza della Corte di cassazione.

15. Con il secondo motivo di ricorso incidentale il P. denunziata “la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 167 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Tuir, sul divieto di doppia imposizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Per il contribuente le movimentazioni non giustificate individuate sul conto proprio dovevano essere imputate solo ed esclusivamente alla società. Ove, invece, le stesse venissero imputate sia al contribuente, a titolo di redditi diversi, che alla società, a titolo di maggiori ricavi, si finirebbe inevitabilmente nel violare il divieto di doppia imposizione, in quanto si tasserebbe due volte la medesima fonte di reddito. Questo motivo restava assorbito nell’ordinanza della Corte di cassazione.

16. Con il 3º motivo di ricorso incidentale il contribuente deduceva “la nullità della sentenza per insanabile contrasto da dispositivo motivazione (anche ai sensi degli articoli 112,156,437 c.p.c.), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.”. Nel dispositivo, infatti, la sentenza della Ctr affermava in modo netto che “la commissione tributaria regionale […] definitivamente pronunciando sugli appelli proposti da M.P. e l’Agenzia delle entrate dell’Aquila avverso la pronuncia n. 163 della CTP dell’Aquila […] assunta il 4/2/2013, ogni diversa istanza respinta, così provvede:1) rigetta gli appelli; 2) le spese sono compensate”. Invece, nella motivazione veniva accolta l’eccezione contenuta nel 4º motivo di appello del contribuente (illegittimità della qualificazione dei prelevamenti quali maggiori ricavi) affermando che “il reddito imputabile ai soggetti terzi va determinato come segue: escludendo i prelevamenti e considerando i soli versamenti giustificati, e il reddito imputabile al ricorrente è pari alle operazioni ritenute giustificate dal CTU relativamente ai soli versamenti. Ne consegue che per la determinazione del reddito imponibile nei confronti del signor M.P., non socio, si fa riferimento alla somma indicata nella perizia “. Tale motivo veniva accolto con l’ordinanza della Corte di cassazione.

17. Pertanto, la Corte di cassazione con la ordinanza n. 29112 del 19/10/2023 accoglieva il 3º ed il 4º motivo di ricorso principale, assorbiti il primo del 2º. Accoglieva anche il primo ed il 3º motivo del ricorso incidentale, assorbito il 2º. Con riferimento ai motivi 3º e 4º di ricorso principale dell’Agenzia delle entrate, la Corte di cassazione evidenziava l’erronea integrazione del contraddittorio da parte della Ctr nei confronti della società. Trattandosi, infatti, del definitivo accertamento di un maggior reddito in capo alla società, esso rende non più contestabile quest’ultimo da parte del socio, nelle società a ristretta partecipazione; sicché il socio che subisca la rettifica del proprio reddito, ha unicamente la possibilità di dimostrare che tale maggior reddito sia stato accantonato e/o reinvestito dell’ente. Pertanto, per la Corte di cassazione “deve revocarsi l’ordinanza del 28 gennaio 2022, dovendosi ritenere non necessaria la partecipazione della società P. S.r.l. al presente giudizio e, di conseguenza, immodificabile e definitivo accertamento emesso nei confronti della stessa da sia in relazione alle imposte dirette, sia in relazione all’Iva”. La Corte di cassazione, con ordinanza n. 29112 delle 19/10/2023, accoglieva anche il primo ed il 3º motivo di ricorso incidentale. Rilevava la Corte di cassazione che non si comprendeva se il giudice d’appello avesse ritenuto applicabile la presunzione di ripartizione degli utili al contribuente, in quanto socio di fatto di una società a ristretta base, oppure se avesse ritenuto corretta la determinazione del reddito tassabile sulla base degli accertamenti bancari, in considerazione del fatto che il contribuente non fosse socio della società, ma solo sull’amministratore di fatto. Neppure si comprendeva se l’appello fosse stato interamente rigettato (come affermato in dispositivo) o, invece, se fosse stato parzialmente accolto, “con la riduzione delle operazioni imponibili ai soli versamenti, come sembrerebbe dalla lettura della parte motiva, anche se non si rinviene alcuna spiegazione in ordine all’eventuale esclusione dei prelevamenti”. La Ctr, poi, aveva rigettato il motivo basato sulla violazione del principio di doppia imposizione. Non se ne comprendevano, però, le ragioni. In particolare, per la Ctr il P. e gli altri soggetti non rientranti nella compagine societaria, assumevano ai fini fiscali la veste di “persone fisiche”, non essendo stata contestata la qualifica di soci di fatto. Appariva, allora, ingiustificato il riferimento alla legittimità della presunzione circa l’attribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società quali utili extrabilancio. Pertanto, per la Corte di cassazione, in relazione alla pretesa violazione del divieto di doppia imposizione, “nel caso dell’attribuzione del reddito societario al socio (di fatto) sulla base della presunta distribuzione dello stesso si verterebbe in un caso di doppia imposizione economica, come tale ammessa dal nostro ordinamento in quanto, sebbene riferibile al medesimo reddito, basata pur sempre su 2 diversi presupposti (da un lato la realizzazione del reddito in capo alla società, dall’altro la distribuzione del dividendo in capo al socio)”. Aggiungeva, però, la Corte di cassazione che “diverso, invece, sarebbe il caso in cui si ritenesse, come unico presupposto della tassazione, la presenza sul conto corrente di M.P. di movimentazioni in entrata ed in uscita non giustificate. Ne deriva che una volta fatto proprio dei giudici di seconde cure l’intendimento dei primi giudici di riferire alla operatività societaria tutte le operazioni non giustificate, non sarebbe possibile considerare gli stessi importi quali redditi diversi non dichiarati dal contribuente”.

18. M.P. provvedeva alla riassunzione del giudizio. 19. Proponeva controdeduzioni l’Agenzia delle entrate. 20.all’udienza del 26 settembre 2024 la corte di giustizia tributaria di 2º grado dell’Aquila tratteneva la causa in decisione, provvedendo successivamente al deposito della motivazione

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Essendo intervenuta la cassazione con rinvio, con ordinanza n. 29112 del 19/10/2023 della Corte Suprema, in questa sede occorre pronunciarsi sull’appello principale proposto dal contribuente e sull’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate. 1.1. Con il primo motivo di appello principale il P. deduce “erroneità della sentenza impugnata. Nullità per carenza di motivazione dell’avviso di accertamento. Legittima provenienza delle somme confluite sui conti correnti dell’appellante nel periodo d’imposta considerato. Divieto di doppia imposizione”. Si chiariva, in particolare, che non vi era alcuna dimostrazione che il P. fosse amministratore di fatto della società, e che “anche qualora non si volesse ritenere nullo l’avviso della società e si ritenesse dimostrato il collegamento delle somme oggi contestati dall’appellante con l’attività sociale della P., le predette somme dovrebbero essere imputate solo ed esclusivamente alla società”.

2. Con il secondo motivo di appello principale il contribuente lamenta “vizi dell’avviso di accertamento la società: insussistenza della contestazione inerente l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti”.

3. Con il 3º motivo di appello principale il P. deduce “vizi dell’avviso di accertamento la società: motivazione contraddittoria e perciò solo apparente, o comunque infondatezza dell’avviso di accertamento nonché illegittimità nell’utilizzo della presunzione legale relativa alle indagini finanziarie”.

4. Con il 4º motivo di appello principale il P. lamenta “erronea determinazione dell’imponibile contestato “.

5. Con l’appello incidentale l’Agenzia delle entrate evidenzia la contraddittorietà rinvenibile nell’operato della CTP “sia nella misura in cui aveva disposto l’integrazione del contraddittorio ex art. 14 d.lgs. n. 546 del 1992, in assenza dei presupposti applicativi dell’istituto ed in presenza di definitività dell’accertamento societario, che con riguardo all’intervenuta rettifica, sia pure se incidentale e finalizzata alla disamina della posizione del socio, del maggior imponibile societario ormai intangibile per omessa impugnazione nei termini da parte dell’ente”, sia “la acritica ricezione dell’operato peritale da parte del collegio che le determinazioni assunte dal CTU rispetto agli esiti dell’indagine finanziaria, insistendo per la conferma dell’accertamento”. In particolare, l’agenzia delle entrate reputa non assolto l’obbligo di motivazione da parte del primo giudice, in quanto “il ritenere semplicisticamente corretta ed esente da errori e vizi la valutazione del CTU, senza una benché minima pronuncia sulle argomentazioni e sulle questioni sollevate dall’ufficio con le proprie memorie ed osservazioni”.

6. Si deve muovere dalla premessa che sulla definitività dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società si è ormai formato il giudicato interno, dopo la pronuncia della corte di cassazione. Inoltre, l’appello principale del contribuente è specifico, in quanto si confronta criticamente con la sentenza di prime cure. 6.1.Il primo motivo di appello principale del contribuente relativo alla nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, per assenza dei documenti, non allegati, è infondato. Invero, nell’avviso di accertamento emesso nei confronti del socio era allegato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, ove si spiegava con precisione, anche con la trascrizione di stralci del PVC della Guardia di Finanza del 16/10/2008, le ragioni della ripresa fiscale.

7. Il secondo ed il terzo motivo di appello principale, che vanno trattati insieme per strette ragioni di connessione, relativi alla motivazione contraddittoria degli avvisi di accertamento ed alla insussistenza delle contestazioni inerenti all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, sono anch’essi infondati. In particolare, dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza è emerso il sistema architettato dalla società P. per conseguire ricavi in nero. In sostanza, venivano utilizzate autocisterne con dispositivi di erogazione alterati, in modo da effettuare consegne nei confronti della pubblica amministrazione di quantità di petrolio inferiori rispetto a quelle pattuite. Ciò che non veniva consegnato risultava commercializzato in nero a clienti compiacenti consentendo in tal modo la realizzazione di proventi non assoggettati ad imposizione fiscale. Ciò emergeva dalle seguenti circostanze: documentazione extracontabile (quadernetti) reperita in sede di perquisizione nei locali della società; contenuto delle intercettazioni telefoniche, dalle quali emergevano il ruolo del personale dipendente della società e, soprattutto, la figura predominante di M.P., quale amministratore di fatto della P.; l’esame della documentazione bancaria inviata dagli istituti di credito; la percezione illegale di somme da parte dei componenti della famiglia P., di conseguenza “ricondotte in capo alla società quali ricavi non contabilizzati e non è dichiarati fini fiscali”; i dati risultati dalle indagini finanziarie non hanno trovato rispondenza nelle scritture contabili della P., né tantomeno nei “dati reddituali dei singoli componenti della famiglia”; assoluta sproporzione tra le disponibilità di denaro palesate dai soci della società attraverso i prelevamenti sui rispettivi conti correnti e il loro tenore di vita, con i dati reddituali dei medesimi desumibili dalla dichiarazione dei redditi riferite agli stessi, rappresentate negli appositi prospetti contenuti nel PVC; i conti correnti, intestati ai componenti della famiglia P., fra cui il contribuente M.P., erano accesi con il fine principale di farvi confluire proventi derivanti dalle vendite in nero di prodotto petrolifero sottratto in modo fraudolento ad enti pubblici, attraverso l’utilizzo di congegni elettronici manomessi; il rinvenimento in un’intercapedine in legno situate in un locale all’interno dell’autorimessa della società, di una busta contenente n. 7 scatole di plastica al cui interno erano nascosti telecomandi per l’attivazione dei congegni illeciti istallati sulle testate per alterare l’erogazione del prodotto; anche nell’unica testata S. 500, ove non erano state riscontrate anomalie, tuttavia dalla documentazione emergeva una divergenza rilevante, di circa il 30%, tra i litri della fattura e di quelli effettivamente erogati; in un’intercapedine all’interno di una scalinata in metallo che collegava il garage agli uffici all’interno della quale è stata rinvenuta documentazione extracontabile (timbro a secco delle dogane contraffatto; numerosi DAS non compilati; DAS ufficiali con timbro originale ma riportanti quantitativi inferiori di prodotto consegnato; 2 pen drivers e CD-ROM contenenti dati contabili; copiosa documentazione extracontabile; 2 quadernetti attestanti le consegne nero di prodotto petrolifero); le ingenti disponibilità patrimoniali e finanziarie della famiglia P. erano in netto contrasto con quanto desumibile dai dati reddituali denunciati al fisco; era prassi di M.P. richiedere a clienti compiacenti il pagamento delle forniture effettuate in nero, preferibilmente con denaro contante. In particolare, dai dati ricavati, emerge, per esempio, che M.P., negli anni 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007, ha dichiarato rispettivamente redditi per euro 4941,00, euro 4941,00, euro 11.055,00, euro 58.684,00, euro 43.401,00. Analoghe situazioni sono state rinvenute anche per gli altri componenti il nucleo familiare P. Si è dunque rilevato nel PVC del 2018 che “si può chiaramente intuire che i suddetti conti sono riconducibili a quelli di un’azienda commerciale in piena attività e non già a quelli intestati a persone fisiche che, espongono, peraltro, nelle dichiarazioni dei redditi presentate per ciascun anno di imposta sottoposta di indagine, importi esili”. Sempre nel PVC si legge che “assume particolare interesse la persona del M.P., a cui, di fatto, è riconducibile la gestione della società. Lo stesso, benché non ufficialmente investito di cariche societarie nella P. … Ricopre un ruolo di primaria importanza, rilevabile tra l’altro, dei rapporti con i vari istituti di credito con cui la società opera”. Si aggiunge nel PVC (pagina 11) che “le indagini complessivamente esperite, che hanno permesso di individuare elementi inconfondibili di gestione o cogestione della società da parte del M.P., sono confermate dalle intercettazioni telefoniche trascritte dal nucleo PT della Guardia di Finanza di Bari e dal fatto che lo stesso, per un periodo di tempo, risultava delegato ad operare sui conti correnti bancari della P.”. A pagina 13 del PVC del 2018 si chiariva ancora che “considerata la limitata capacità reddituale (contributiva) dei soggetti interessati, con particolare riferimento al M.P., tali disponibilità di denaro non possono che essere ricondotte ad attività illecite, concretizzatesi con la vendita in nero di prodotto petrolifero, ottenuto attraverso le frodi in danno degli enti pubblici, perpetrate nel corso degli anni da parte della famiglia P., attraverso la struttura aziendale della P.”. Risultava, dunque, che le movimentazioni bancarie sui conti correnti personali dei non soci erano riferibili direttamente alla società P.. Tra l’altro, è emerso sia dal PVC che dell’avviso di accertamento della società che ai finanziamenti effettuati dai soci e dai non soci in favore della P., derivava proprio dal denaro conseguito dalla P. attraverso il sistema di somministrazione di prodotti petroliferi con apparecchiature anomale ed alterate. Infatti, il conto “cassa”, veniva stavolta alimentato, a partire dal mese di settembre, dall’accensione di un conto di debito “soci c/finanziamento infruttifero (numero 34/005), nelle quale confluivano gli apporti dei soci, i quali, come detto, avevano limitatissime disponibilità economiche. Tanto che, A. aveva dichiarato redditi negli anni 1998-2002, rispettivamente per euro 5936,14, 5936,14, 5936,14, 5716,14, 5718,00. G. aveva dichiarato redditi pari a circa 20.000 € per ciascun anno. F. aveva dichiarato redditi per euro 3281,55 nel 1998, euro 1671,76 nel 1999, euro 1918,63 nel 2000. Addirittura, F., a fronte di redditi dichiarati prossimi allo zero ha movimentato, favore della società, somme di danaro significative senza mai comparire nella compagine sociale. La sentenza penale del tribunale di Avezzano di non doversi procedere per intervenuta prescrizione non modifica in alcun modo l’apparato istruttorio.

7.1. È pacifico, tra l’altro, che il reddito attribuito a M.P., quale amministratore della società P., e non quale socio di fatto, non deriva dalla traslazione dei redditi extracontabili della società in capo ai soci, trattandosi di società a ristretta partecipazione. Al contrario, risulta pacificamente che il reddito attribuito a M.P. sia derivato dalle indagini finanziarie effettuate sui propri conti correnti personali, sui quali erano riportate operazioni di prelevamento e di versamento, non tutte giustificate, in ragione della presunzione legale relativa di cui all’art. 32 del d.P. R. n. 600 del 1973. Risulta corretta, allora, la qualificazione del reddito in capo al P. quale “reddito diverso” ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 917 del 1986 ( all’epoca art. 81 del d.P.R. n. 917 del 1986).

8. La porzione del primo motivo di appello principale del contribuente, riguardante la doppia imposizione, è fondato. V’è stata, in realtà, doppia imposizione dei redditi. Come emerge dagli avvisi di accertamento emessi sia nei confronti della società, n. xxx, per l’anno 2002, sia nei confronti dell’amministratore di fatto M.P., n. xxx. In particolare, emerge che i redditi extracontabili accertati nei confronti della società P. a ristretta partecipazione, sono stati trasferiti, nella percentuale di proprietà di capitale appartenente a ciascuno dei soci, ai soci stessi. Tuttavia, nel computare gli importi dei redditi extracontabili nei confronti dei soci, sono state decurtate le somme relative alle movimentazioni finanziarie dei non soci. Pertanto, in relazione alla socia A., socio al 45%, dal reddito imponibile societario di euro 3.481.375,00, sono state detratte le quote imputabili soggetti non soci, di euro 342.051,00 relativi a M.P., di euro 523.525,43, relativi a F. e di euro 221.296,56 relativi a F.. Allo stesso modo, in relazione alla socia G., socio al 45%, dal reddito imponibile societario di euro 3.481.375,00 sono state detratte le somme suddette, relative alle movimentazioni finanziarie sui conti correnti dei non soci. Lo stesso è accaduto con F., il cui reddito è stato calcolato con i medesimi criteri (partecipazione al capitale sociale + movimentazioni bancarie proprie). A F. è stato attribuito il reddito per euro 523.525,43; a M.P. il reddito per euro 342.051,90 e a F. il reddito per euro 221.297,00. Gli ultimi 3 sono non soci della società.

9. Nell’avviso di accertamento, infatti, si legge che “i conti correnti intestati e riferibili a componenti della famiglia P. sono stati accesi al fine principale di farvi confluire i proventi derivanti dalle vendite in nero di prodotto petrolifero sottratto fraudolentemente “. Si è fatta applicazione, dunque, del principio giurisprudenziale di legittimità per cui l’utilizzabilità, ai fini fiscali, dei dati bancari, ai fini dell’accertamento del reddito della società di capitali, non è limitata ai soli conti formalmente intestate alla società, ma si estende anche i conti formalmente intestate a soci, amministratori o procuratori della stessa, ove risulti la sostanziale riferibilità all’ente dei conti o di singoli elementi di essi, trattandosi di elementi anche indiziari che possono far ritenere la riferibilità dei movimenti bancari all’impresa (Cass., n. 20118 del 2018; Cass., 29/9/2011, n. 19888; Cass., 21/4/2011, n. 9162; Cass., 15/7/2008, n. 19362). Devono, quindi, ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto l’art. 32 n. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973, come l’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, autorizzano l’ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestate a terzi, ma che sia motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (Cass., 16/6/2017, n. 15003; Cass., 4/8/2010, n. 18083; Cass 14/11/2003, n. 17243; Cass., 18/9/2003, n. 13819 ). Pertanto, in tema di accertamento dell’IVA, i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari rapporti contrattuali (nella specie, l’amministratore unico della società, il suo gestore di fatto e la figlia di quest’ultimo nonché socia) possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale (Cass., 1/10/2014, n. 20668; Cass., 7/9/2007, n. 18868).

10. Quanto alla qualifica di “redditi diversi” indicata dall’Agenzia delle entrate nell’avviso di accertamento, per la Corte di cassazione l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, ai sensi degli artt. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo, atteso che, ove non sia contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito da essa ricavato, incombendo al contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (Cass., sez 5, 28 febbraio 2017, n. 5135; per un caso in cui i redditi accertati con indagini bancarie sono stati attribuiti ad una lavoratrice dipendente vedi Cass., sez. 5, 13 ottobre 2011, n. 21132; Cass., sez. 5, 19 febbraio 2001, n. 2435, per cui per applicare l’art. 32 d.p.r 600/1972 non occorre la prova preventiva che il contribuente svolga attività di impresa; Cass., sez. 5, 23 aprile 2007, n. 9573, ove il contribuente era dipendente di una società di capitali).

10.1. Peraltro, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (Cass., sez. 5, 16 novembre 2018, n. 29572).

10.2.Inoltre, per la Corte di Cassazione, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., sez. 5, 29 luglio 2016, n. 15857).

10.3. V’è stata, allora, doppia imposizione nei confronti di M.P.. Pertanto, mentre nei confronti dei soci v’è stata la decurtazione dal reddito societario delle movimentazioni finanziarie rilevate nei conti correnti dei non soci, a questi ultimi è stato attribuito anche il maggior reddito, già tassato nei confronti della società. Va applicato, il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza numero 29112 del 2023. In particolare, si legge con riferimento alla doppia imposizione, che la stessa non vi sarebbe nel caso di attribuzione del reddito societario al socio (di fatto) sulla base della presunta distribuzione dello stesso, trattandosi di doppia imposizione economica, come tale ammessa dal nostro ordinamento in quanto, sebbene riferibile al medesimo reddito, basata pur sempre su 2 diversi presupposti (da un lato la realizzazione del reddito in capo alla società, dall’altro la distribuzione del dividendo in capo al socio). Al contrario, chiarisce la Corte che “diverso, invece, sarebbe il caso in cui si ritenesse, come unico presupposto della tassazione, la presenza sul conto corrente di M.P. di movimentazioni in entrata ed in uscita non giustificate. Ne deriva che una volta fatto proprio dei giudici di seconde cure l’intendimento dei primi giudici di riferire alla operatività societaria tutte le operazioni non giustificate, non sarebbe possibile considerare gli stessi importi quali redditi diversi non dichiarati dal contribuente“. Ed è proprio quest’ultima la fattispecie che si è verificata, sicché si è nell’ambito della doppia imposizione, con esclusione della tassazione nei confronti di M.P., in relazione ai redditi diversi calcolati in capo a lui, ma riferiti in realtà alla società, che è stata tassata integralmente su tutti gli importi rinvenuti. Del resto, la stessa Agenzia delle entrate, nelle controdeduzioni in sede di riassunzione, ha ammesso che “i conti correnti, intestati e riferibili ai componenti della famiglia P., sono stati accesi con il fine principale di farvi confluire i proventi derivanti dalle vendite in nero di prodotto petrolifero sottratto fraudolentemente ad enti pubblici […] Di conseguenza appare più che fondato ritenere che le movimentazioni bancarie personali dei soci siano riferibili direttamente alla P. Srl come più volte sancito anche dalla suprema corte che ha riconosciuto la piena legittimità dell’utilizzazione delle indagini condotte sui singoli soci e ha ritenuto imputabile alla società i risultati delle verifiche esperite sui conti correnti dei medesimi sulla base di presunzioni relative”.

11. Il 4º motivo di appello principale del contribuente è assorbito. Ad avviso del contribuente tutte le movimentazioni in entrata e in uscita sono giustificate. Quanto ai prelievi del conto corrente n. xxx si riferiscono a somme confluite a titolo di finanziamento sul conto corrente xxx intestato alla società e assume utilizzate le spese personali. I prelievi dal conto corrente xxx si riferiscono ad un giroconto che interessa del conto corrente xxx, per l’acquisto di schede carburante spese personali. Inoltre, andrebbero considerate solo le movimentazioni in entrata, quindi tenendo conto esclusivamente dei versamenti. Ovviamente soltanto dei versamenti non giustificati, indicati dalla CTU effettuata in primo grado.

11.1.In realtà, dagli atti di indagine emerge che M.P. ha conseguito redditi diversi, non riconducibili né all’impresa né alla professione. Pertanto, vanno valutati, ai fini della determinazione del reddito societario non i solo i versamenti, ma anche i prelevamenti. Ma, nella specie, come detto, c’è stata violazione del divieto di doppia imposizione.

12. Va rigettato l’appello incidentale della Agenzia delle entrate, sussistendo la doppia imposizione, alla stregua delle argomentazioni che precedono.

14. Tuttavia, come detto, v’è stata doppia imposizione, il che comporta l’accoglimento integrale dell’appello del contribuente.

14.1. L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 8630 del 16/2/2022, prodotta in udienza, ha ad oggetto la posizione processuale della socia A., deceduta, e non dei non soci. Solo per i soci vale la presunzione che i maggiori redditi della società, in quella a ristretta partecipazione, vanno a costituire il reddito dei soci, ferma restando la possibilità per costoro di dimostrare che sono stati accantonati.

15. Sussistono le ragioni della compensazione integrale tra le parti di tutte le spese di tutti i gradi di giudizio, in quanto la ripresa a tassazione dell’Agenzia delle entrate è stata determinata dalla condotta del contribuente. V’è stata sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ma non assoluzione nel merito. Inoltre, come sostenuto nell’appello dell’Agenzia, dalla CTP era stata disposta illegittimamente l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società, mentre l’avviso di accertamento della società è divenuto definitivo (come poi statuito dalla Corte di cassazione).

P.Q.M.

a seguito di giudizio di rinvio dalla Suprema Corte, accoglie l’appello del contribuente e respinge l’appello incidentale. Spese compensate per tutti i gradi di giudizio, compreso quello dinanzi alla Suprema Corte.