Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione n. 6, sentenza n. 668 depositata l’ 11 settembre 2023
Riscossione – Cessione d’azienda – Solidarietà tributaria – Per beneficiare della preventiva escussione del cessionario è necessario aver richiesto all’Agenzia delle entrate il certificato di regolarità fiscale – Sussiste – E’ comunque onere del cessionario regolamentare nel contratto eventuali debiti tributari
Testo:
La società D. SRL, con domicilio fiscale in omissis, impugna l’Intimazione di Pagamento n. 083 2019 xxx, per euro 49.687,00 notificata, a mezzo PEC, in data xx settembre 2019, nella qualità di responsabile in solido del debito erariale maturato dalla società G SRL, ai sensi dell’art 14, commi 1, 2 del D.Lgs. n. 472/1997 nei limiti del valore della cessione relativamente all’atto del 12/08/2015 ed a seguito dell’esito negativo della escussione del patrimonio della D. SRL. Con atto del 12 agosto 2015 del Notaio, registrato il omissis è stata realizzata cessione di ramo di azienda tra la G SRL (cedente) e la D. S.r.l (cessionaria). Le parti contraenti hanno convenuto accordato quale prezzo complessivo del ramo d’azienda € 50.000,00. La D srl è subentrata alla società G SRL P, per effetto della cessione di azienda del data 12/08/2015, cui veniva notificata la cartella di pagamento n. 0832018 xxx del 13/02/2018. La ricorrente evidenziava che le parti hanno dettagliatamente identificato i beni strumentali ed i crediti costituenti il ramo d’azienda oggetto di cessione ed era stata riportata la cifra d’affari generata nel 2014, pari a € 4.950 nonché specificato che il ramo d’azienda ceduto è dotato degli strumenti necessari per lo svolgimento, in via autonoma, dell’attività di costruzioni edili. Il contribuente eccepiva l’illegittimità dell’atto per violazione dell’obbligo della preventiva escussione del debitore principale – G SRL – e per violazione dell’obbligo dell’onere della prova ex art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in quanto dagli atti non emerge alcuna indicazione in ordine alla procedura di riscossione seguita dall’Agente della Riscossione. Evidenziava che l’Agente della Riscossione non aveva potere d’iniziativa in relazione all’individuazione del soggetto passivo ma doveva limitarsi a procedere nei confronti dei debitori risultanti dal ruolo, indicati nel relativo elenco. L’Agenzia delle entrate Riscossione eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per non aver l’interessata impugnato la citata cartella nei termini e nei modi di legge mentre con l’odierno gravame eccepire i vizi con riferimento all’avviso di intimazione. Evidenziava, in particolare, che per quest’ultimo provvedimento introduceva motivi di impugnazione inerenti al merito della pretesa, opponendolo strumentalmente, ma chiedendo, di fatto, l’annullamento della cartella originaria. Rilevava che i presupposti giuridici per la configurazione della responsabilità in capo al cessionario (valore dell’azienda ad esso trasferito, limiti temporali del pagamento delle imposte, sanzioni già irrogate o contestate) ritenuti sussistenti nel caso di specie in quanto il valore dell’azienda certificato dall’Agenzia delle Entrate di Pescara è pari ad € 50.000 e l’iscrizione a ruolo ha come anno di riferimento il 2014 ovvero l’anno precedente alla cessione del ramo d’azienda. Infine, riteneva che nel caso in esame non fosse necessario esperire la preventiva infruttuosa escussione del debitore principale in ipotesi di cessione totale di azienda, cancellazione del cedente dal Registro delle Imprese e fallimento. Quest’ultima ipotesi si è verificata nel presente caso, atteso che la ditta cedente è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Pescara (fallimento n. xx/2019) in data xx/06/2019. La CTP rigettava il ricorso ritenendolo infondato con condanna alle spese del ricorrente. affermando che “deve escludersi la nullità della cartella per il sol fatto che l’emissione della stessa e l’iscrizione a ruolo non siano stati preceduti dalla preventiva escussione del cedente del ramo di azienda”. Inoltre ha ritenuto inutile la dimostrazione dell’escussione da parte dell’Agente di riscossione in quanto la società cedente è stata dichiarata fallita in data antecedente alla notifica dell’intimazione di pagamento in virtù di quanto previsto dalla sentenza della Cassazione n. 3394 del 1983. Con riguardo alla corretta applicazione dell’art. 14 del D. Lgs 472/97 ha affermato che la disposizione deroga a quanto previsto dall’art. 2560 c.c. in quanto tende ad evitare che la cessione faccia disperdere la garanzia patrimoniale del contribuente in relazione all’interesse pubblico, per le imposte e le sanzioni già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore, sempre che risultino dagli atti dell’Ufficio (Cass. Civ. 14759 2021). Quindi per la Commissione, trattandosi di debito sorto nel 2014, non è possibile escludere che essi siano riferiti anche al ramo d’azienda ceduto, pur se inoperoso. Ne discenderebbe che, per effetto della cessione del ramo d’azienda, il cessionario debba corrispondere quanto dovuto all’Erario per le violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione. Il contribuente proponeva appello, in relazione al capo del beneficio della preventiva escussione, previsto in favore del cessionario. Il comma 1 dell’art. 14 D. Lgs 472/97 sancisce che “Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente “. E per l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’obbligo della preventiva escussione del debitore principale G SRL e per violazione dell’obbligo dell’onere della prova ex art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in quanto dagli atti non emerge alcuna concreta indicazione in ordine alla procedura di riscossione seguita dall’Agente della Riscossione; il concessionario, che non aveva titolo per procedere alla riscossione coattiva nei confronti di un soggetto non iscritto nei ruoli.; rilevava che il ricorso presentato dall’appellante era finalizzato all’annullamento dell’intimazione di pagamento n. 0832019 xxx notificata all’appellante in qualità di responsabile in solido e non della cartella di pagamento emessa nei confronti della cedente G SRL I debiti della ricorrente sono maturati con riferimento al periodo d’imposta 2014, risulta impossibile operare una distinzione tra ricavi conseguiti dalle due attivi, Il debito, infatti, è relativo all’IRES e quindi alla tassazione del reddito conseguito nel 2014 ma emerso dopo la cessione del ramo d’azienda ed iscritto a ruolo nel 2018. Si tratterebbe quindi di un debito tributario non presente agli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza, alla data del trasferimento. Era onere dell’Agenzia delle Entrate provare che la cedente, alla data di stipula del rogito di trasferimento d’azienda, il 12 agosto 2015, avesse già presentato la dichiarazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Questo Collegio ritiene di dover respingere l’appello e confermare la sentenza gravata. In fatto si rileva che l’impugnazione ha riguardato l’intimazione di pagamento notificata il 16.9.19 alla D srl , nella qualità di responsabile in solido, del debito maturato dalla G srl, nei limiti del valore della cessione del 12.8.15 e dell’esito di escussione negativo del patrimonio della cedente D srl. L’appellante si duole che: – sia stata violato il comma 1 dell’art. 14 D. Lgs 472/97 sancisce che “Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente “.; – il concessionario, non aveva titolo per procedere alla riscossione coattiva nei confronti di un soggetto non iscritto nei ruoli. Innanzitutto, va osservato che nella fattispecie in discussione va ravvisata l’esistenza della solidarietà tra cedente e cessionario, anche se l’intimazione ha attinto correttamente uno solo dei condebitori, con i noti effetti conseguenziali di tipo conservativo per impedire decadenze.
La cartella notificata il 13.2.18 mentre l’intimazione è del 16.9.19, ma nelle more il cedente, dopo un periodo di concordato preventivo, è stato dichiarato fallito in data 14.6.2019.
Il Giudice di prime cure ha correttamente rilevato che il cessionario non ha richiesto all’Amministrazione finanziaria la certificazione avente per oggetto eventuali contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti tributari non sono stati soddisfatti relativamente ai periodi d’imposta 2015 (anno di cessione) e ai due precedenti prima della conclusione del negozio traslativo, tenendo conto che il debito in contestazione è riferibile al periodo d’imposta 2014. D’altra parte, il cessionario nell’agosto 2015 ben avrebbe potuto chiedere al cedente notizie circa l’esistenza di eventuali debiti tributari, disciplinandone la regolamentazione nell’atto e, nel contempo, chiedere all’Amministrazione finanziaria la certificazione circa la regolarità fiscale del soggetto. La certificazione negativa dell’Amministrazione finanziaria avrebbe avuto pieno effetto liberatorio del cessionario e posto al riparo da ogni eventuale azione di recupero da parte del Concessionario per la solidarietà tributaria prevista dalla legge tra cedente e cessionario. In relazione alla eccepita violazione del beneficium excussionis va osservato che la cedente era dapprima in concordato preventivo e successivamente cancellata dal registro delle imprese e dichiarata fallita il 14.6.2019.
Infatti, l’Ente di Riscossione ha correttamente operato rilevando che non era possibile effettuare attività esecutiva nei confronti della società fallita, poiché, come previsto dall’art 51 L.F, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento. La peculiarità della vicenda evidenzia che il presupposto della preventiva escussione risultava superato dalla declaratoria fallimentare del cedente nei confronti del quale non potevano essere azionate attività giudiziarie di esecuzione. D’altra parte, in tali emergenze fattuali, secondo la corretta disciplina giuridica del contratto ripassato tra le parti e non correttamente adempiuto dal cedente per il debito tributario nascosto, il cessionario ben potrebbe inserirsi in sede fallimentare di quanto eventualmente pagato per conto del cedente medesimo. Infine, l’intimazione risulta legittima anche sotto il profilo dell’entità della pretesa erariale pari ad € 49.687,00, considerando che il valore di cessione del ramo di azienda è stato di € 50.000. Pertanto, sussistendo tutti i requisiti della legittima intimazione emessa dal Concessionario, la sentenza va confermata e l’appello va respinto perché infondato. Le spese di entrambi i gradi di giudizio possono essere compensate, in relazione alla peculiarità del caso, sulle oggettive difficoltà di conoscenza, alla data dell’atto pubblico, della situazione debitoria tributaria ed ai contrasti giurisprudenziali circa la necessità per il cessionario di fornirsi della certificazione idonea per porsi al riparo da ogni eventuale azione di recupero per la solidarietà tributaria prevista dalla legge tra cedente e cessionario.
P.Q.M.
Respinge l’appello. Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio
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