Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, sezione 3, sentenza n. 1233 depositata l’ 11 novembre 2022

Istanza di trattazione in periodo pandemico pervenuta oltre il termine semestrale – proroga dei termini. Cancellazione dal registro delle imprese della società in costanza di giudizio – fenomeno successorio.

Massima:

È tempestiva l’istanza di trattazione pervenuta oltre il termine di sei mesi, in quanto i termini per la proposizione degli atti giudiziari risultano prorogati (in costanza di periodo pandemico del 2020) ai sensi dell’art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 e s.m.i. Nel processo tributario l’estinzione della società (di persone o di capitali) conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti “pendente societate”. Ne discende che i soci subentrano ex art. 110 c.p.c. nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovvero a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale.

Testo:

La società F S.p.A. in liquidazione, con sede a Fabriano, ha impugnato con atto depositato in segreteria il 24 gennaio 2013 la sentenza n. 318/02/12 del 24 luglio 2012 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Ancona, con la quale è stato respinto il ricorso presentato dalla società stessa avverso avviso di accertamento per l’anno 2006 concernente recupero a tassazione ai fini Iva di una serie di proventi relativi a operazioni di factoring, in cui i rapporti erano ritenuti essere rivolti essenzialmente o prevalentemente alla gestione dei crediti e non ad una causa finanziaria che ne avrebbe giustificato l’esenzione.
La sentenza di primo grado ha stabilito che la società contribuente non ha addotto spiegazioni idonee a contrastare la contestazione dell’ufficio, basata sull’assenza di una causa finanziaria delle operazioni nel PVC, in modo tale da dover escludere l’esenzione ai fini Iva.
La società appellante ha svolto i seguenti motivi di impugnazione: 1) sulla metodologia utilizzata dai militari verbalizzanti – violazione dell’onere della prova;
 
2) sul merito della contestazione:
 
2.1 ricognizione delle posizioni interpretative in materia di factoring;
 
2.2 svolgimento di attività finanziaria da parte della F;
 
2.3 assenza di attività gestoria da parte della F;
 
2.4 sulla natura della commissione come onere finanziario;
 
2.5 l’anticipo alla scadenza del credito: natura finanziaria; 3) documentazione attestante la sussistenza di un’anticipazione finanziaria da parte della F:
 
3.1 istanza istruttoria per nomina consulente; 4) domande subordinate: 4.1 disapplicazione delle sanzioni; 4.2 ricalcolo della pro-rata; ed ha concluso: in via principale: perché le assunzioni su cui si fonda risultano non provate in alcun modo, non essendo conforme a diritto la metodologia seguita dai verificatori per la selezione delle operazioni da contestare, e comunque per la violazione da parte dell’ufficio dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., accertare l’illegittimità dell’accertamento impugnato perché infondato in punto di fatto e in punto di diritto, essendo comunque stato provato che non vi è mai stata attività di gestione (recupero) dei crediti; in via subordinata: dichiarare non dovute le sanzioni per obiettiva incertezza della norma; dichiarare dovuto solo il minor importo di Iva che derivi dal ricalcolo pro-rata di indetraibilità, alla luce degli eventuali maggiori onere determinati; con vittoria di spese.
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Ancona, si è costituita in giudizio il 4 marzo 2013, contrastando le pretese avversarie e chiedendo il rigetto dell’appello. La difesa della società contribuente, con istanza depositata il 9 ottobre 2019, dopo aver precisato che in data 9 settembre 2014 la società è stata cancellata dal registro delle imprese, ha chiesto l’interruzione del giudizio per il venir meno della capacità di stare in giudizio della parte. All’udienza del 30 ottobre 2019, il giudizio è stato interrotto mediante ordinanza n. 818/2019 depositata il 12 novembre 2019, a norma degli artt. 40, comma 1, lett a), e 41, comma 1, del d. lgs. n. 546/1992, per incapacità della società contribuente a stare in giudizio, con espresso avviso che, ai fini della ripresa del processo, è onere delle parti presentare – entro sei mesi dalla data di notifica del presente provvedimento – istanza di trattazione alla Commissione Tributaria Regionale per le Marche, come prescritto dall’art. 43, comma 2, del medesimo d. lgs.
L’Agenzia delle entrate ha presentato istanza di trattazione al Presidente della Commissione Tributaria Regionale per le Marche mediante nota datata 22 giugno 2020 e pervenuta in segreteria il 3 luglio 2020. Con mail pervenuta in segreteria il 5 novembre 2021, la difesa della F srl ha riferito che l’incarico è cessato a seguito dell’avvenuta estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese. Chiamato all’udienza del 16 novembre 2021, il giudizio è stato rinviato per dar corso ad ulteriore comunicazione degli avvisi di udienza alle controparti.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
 
In via pregiudiziale va trattata la questione attinente la tempestività dell’istanza di trattazione, pervenuta in segreteria il 3 luglio 2020, rispetto al deposito dell’ordinanza n. 818/2019 avvenuto in data 12 novembre 2019, e quindi oltre il termine di sei mesi; al riguardo va rilevato che i termini per la proposizione degli atti giudiziari sono stati prorogati per effetto dell’evento pandemico del 2020, ai sensi dell’art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 e s.m.i.; l’istanza di trattazione è dunque da considerare tempestiva.
In via preliminare va esaminata la situazione che si è venuta a creare a seguito della cancellazione dal registro delle imprese della società appellante, che ha dato luogo, come specificato in narrativa, all’interruzione del processo. L’indirizzo del Giudice di legittimità sullo specifico punto è esplicito nell’indicare che nel processo tributario l’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti “pendente societate”; ne discende che i soci peculiari successori della società subentrano ex art. 110 c.p.c. nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovvero a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, dovendo invece escludersi la legittimazione “ad causam” del liquidatore della società estinta (Cass. 16362/2020, 13386/2019).
 
A norma del terzo comma dell’art. 2495 c.c., dopo la cancellazione e ferma restando l’estinzione della società, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. Accogliendo e facendo proprio tale indirizzo, dal quale questo Collegio non ha motivo di discostarsi, la prosecuzione del giudizio può quindi avvenire. Va aggiunto che anche l’asserita mancanza di incarico da parte della difesa della società appellante non può avere alcun effetto sul presente giudizio, in quanto la notizia dell’evento interruttivo (cancellazione dal registro delle imprese) proveniva dalla difesa stessa, alla quale è stata inviata tramite pec l’ordinanza di interruzione, che è quindi nota alla stessa, come emerge dal contenuto della successiva mail pervenuta in segreteria il 5 novembre 2021. Sulla base della regola dell’ultrattività del mandato alle liti, il processo prosegue pertanto nei confronti del socio e del liquidatore, ai sensi del richiamato art. 2495 c.c. in connessione con l’art. 85 del c.p.c., secondo cui la revoca e la rinuncia del mandato non hanno effetto nei confronti dell’altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore, tanto più che trattasi di posizione processuale attiva, quale appellante. Accertata, pertanto, la validità del contraddittorio già instaurato tra le parti, occorre procedere all’esame della controversia.
 
I motivi di impugnazione, anche per quanto attiene alla metodologia di controllo utilizzata, possono essere trattati congiuntamente, nei termini che seguono. In materia di imposizione Iva sulle operazioni di factoring, l’orientamento del Giudice di legittimità si è espresso nel senso che tali operazioni, consistenti nel recupero e nell’incasso dei crediti di un terzo, configurano prestazioni imponibili non esenti, occorrendo accertare lo scopo pratico dell’operazione, che sarà esente dall’imposta qualora riveli natura finanziaria (Cass. 27648/2020).
La Suprema Corte ha osservato che nella prassi commerciale il contratto di factoring presenta una serie di varianti e clausole differenziate in relazione alle particolari esigenze dei contraenti, ma il suo nucleo fondamentale e costante è costituito da un accordo complesso in forza del quale un’impresa specializzata, il factor, si obbliga ad acquistare, per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare; il factor, dunque, s’interpone tra il fornitore dei beni o dei servizi e i suoi clienti e si obbliga a versare al fornitore, alla scadenza dei crediti, il corrispettivo pattuito della cessione, equivalente all’importo dei crediti, detratta una somma a copertura dei rischi assunti e delle spese di riscossione, oltre che a svolgere, per conto del fornitore, i servizi di contabilizzazione dei rapporti oggetto del contratto. Nel factoring pro soluto, il rischio d’insolvenza del cliente è posto a carico del factor; nel factoring pro solvendo o improprio vi è un diritto di rivalsa in capo al factor nei confronti del fornitore in caso d’insolvenza del cliente (Corte giust. 26 marzo 2003, causa C-305/01, Mkg-Kraftfahrzeuge-Factoring GmbH). La Cassazione ha dunque affermato che nel factoring in senso proprio è senz’altro ravvisabile una prestazione di servizi imponibile ai fini dell’iva: il servizio prestato dal factor consiste nel sollevare il cedente dalle operazioni di recupero dei crediti e dal rischio di mancato pagamento di essi; e il servizio è remunerato con la differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti dal fornitore e l’importo che questi riceve dal factor a titolo di pagamento per la cessione. L’insegnamento della Suprema Corte (27648/2020 citata) è esplicito nell’indicare la distinzione tra il factoring e la cessione di credito: “”” Nella cessione del credito non si ravvisa difatti alcun corrispettivo della prestazione del cedente, giacché il valore di acquisto e l’eventuale guadagno che il cessionario realizza qualora riesca a incassare il credito a un valore superiore a quello di acquisto, non è un corrispettivo per il servizio prestato, ma si limita a riflettere il valore economico effettivo del credito al momento della cessione (Corte giust. 27 ottobre 2011, causa C-93/10, GFKL Financial Services Ag, punti 23-25; ne fa applicazione nella giurisprudenza interna Cass. 5 agosto 2015, n. 16417).
 
3.2. – Sicché le singole cessioni dei crediti approvati dal factor non hanno ciascuna una propria causa, diversa e ulteriore rispetto a quella del contratto di factoring, ma sono atti traslativi del credito esecutivi del contratto di factoring, ed aventi la propria causa in questo contratto.
 
4.- Il punto è, però, che anche la prestazione resa dal factor in esecuzione di un factoring in senso improprio, ossia pro solvendo, senza diritto di rivalsa nei confronti del fornitore in caso d’insolvenza del cliente, può configurare attività economica imponibile ai fini iva. La Corte di giustizia ha al riguardo sottolineato che “…per la sua natura oggettiva, il factoring ha come scopo essenziale il recupero e l’incasso dei crediti di un terzo”; sicché lo ha ritenuto “…una mera variante del concetto più generale di “recupero dei crediti”, a prescindere per il resto dalle modalità secondo le quali viene praticato” (Corte giust. in causa C-305/01, cit., punto 77).
 
4.1. – E questo scopo pratico sarebbe idoneo a differenziare il factoring dallo sconto di crediti, caratterizzato dall’anticipazione dell’importo dei crediti.
 
5.- Il factoring conosce, peraltro, più modelli; e se cambia il modello può variarne anche la causa. Così, nel caso del factoring pro solvendo con anticipazioni da parte del factor, il contratto, quantunque concluso da società di factoring, degrada a comune operazione di finanziamento contro cessione pro solvendo dei crediti, simile appunto allo sconto.
 
5.1. – Qualora, invece si sia al cospetto di un factoring pro soluto con anticipazioni da parte del factor, alla causa propria del factoring si unisce quella di finanziamento, qualificabile come mutuo del factor. E, in questo caso come nell’altro, occorre pur sempre un’indagine volta a verificare quale sia l’aspetto prevalente, nello scopo pratico del contratto (in termini, Cass. 24 giugno 2003, n. 10004, nonché, in motivazione, proprio in tema di iva, Cass. 19 giugno 2015, nn. 12774, 12775 e 12776).
 
6.- A tanto va aggiunto che le esenzioni costituiscono nozioni autonome del diritto dell’Unione e vanno interpretate restrittivamente, in quanto costituiscono una deroga al principio generale secondo cui l’iva è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (Corte giust. 25 luglio 2018, causa C-5/17, Dpas Limited, punto 29, e 26 maggio 2016, causa C-607/14, Bookít Ltd, punto 34).
 
6.1.- In particolare, le operazioni esentate che s’invocano nel caso in esame sono definite in funzione della natura delle prestazioni di servizio fornite (e non in funzione del prestatore o del destinatario del servizio), ossia devono rientrare nel campo delle operazioni finanziarie (tra varie, Corte giust. 28 ottobre 2010, causa C-175/09, Axa Uk plc., punto 26, e in causa C-607/14, cit., punto 36).””” Questo Collegio condivide e fa proprio il predetto indirizzo assunto dalla Suprema Corte, dal quale non ha motivo di discostarsi. Dal contesto probatorio offerto dall’ufficio (in particolare nel pvc del 15 ottobre 2008 alle pagg. 37 e seguenti), emerge che i militari verbalizzanti, in funzione dell’elevato numero di contratti di factoring stipulati, ebbero a richiedere l’estrazione di dati riepilogativi. Sulla base di questi elenchi, contenenti tipologia del rapporto, estremi del documento emesso, causale e descrizione delle prestazioni fatturate, il personale addetto ai controlli ha analizzato i dati, estrapolando quei casi in cui il contratto è stato rivolto alla mera gestione dei crediti (fatturando le commissioni di factoring) o alla gestione dei crediti in maniera prevalente rispetto al finanziamento (fatturando commissioni di factoring e interessi); sono stati poi esclusi i rapporti in cui il cedente era soggetto passivo d’imposta in altro Stato membro; i verbalizzanti hanno poi chiesto l’eventuale presenza di clausole “not notification” o di rapporti di sola garanzia. Sulle posizioni residue si sono appuntate le contestazioni dell’ufficio.
La contestazione formulata dall’ufficio è pertanto sostenuta da ampio corredo motivazionale e probatorio, rispetto al quale le allegazioni della parte contribuente non sono in grado di confutare la correttezza dell’impianto e delle relative conclusioni. Assorbita ogni altra questione, l’appello è quindi infondato ed è da respingere e va confermata la sentenza di primo grado. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata. Liquida le spese, a favore dell’ufficio ed a carico della società contribuente in euro 1.400,00 (millequattrocento/00).