Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, sezione 3, sentenza n. 998 depositata il 12 novembre 2024
È sottratta al giudizio di inerenza la deducibilità degli oneri finanziari sostenuti in occasione di un’operazione di family buy out
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La presente controversia scaturisce da un’operazione di family buy out inversa riguardante società industriali facenti indirettamente capo alle famiglie Nominativo_1 e, più precisamente:
- la Ricorrente_1 p.A., di proprietà per il 49% della Società_1 S.r.l. (a sua volta di proprietà del sig. Nominativo_1) e per il 51% della Società_2 S.p.A. (a sua volta di proprietà dei coniugi Nominativo_2 e Nominativo_3);
- la Società_3 r.l., con sede in Luogo_1, di proprietà della Società_4 S.r.l. (a sua volta di proprietà di altre società sempre riferibili alle famiglie Nominativo_1).
Al fine di predisporre un nuovo assetto societario idoneo a supportare un piano di sviluppo aziendale e la sostituzione dei fratelli Nominativo_1 nei loro precedenti ruoli operativi, con il previsto ingresso nel capitale da parte della Soc_5 S.A. – detenuta al 100% dalla Società_6LP. – veniva costituita, il 23.12.2021, un’apposita società di progetto, denominata Società_4 S.r.l., con un capitale sociale di €. 10.000,00. Tale società veicolo veniva successivamente dotata dei mezzi finanziari necessari per l’acquisizione del 100% del capitale sia della Ricorrente_1 che della Società_3.
L’operazione, in parte a leva, veniva finanziata da Banca_1 S.p.A. per €. 17.500.000,00 (debt) – dei quali €. 5.000.000,00 garantiti da certificati di deposito di proprietà dei fratelli Nominativo_1 e – in quanto all’equity:
- per €. 980.000,00, con mezzi propri, personalmente, da vari membri della famiglia Nominativo_1, (acquisto dall’usufrutto delle quote da parte di Nominativo_2, della nuda proprietà da parte dei suoi figli e di una quota minoritaria da parte di Nominativo_1),
- per €. 320.000,00 dalla Soc_5 S.A., pari al 40% del capitale sociale, (Società_6).
La Società_4 S.r.l. veniva successivamente incorporata, tramite fusione, alla Ricorrente_1
(trasformatasi da S.p.A. in S.r.l.).
La citata fusione, il cui progetto era stato approvato il 26.07.2012, veniva effettuata con atto del 10.09.2012. Gli obiettivi di tale complessa operazione, condivisi dalla nuova compagine societaria, erano stati stabiliti dal consiglio di amministrazione riunitosi, per la loro delibera, in data 25.05.2012 e sono riassumibili come segue:
- incremento della produzione di pantaloni realizzati conto terzi,
- sottoscrizione di nuove importanti partnership produttive con multinazionali del settore,
- sviluppo delle attività operative in Luogo_1 per l’efficientamento dei costi di produzione,
- ingresso nel settore della produzione di capispalla e camicie, prima non servito, con conseguente integrazione orizzontale del business storico.
Il tutto con correlata ristrutturazione della governance dell’impresa, cessazione dalle funzioni operative dei fratelli Nominativo_1 e Nominativo_2 e modifiche degli assetti societari.
L’Agenzia delle Entrate di Pesaro avviava nei confronti della Ricorrente_1 S.r.l. un accertamento pluriennale relativo agli esercizi 2012 e seguenti, eccependo per tutti gli anni d’imposta l’indeducibilità degli interessi generati dal richiamato finanziamento bancario e, in alcuni esercizi, l’indeducibilità anche di altri costi.
In particolare, in relazione all’anno d’imposta 2015, oggetto della presente controversia, sollevava i due rilievi sotto riassunti.
1. Innanzitutto contestava l’indeducibilità degli interessi passivi generati dal debito contratto con Banca_1 S.p.A.
L’accertamento esperito era basato sui seguenti principi, esplicitati dall’Ufficio a pagina due dell’avviso: “Nelle operazioni di acquisizione, i fondi di private equity tentano di minimizzare il costo fiscale dell’intera struttura (aumentando in tal modo il rendimento finale per gli investitori) perseguendo i seguenti obiettivi:
- minimizzare il carico impositivo derivante dalle tasse imposte sulle operazioni di finanziamento dei veicoli di acquisizione e di rifinanziamento del gruppo o società target;
- massimizzare la deducibilità degli interessi generati dall’indebitamento utilizzato per l’acquisizione;
- minimizzare l’applicazione di ritenute sugli interessi percepiti dai finanziatori/investitori non residenti;
- consentire il pagamento del servizio del debito con carico fiscale minimo (dovuto, ad esempio, alla distribuzione di dividendi);
- assicurare che ogni surplus finanziario generato dal gruppo acquisito possa, ove permesso dagli accordi di finanziamento stipulati, essere distribuito ai soci minimizzando fino ad annullare qualunque applicazione di ritenute fiscali o di altre imposte;
- minimizzare il carico fiscale in uscita (totale o parziale) dall’investimento”.
L’Agenzia riteneva inoltre che nel caso specifico non fossero stati conseguiti né gli obiettivi di ristrutturazione manageriale, (il sig. Nominativo_4, genero del sig. Nominativo_1, era infatti rimasto amministratore delegato), né quelli di ristrutturazione societaria, essendo solo subentrato nel capitale della nuova società, con acquisizione del 40% delle quote, un fondo di private equity, mentre il 60% (delle quote) era stato acquistato dalla famiglia Nominativo_1 (Nominativo_1, 20%, Nominativo_2 e la consorte Nominativo_3, usufrutto sul 40% delle quote, Nominativo_5, Nominativo_6 e Nominativo_7 – figli di Nominativo_2 e Nominativo_3 – nuda proprietà sempre sullo stesso 40% del capitale), con mantenimento del controllo da parte della famiglia Nominativo_1.
Sosteneva altresì che neanche i previsti obiettivi industriali prefissati fossero stati raggiunti.
Gli interessi bancari al servizio del debito contratto con la Banca_1 S.p.A., (€. 340.190,00), venivano dunque considerati indeducibili per difetto di inerenza, ex art. 109, comma 5 del TUIR, in quanto l’accertatore riteneva che il riassetto societario fosse stato d’interesse, sostanzialmente, della famiglia Nominativo_1 – la quale aveva conseguito il risultato di monetizzare le partecipazioni azionarie detenute dalle proprie società familiari pur continuando a detenere la maggioranza del capitale della nuova società – e che dunque tali costi non fossero riferibili ad attività dirette alla produzione di reddito d’impresa.
Successivamente alla notifica dell’accertamento entrava nel contenzioso anche il concetto del principio dell’abuso del diritto, benché il motivo del recupero a tassazione indicato nell’avviso fosse solo quello della richiamata carenza di inerenza.
2. Le commissioni connesse al finanziamento (per l’importo di €. 20.003,00), venivano ritenute anch’esse non deducibili.
La società contribuente impugnava l’avviso di accertamento ricevuto, per la parte relativa agli interessi bancari, dinnanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro ed Urbino, la quale, con sentenza n. 19/2023 del 21.04.2022, rigettava il ricorso ritenendo non deducibili gli interessi generati dal richiamato finanziamento erogato dalla Banca_1 S.p.A. e condannando la società contribuente alle spese di giudizio. La parte soccombente ha impugnato con appello la prefata pronuncia.
Per quanto concerne il primo rilievo ha, in estrema sintesi, eccepito quanto segue.
- Le motivazioni dell’operazione societaria e finanziaria assoggettata ad accertamento risultano chiare e trasparenti e sono state mal comprese dal Giudice di primo grado.
- La stessa circolare dell’Agenzia del 05.2016, n. 6/E, riconosce la piena legittimità delle operazioni di family by out.
- Gli oneri finanziari relativi alle operazioni di leverage by out, per Legge, sono sottratti a qualsivoglia giudizio di inerenza.
- Le operazioni di leverage by out sono giuridicamente
- L’operazione assoggettata ad accertamento possiede tutte le caratteristiche tipiche, (e quindi non discrezionali), delle operazioni di leverage by out.
- Tutte le restrittive disposizioni fiscali previste dall’ordinamento tributario sono state perfettamente
- Nell’operazione contestata si ravvisano chiaramente valide ragioni economiche e la carenza di una qualsivoglia ipotesi di abuso del diritto.
- Diversi altri Giudici di merito hanno già accolto le ragioni dell’appellante in controversie relative alla stessa vicenda benché inerenti altri esercizi.
Nulla ha invece eccepito in merito al secondo rilievo.
L’Ufficio, costituendosi in giudizio, ha depositato proprie articolate controdeduzioni, contestando tutte le eccezioni sollevate dalla controparte con ampie argomentazioni, che qui si danno per richiamate giacché relative ad aspetti già in sintesi esposti in relazione al contenuto dell’accertamento oggetto del presente giudizio.
In data odierna, espletati gli incombenti di cui a verbale, la controversia è stata decisa come in dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte premette che il novellato art. 132 c.p.c., c. 1 n. 4, consente al Giudice la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto della decisione.
Per tale ragione – come da consolidata giurisprudenza di legittimità – nel motivare la propria sentenza, secondo i dettami dell’art. 118 disp. att. c.p.c., il Giudice non è tenuto ad esaminare specificatamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione dei soli aspetti rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata; detti principi si applicano al processo tributario ai sensi dell’art. 1 c. 2 D. Lgs. n. 546/92.
Le questioni non trattate non possono considerarsi omesse, ma semplicemente assorbite o superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto ritenuto concretamente provato dal Giudice.
L’appello merita di essere accolto.
Il primo rilievo va annullato in quanto destituito di qualsivoglia fondamento.
L’Agenzia, con un’ipotesi alquanto ardita, basa la propria disamina sul presupposto generalizzato – non sostenuto da alcuna prova – che l’obiettivo principale dei fondi di private equity sia quello di minimizzare il carico impositivo delle proprie partecipate e dei propri clienti.
Non vi è nulla di più errato.
Le aziende di private equity raccolgono liquidità e risparmi da vari investitori, (fondi comuni d’investimento, fondi pensione ed altri investitori istituzionali o professionali), e li amministrano al fine di garantire alla propria clientela un elevato tasso di rendimento.
Per ottenere un’alta redditività, tali operatori ricercano e selezionano professionalmente aziende di dimensioni non particolarmente grandi che detengano significativi vantaggi competitivi i quali, con riorganizzazione della vision, delle strategie, dell’architettura aziendale e delle sue procedure operative, siano idonei nel medio termine, (tre/cinque anni), a consentire una crescita esponenziale sia del volume d’affari che, soprattutto, dei margini aziendali.
Investono dunque in esse un capitale acquisendo una quota valorizzata con il metodo dei multipli (dell’Ebitda) e la rivendono, (a volte assieme agli altri soci), chiedendo al futuro cessionario un corrispettivo computato con lo stesso metodo valutativo.
Pertanto il loro obiettivo, chiaramente speculativo, è quello di lucrare sulla plusvalenza da realizzare al momento della successiva cessione delle azioni/quote precedentemente acquistate.
Posto che gli interessi passivi e le imposte non entrano nel calcolo dell’Ebitda, tali investitori professionali sono poco interessati ad essi ed alla loro tassazione che, nei metodi di valutazione internazionale in uso nel sistema finanziario e creditizio, risultano del tutto irrilevanti. Concentrano invece ogni loro attenzione sull’incremento della redditività operativa aziendale, giacché più essa è elevata, maggiore sarà la plusvalenza che verrà generata al momento della successiva cessione della loro partecipazione societaria.
Non vi è pertanto nel panorama economico internazionale altra tipologia di operatori più interessata ad ottenere la massimizzazione della profittevolezza delle proprie partecipate.
Peraltro dalla lettura dell’errata concezione del leverage esposta nei motivi di accertamento dall’Ufficio risulta evidente che quest’ultimo ne abbia una scarsa conoscenza.
Il leverage, o leva finanziaria, è uno strumento di ottimizzazione finanziaria utilizzato negli investimenti effettuati nel capitale delle imprese finalizzato alla massimizzazione, nell’ambito del mix delle fonti da utilizzare, della percentuale di debito rispetto a quella di capitale proprio, con conseguente (automatico) incremento del rendimento di quest’ultimo.
La logica degli investimenti effettuati a leva si fonda infatti su un principio matematico semplice: ove il rendimento dell’investimento travalichi il costo del denaro, la dilatazione della percentuale di debito rispetto all’equity comporta automaticamente una più elevata redditività di quest’ultimo, che risulta maggiorata dalla differenza positiva tra la redditività dell’azienda target ed il costo degli interessi bancari.
Al fine di chiarire tale concetto può essere opportuno affidarsi ad un elementare esempio aritmetico.
Si supponga che la redditività del capitale proprio di un’impresa sia del 10%, il tasso d’interesse bancario del 4% e l’investimento da effettuare, per l’acquisto di un pacchetto azionario, sia pari a 200.
Se l’investitore utilizzasse esclusivamente capitale proprio (equity) la redditività dell’investimento effettuato sarebbe ovviamente del 10%.
Se l’investitore, al contrario, utilizzasse 100 di equity e 100 di finanziamento bancario (debt), la redditività complessiva sarebbe invece del 16%:
– rendimento dell’equity, (100): 10%
– rendimento aggiuntivo generato dall’utilizzo del finanziamento bancario, (100): 6% (il 10% redditività aziendale meno il 4% del costo degli interessi bancari a servizio del debito contratto).
Se l’investitore utilizzasse un mix prevedente il 25% di equity ed il 75% di debt, il rendimento complessivo del proprio investimento diverrebbe del 28%.
In altre parole, essendo la redditività percentuale pari al rapporto tra l’equity investito ed il rendimento delle attività imprenditoriali, minore è la quantità di equity da investire, maggiore sarà la sua redditività.
Dunque nel pianificare qualsiasi investimento, al fine di massimizzare il rendimento del quale l’investitore potrà giovarsi – e non dunque per comprimere il carico impositivo come asserito dall’accertatore – è tecnicamente opportuno ridurre al minimo possibile la percentuale di equity con conseguente dilatazione della componente debitoria utilizzata.
Quest’ultima, se correttamente dimensionata, non comporta peraltro controindicazioni di sorta in quanto il suo rimborso verrà effettuato tramite l’utilizzo del cash flow generato dalle stesse attività dell’impresa partecipata.
Chiarito che l’inquadramento e la considerazione generale delle operazioni finanziarie di leverage by out esposto in sede d’accertamento sono prive di fondamento, la Corte provvede ad esaminare il primo dei rilievi. Innanzitutto si rileva che, in atti, non risulta che l’operazione contestata abbia comportato minori introiti all’Erario.
Nessuna eccezione viene infatti sollevata in relazione al comportamento delle società cessionarie e dei loro soci persone fisiche. Ciò induce a ritenere che tali soggetti abbiano correttamente e puntualmente ottemperato ai propri obblighi dichiarativi e contributivi.
L’azienda le cui azioni sono state rilevate operava nel comparto dell’abbigliamento e più precisamente nelle lavorazioni per conto terzi, ragion per cui si può logicamente presupporre che il suo capitale investito non fosse particolarmente elevato, data la necessità di beni strumentali semplici e poco costosi e l’assenza di marchi, brevetti ed altro. Anche il valore degli eventuali immobili di proprietà avrà avuto, dopo la crisi del 2008, una contrazione di valore a causa della rarefazione della relativa domanda e del noto incremento delle imposte sugli immobili.
Da tali considerazioni consegue che parte rilevante del corrispettivo di vendita delle azioni (della Ricorrente_1
S.r.l. e della Società_3 S.r.l.) detenute, sia ragionevolmente stata contabilizzata come plusvalenza ed assoggettata alla relativa imposizione in capo alle cessionarie.
In merito l’accertamento nulla indica in relazione ad eventuali precedenti rivalutazioni delle azioni oggetto di cessione, ragion per cui deve ritenersi che le richiamate plusvalenze siano state assoggettate all’aliquota piena prevista dalla Legge per tali redditi.
Detto conseguente flusso impositivo a favore dell’Erario supera di gran lunga, aritmeticamente, la riduzione generata dagli interessi passivi contabilizzati dalla nuova società sorta a seguito della richiamata fusione, (il prestito bancario non è un costo, per cui possono essere dedotti dal reddito d’esercizio esclusivamente gli interessi al suo servizio).
L’Erario dunque non ha subito da tale operazione, considerata nel suo complesso, alcun nocumento, ma è anzi ragionevole ritenere si sia giovato di un significativo incremento delle proprie entrate derivanti dalle plusvalenze contabilizzate in capo alle società cedenti.
Del resto non risulta credibile che players del calibro di Banca_1 e Società_6, che svolgono attività in ambito finanziario amministrando capitali ad essi affidati da investitori e società di gestione del risparmio – e dunque assoggettati a regole severe e a rigorosi controlli da parte dei relativi Organismi istituzionali di Vigilanza – possano aver versato decine di milioni di euro e partecipato ad un’operazione complessa, (Società_6 entrando addirittura nel capitale della nuova società), al solo fine di aiutare i signori Nominativo_1 a risparmiare, negli anni, complessivamente, qualche centinaio di migliaia di euro di imposte.
Priva di fondamento è anche l’asserzione dell’esistenza di un vantaggio fiscale generato dal rilascio di garanzie, da parte dei fratelli Nominativo_1, a favore di Banca_1 S.p.A.
L’accertatore sostiene che i certificati di deposito messi a disposizione alla prestatrice dagli Nominativo_1 generassero interessi ad un tasso comparabile a quello del finanziamento erogato alla Ricorrente_1.
Tuttavia, a ben vedere, tali disponibilità, per loro intrinseca natura, sono sempre e comunque fruttifere di interessi – peraltro assoggettati ad una ritenuta del 26% – per cui i sig.ri Nominativo_1 ne avrebbero beneficiato in ogni caso.
Inoltre, ove i sig.ri Nominativo_1 non si fossero resi disponibili ad accollarsi parte dei rischi al posto del prestatore, l’azienda avrebbe dovuto chiedere fidejussioni bancarie od assicurative che, essendo onerose, avrebbero ridotto gli utili e dunque l’imposizione fiscale a carico dell’azienda.
Infine, dalla struttura complessiva dell’operazione societaria posta in essere, si desume la necessità di utilizzare comunque un livello di indebitamento bancario che – ove i cinque milioni di proprietà degli Nominativo_1 fossero stati versati in conto capitale anziché utilizzati come garanzia – non avrebbe evidentemente raggiunto
una quantificazione ottimale minima, a causa del conseguente necessario incremento della percentuale di capitale da sottoscrivere anche da parte del fondo d’investimento, (il quale non avrebbe probabilmente più avuto interesse ad intervenire a causa delle valutazioni matematiche già esposte).
Va a questo punto valutata la concreta sussistenza di una carenza di inerenza del costo per interessi passivi a causa dell’asserito mancato raggiungimento degli obiettivi industriali e manageriali prefissati e condivisi dalla vecchia e dalla nuova compagine societaria.
In relazione agli obiettivi economici prefissati va considerato che i fondi gestiti dal gruppo Società_5 non avrebbero potuto in alcun modo investire capitali di rischio nell’iniziativa se non in base ad un ambizioso piano di sviluppo industriale – preventivamente vagliato – rispondente a regole valutative internazionali ed idoneo ad attestare la sussistenza di un’elevata possibilità di raggiungere un rilevante incremento sia del volume d’affari che della profittabilità e, conseguentemente, del valore della Ricorrente_1.
Come infatti chiarito, obiettivo di tale categoria di operatori finanziari è quello di trarre profitto dalla successiva rivendita, nel medio termine, (tra i tre e, massimo, i cinque anni), della propria partecipazione ad un corrispettivo più elevato di quello pagato per il suo acquisto.
Risultano peraltro in atti sia l’incremento di fatturato conseguito dalla società oggetto di accertamento, sia il suo ingresso nei settori della produzione di capispalla e camice, tramite acquisizione di altre aziende con attività già avviate nella realizzazione di tali ulteriori prodotti (il fatto che siano state acquisite aziende diverse da quelle inizialmente previste è irrilevante, giacché va considerato che, in tale mercato, il cedente può legittimamente rifiutarsi di vendere la propria azienda fino al minuto prima della stipula notarile, rendendo dunque necessarie altre ricerche e conseguenti trattative fino alla chiusura definitiva di acquisizioni alternative).
Più precisamente l’obiettivo dell’incremento di fatturato e capacità produttiva nel settore pantaloni è stato rapidamente raggiunto, per linee esterne, tramite l’acquisizione della concorrente Società_6 S.r.l., (primo obiettivo del piano).
Sono stati altresì sottoscritti accordi di partnership produttiva con diversi marchi internazionali, (secondo obiettivo del piano).
Anche la capacità di produzione all’estero è stata sensibilmente aumentata tramite l’acquisizione della quota di controllo del Ricorrente_1, con stabilimenti produttivi sia in Luogo_1 che in Luogo_2, (terzo obiettivo del piano).
Infine è stato anche rapidamente raggiunto l’obiettivo di integrazione orizzontale tramite la costituzione della Società_8 S.r.l., avente per oggetto sociale la produzione di camice e capispalla, che in breve tempo ha raggiunto un fatturato di oltre dieci milioni di euro, (quarto obiettivo del piano).
In relazione a tale ultimo elemento deve considerarsi che la penetrazione dei cennati mercati collegati comporta di per sé un incremento degli utili non solo per l’aumento del volume delle vendite ma anche e soprattutto per l’incremento dei margini di profitto che scaturiscono, in automatico, dalle conseguenti economie di scopo e di scala.
A titolo meramente esemplificativo, la possibilità di utilizzo degli stessi sbocchi di mercato, (clientela già servita), per la vendita di nuovi prodotti genera un incremento della percentuale di profittabilità atteso che risulta possibile evitare le lunghe ed onerose attività di penetrazione di mercato dall’esito peraltro incerto. Inoltre l’utilizzo centralizzato di architetture e reti commerciali, di uffici amministrativi, organizzativi, tecnici (ed altro) già in essere, riduce notevolmente i costi fissi dell’impresa, il che comporta un minor costo fisso unitario del venduto.
Risultano anche evidenti le economie di scala ottenibili dal raggiunto generale ampliamento del fatturato, atteso che l’acquisto di una maggior quantità, (ad esempio), di materie prime, semilavorati ed accessori, consente di ottenere dai fornitori una maggiore scontistica e dunque una contrazione dei costi variabili unitari dei prodotti realizzati.
L’aumento di fatturato derivante dalla realizzata integrazione orizzontale, (oltre che dall’investimento effettuato per rilevare aziende concorrenti), e l’insieme delle conseguenti economie di scopo e di scala – previsti nel piano industriale dell’operazione di leverage by out oggetto della presente controversia – rappresentano validi e legittimi obiettivi economici atti a provare l’inerenza di tutti i costi operativi necessari per il loro raggiungimento, interessi bancari passivi compresi.
Va da ultimo, per completezza, considerato che, contrariamente a quanto asserito dall’Ufficio, le operazioni di leverage by out progettate ed implementate da società regolamentate specializzate nel private equity prevedono sempre, per prassi, un “rivoluzionamento” delle regole di governance e gestionali delle imprese partecipate.
Gli operatori professionali del settore infatti, già nelle fasi di valutazione e decisione degli investimenti, devono obbligatoriamente prevedere una wait out, ossia un set di opzioni possibili per la rivendita del loro pacchetto azionario alla fine del periodo temporale previsto (come ricordato, di 3/5 anni).
A seconda delle dimensioni delle aziende partecipate, a fine periodo la futura cessione della propria partecipazione potrà avvenire tramite la quotazione in borsa, (o sul mercato ristretto), ovvero tramite la vendita a gruppi industriali interessati ad incrementare le proprie dimensioni per linee esterne, ossia acquistando quote di aziende Banca_2, rispetto alla propria catena del valore, a monte o a valle, (integrazione verticale), oppure in settori collegati al proprio (integrazione orizzontale).
Al fine di poter accedere ai cennati mercati di capitali le società partecipate non possono mantenere modalità di governance e gestionali di tipo padronale o familiare e devono pertanto subire radicali modifiche.
L’investitore professionale, per prassi generale, lascia all’interno dell’organigramma l’imprenditore ed i suoi uomini di riferimento preposti ad attività operative, (soprattutto produttive), poiché non ha esperienze dirette in tutti i settori nei quali investe, ma inserisce immediatamente nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali professionisti di propria fiducia, pretendendo altresì il coinvolgimento di società di revisione per il controllo della corretta tenuta della contabilità e della redazione del bilancio d’esercizio.
Vengono peraltro modificate gran parte delle precedenti procedure operative con l’introduzione di architetture e metodologie di lavoro strutturate in base a standards internazionali, in maniera tale da garantire la loro generale uniformità a quelle conosciute ed utilizzate dai potenziali futuri acquirenti.
L’obiettivo di tali reingegnerizzazioni dei processi interni è quello di ottenere un autonomo ed efficiente funzionamento dell’azienda anche a prescindere dall’impegno e dalle particolari capacità del vecchio titolare che, in genere, ha inizialmente creato l’impresa e ne ha poi gestito personalmente anche la parte operativa. Governance e gestione vanno dunque standardizzate in quanto l’azienda deve poter operare in maniera efficace ed efficiente anche senza l’apporto dei propri “creatori”, al fine di acquisire una generale fungibilità del management, elemento indispensabile per garantire alla partecipazione l’appeal necessario per poter essere facilmente ceduta nei tempi previsti.
Per le ragioni tecniche sopra sintetizzate l’eccezione sollevata dall’accertatore in relazione al mero mantenimento della carica di amministratore delegato da parte del genero di uno dei due fratelli Nominativo_1 risulta priva di rilievo, tenuto peraltro conto della completa fuoriuscita dal management da parte dei fratelli Nominativo_1.
Neanche l’eccezione relativa all’asserita mancata discontinuità rilevabile nella compagine societaria risulta fondata.
Innanzitutto perché i soci non sono gli stessi risultanti nel periodo precedente. Infatti nella nuova società è la presenza di un investitore professionale che, seppure con una partecipazione del solo 40% al capitale sociale ha l’obiettivo, condiviso dall’intera proprietà, di ristrutturare profondamente l’organizzazione e far crescere rapidamente le dimensioni e la redditività dell’impresa.
Inoltre le società “cassaforte” dei fratelli Nominativo_1 non sono più proprietarie di alcuna quota e risultano esser state sostituite da persone fisiche delle quali alcune solo usufruttuarie ed altre solo nude proprietarie delle partecipazioni, lasciando chiaramente intravedere un predefinito programma successorio.
Posto dunque che l’operazione di family by out in oggetto risulta essere perfettamente legittima, i correlati oneri finanziari sono sottratti dalla Legge a qualsivoglia giudizio di inerenza.
Per le ragioni sopra sinteticamente esposte il primo rilievo viene annullato, (il secondo non è oggetto di controversia, in quanto non impugnato dell’appellante).
Per tutto quanto sopra la sentenza di primo grado va riformata con integrale annullamento del primo dei rilievi posti alla base della pretesa impositiva oggetto di controversia.
Le spese seguono la soccombenza per entrambi i gradi di giudizio e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte accoglie l’appello della parte contribuente e condanna l’Ufficio alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in €. 5.000,00 per il primo grado ed in €. 5.500,00 per il secondo, oltre ad accessori fiscali e previdenziali se dovuti.