Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna, sez. n. 10, sentenza n. 813 depositata il 21 agosto 2023
Il contribuente ha diritto alla restituzione del costo della polizza fideiussoria versata al fine di ottenere il rimborso dell’eccedenza IVA infrannuale
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La P. Società Cooperativa Agricola, incorporante dall’1/1/2009 la P. Mangimi S.P.A., presentava tre istanze all’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale dell’Emilia Romagna, una in data 11/09/2015, l’altra in data 23/12/2015 e l’ultima in data 31/12/2015, per ottenere il rimborso dei costi delle fideiussioni prestate dalla società incorporata e dalla ricorrente, allo scopo di conseguire in via accelerata il rimborso dell’IVA in eccedenza per il periodo di imposta che andava dal 2004 al 2014, per il complessivo importo di Euro 645.433,88 oltre interessi di legge.
In data 19/04/2016 l’Agenzia delle Entrate, richiamato il disposto dell’art. 8 co. 4 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente) che prevede che “l’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi ”, rigettava le richieste affermando che il rimborso dei costi sostenuti per la stipula delle garanzie fideiussorie triennali non veniva riconosciuto in quanto le garanzie non erano connesse ad una potenziale attività di accertamento dell’Ufficio.
La società appellante, nell’impugnare il provvedimento di diniego della richiesta di rimborso delle predette fideiussioni, osservava che l’art. 8 comma 4 cit. non escludeva il rimborso dei costi delle garanzie triennali (ovvero quelle relative al rimborso immediato del credito Iva) e richiamata la sentenza della S.C. n. 16409 del 5/08/2015, insisteva nelle proprie richieste.
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale dell’Emilia-Romagna si costituiva in giudizio ed eccepiva:
a) l’intervenuta decadenza delle richieste di rimborso ai sensi dell’art. 21 del D.lgs. n. 546/1992;
b) la non spettanza dei costi sostenuti per le garanzie fideiussorie triennali in quanto il comma 4 dell’art. 8 della legge n. 212 del 2000 non era applicabile ai rimborsi delle eccedenze Iva richieste in via accelerata ai sensi degli artt. 36 e 38 bis del d.p.r. n. 633 del 1972 in cui l’Amministrazione Finanziaria esercitava un controllo solo cartolare di liquidazione del rimborso. A sostegno delle proprie tesi l’Ufficio citava l’orientamento della C.T.R. Lombardia e insisteva per il rigetto del ricorso.
La C.T.P. di Bologna respingeva sia il ricorso, compensando le spese, sia l’eccezione di decadenza formulata dall’Ufficio ai sensi dell’articolo 21 cit. in quanto riteneva applicabile il termine decennale di prescrizione ex art. 2946 CC, termine non ancora spirato. Nel merito, la C.T.P. faceva proprio l’orientamento della CTR Lombardia che delimitava l’ambito di applicazione dell’art. 8 cit. ai casi di garanzia “sine die” ed affermava che la società ricorrente non aveva alcun obbligo di richiedere il rimborso accelerato del credito d’imposta il quale poteva essere riportato in diminuzione nella dichiarazione dell’anno successivo senza necessità da parte della società di accollarsi l’onere accessorio della fideiussione, prestata solo per ottenere l’immediata disponibilità delle somme risultate a credito.
La P. appellava la decisione ribadendo le proprie tesi ed affermando che la Suprema Corte con sentenza 16409 del 2015 aveva stabilito un principio generale di rimborso dei costi di tutte le fideiussioni ai sensi dell’art. 8 cit. e che la legge n. 167/2017 aveva stabilito che i costi fideiussori dovevano essere rimborsati anche in ipotesi di rimborso iva accelerato.
L’Ufficio, costituendosi in questa fase di giudizio, ribadiva le stesse argomentazioni già svolte in primo grado, richiedendo il rigetto dell’appello principale e l’accoglimento dell’appello incidentale in relazione all’eccezione di decadenza “biennale” formulata ai sensi dell’art. 21 della legge sul contenzioso tributario ed eccependo, in ogni caso, l’intervenuta prescrizione decennale, rispetto all’istanza del 31/12/2015 per gli anni di imposta 2004-2008, per le seguenti posizioni:
– II trimestre 2015, pagamento premio 8/11/2005, Euro 16.890;
– I trimestre 2005, pagamento premio 2/8/2005, Euro 21.514;
– a.i. 2004, pagamento premio 10/5/2005, Euro 15.150;
– III trimestre 2004, pagamento premio 22/2/2005, Euro 13.843;
– II trimestre 2004, pagamento premio 11/1/2005, Euro 18.042.
Prima dell’udienza entrambe le parti producevano una memoria contenenti richiami giurisprudenziali.
All’esito dell’udienza, la decisione veniva trattenuta in riserva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) L’appello principale è fondato.
La S.C. ha consolidato di recente il proprio orientamento in materia riconoscendo il diritto del contribuente al rimborso del costo della fideiussione prestata onde ottenere il rimborso di una eccedenza IVA infrannuale.
I giudici di legittimità prendevano spunto da un dato di esperienza in forza del quale, in caso di richiesta di rimborso di credito IVA non detraibile, i rimborsi di ammontare superiore a 30.000 euro sono eseguiti dall’Amministrazione di regola previa prestazione di garanzia, normalmente fideiussoria, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38 bis.
In secondo luogo, veniva richiamata la legge n. 212 del 2000, art. 8, comma 4, che recita:
“L’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi. Il rimborso va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata“. In particolare, veniva segnalato che 1 Cfr. Cassazione civile sez. trib., 17/07/2023, (ud. 05/04/2023, dep. 17/07/2023), n. 20544; Cassazione civile sez. trib., 13/07/2023, (ud. 20/04/2023, dep. 13/07/2023), n. 20024.
L’espressione “ha dovuto richiedere” era stata interpretata non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo, bensì con riferimento alla necessità (intesa come onere) della richiesta della garanzia in rapporto allo scopo perseguito (nel caso di specie ottenere il rimborso).
In terzo luogo, la Sezione tributaria richiamava un proprio precedente arresto (Cass. 5 agosto 2015, n. 16409) in occasione del quale aveva già interpretato la locuzione di cui all’art. 8 comma 4 cit. “ha dovuto richiedere”, come comprensiva dei costi di tutte le garanzie, incluse le fideiussioni prestate da parte contribuente, quale onere della richiesta della fideiussione in rapporto allo scopo perseguito, ossia ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o, come nel caso di specie, il rimborso del credito IVA vantato nei confronti dell’Erario. Tale disposto di legge – precisava la S.C. – “impone all’Amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle fideiussioni richieste dal contribuente per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi e, così ha ritenuto la Sezione con la citata decisione, ha natura immediatamente precettiva, attribuendo al contribuente un diritto soggettivo perfetto a tutela della sua integrità patrimoniale, a prescindere dell’emanazione dei decreti ministeriali d’attuazione e ricomprende anche i costi delle fideiussioni stipulate prima della sua entrata in vigore“.
La Corte richiamava altresì la sentenza n. 22720/2020 che aveva riconosciuto il diritto al rimborso nel caso di un ricorso proposto da una società italiana avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza avente ad oggetto i costi sostenuti per la presentazione di fideiussioni prestate per il rimborso IVA.
È stato quindi ribadito il principio per cui “In tema di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha portata generale ed è indipendente dalla fisionomia della controversia tributaria, stante l’esigenza ad essa sottesa di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, in caso di infondatezza della pretesa impositiva o di legittimità della pretesa di rimborso di somme dovute, che una diversa interpretazione frustrerebbe, oltre a porsi in contrasto con il diritto unionale” (cfr. Sez. 5 -, Ordinanza n. 5508 del 28/02/2020, Rv. 657368 – 02 Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 31092 del 2021). Pare pienamente condivisibile anche l’affermazione per cui “Una diversa opzione in effetti frustrerebbe l’esigenza presidiata dalla disposizione di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima pretesa al rimborso di somme dovute, e, per conseguenza, rischierebbe di entrare in frizione col diritto unionale dato che, secondo il consolidato orientamento della Corte di giustizia, in base al quale gli Stati membri indubbiamente dispongono di una certa libertà quanto alla determinazione delle modalità di rimborso dell’eccedenza di iva, purché, però, il sistema di rimborso adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Corte giust. 28 febbraio 2018, causa C-387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C- 254/16, Glencore Agriculture Hungary, punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok 3, punto 33)”.
Al caso in esame risulta quindi applicabile il seguente principio di diritto formulato dalla S.C. con sentenza Cassazione civile sez. trib., 13/07/2023, (ud. 20/04/2023, dep. 13/07/2023), n. 20024: “In tema di fideiussione prestata ex D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 30 e 38 bis, comma 1, in caso di richiesta di rimborso di credito IVA non detraibile da parte di società priva di stabile organizzazione in Italia ed operante tramite un rappresentante fiscale, in applicazione del principio di neutralità come interpretato dalla Corte di Giustizia e della l. n. 212 del 2000, art. 8, comma 4, il rimborso del costo degli oneri fideiussori spetta al contribuente anche quando sia mancata un’attività di accertamento in ordine alla debenza dell’imposta e la garanzia sia rilasciata per la restituzione del credito di imposta oggetto di rimborso da parte dall’Amministrazione finanziaria.”.
2) L’appello incidentale è infondato.
2.1 Il D.lgs. n. 546 del 1992, art. 21 comma 2 prevede che “Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’art. 19 comma 1 lettera a) può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
La S.C. con sentenza del 13/07/2023, (ud. 20/04/2023, dep. 13/07/2023), n. 20024, ha chiarito che il termine di decadenza biennale di cui all’art. 21 non può essere applicato all’azione di rimborso dei costi per la fideiussione, in quanto riferito al richiamato art. 19 del medesimo decreto e, quindi, alla restituzione di tributi e sanzioni, ma non anche dei costi da fideiussioni. Questi ultimi hanno funzione indennitaria e non satisfattoria, perché la fideiussione di cui al D.P.R. n. 633/72, art. 38 bis è volta al trasferimento da un soggetto ad un altro del rischio economico derivante dalla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale oppure dall’insussistenza dei presupposti per ottenere il rimborso dell’IVA (Cass. n. 5508/2020; Cass. n. 12228/2019; Cass. Sez. Un. 3947/2010). Poi, che la prestazione oggetto della fideiussione in parola, essendo qualitativamente diversa rispetto all’obbligazione tributaria, era esclusa dal richiamo all’art. 19 del decreto e che la diversità si desumeva dal fatto che la sua funzione propria non consisteva nella sostituzione e garanzia del versamento d’imposta, bensì nel rimettere le parti nello status quo ante al rimborso (Cass. Sez. Un. nn. 18520, 18521 e 18522/2019).
2.2) L’eccezione di intervenuta prescrizione decennale ai sensi dell’art. 2946 c.c. formulata dall’Ufficio in sede di appello incidentale, in via subordinata all’eccezione di decadenza biennale di cui all’art. 21 comma 2 del d.P.R. n. 633/72, viola il divieto di cui al comma 2 dell’art. 57 della legge n. 546 del 1992.
Premesso che l’Ufficio costituendosi nel giudizio di primo grado non ha eccepito alcuna prescrizione decennale e che, invece, detta eccezione è stata formulata nel presente grado di giudizio, limitatamente alle posizioni indicate a p. 14 dell’atto denominato controdeduzioni e appello incidentale del 23/11/2018, la giurisprudenza della S.C. ha affermato ripetutamente che, nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, previsto al D.lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda le eccezioni sostanziali in senso stretto, ovvero quelle per cui la legge riserva espressamente alla parte il potere di rilevazione o quelle in cui si fa valere un fatto modificativo, estintivo o impeditivo della pretesa fiscale, mentre le eccezioni in senso improprio integrano una mera sollecitazione difensiva in replica e sono rilevabili d’ufficio, anche in sede di legittimità (Cass., 14 ottobre 2022, n. 30227; Cass., 3 febbraio 2021, n. 2413).
La S.C., sez. trib., con sentenza del 19/07/2023 (ud. 10/05/2023, dep. 19/07/2023) n. 21293, ha precisato in proposito che “Nel giudizio tributario, dunque, la parte resistente deve costituirsi in giudizio entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla notifica del ricorso e nelle controdeduzioni ha la facoltà di proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio, fermo restando, comunque, il diritto del resistente di negare i fatti sostenuti da parte attrice, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate, nonché di produrre documenti. Si tratta di principi applicabili anche in tema di rimborso Iva e di impugnazione del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria, dovendosi richiamare, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte che ha più volte precisato che, ove nella controversia instaurata dal contribuente si discuta del rigetto di un’istanza di rimborso di un tributo, l’Amministrazione finanziaria ben può prospettare argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa e che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione, mentre, già si è detto che, nel processo tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda le eccezioni in senso stretto non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine (cfr., fra le tante, Cass., 2 settembre 2022, n. 25999; Cass., 28 gennaio 2020, n. 1906), come l’eccezione di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. che viene in rilievo nella vicenda in esame“.
La S.C. citata da ultimo conclude evidenziando che “l’eccezione di decadenza per decorrenza del termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. proposta dall’Agenzia delle Entrate in sede di appello (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata) rientra nel divieto posto dal D.lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2”.
Questa Commissione ritiene di allinearsi all’orientamento espresso posto che essa poggia su alcuni principi assolutamente condivisibili: a) nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, riguarda le eccezioni sostanziali in senso stretto, ovvero quelle per cui la legge riserva espressamente alla parte il potere di rilevazione o quelle in cui si fa valere un fatto modificativo, estintivo o impeditivo della pretesa fiscale [cfr. Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 30227 del 14/10/2022 (Rv. 666084 – 01)]; b) la prescrizione del diritto al rimborso di un credito (in quel caso, Ilor) non è rilevabile d’ufficio né deducibile per la prima volta nel giudizio di appello, ostandovi il disposto di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 [cfr. Cass Sez. 1 – , Ordinanza n. 9810 del 13/04/2023 (Rv. 667492 – 01) e Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 20605 del 27/06/2022 (Rv. 665132 – 01)].
Tanto premesso, evidenti ragioni di equità impongono l’integrale compensazione delle spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio, in ragione del recente consolidamento delle questioni di diritto decise in questa sede.
P.Q.M.
Accoglie l’appello presentato dalla società P. Società Cooperativa Agricola e per l’effetto, in riforma della sentenza n. 343/2018 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale BOLOGNA sez. 6 e pubblicata il 26/03/2018, dichiara tenuta e condanna l’Amministrazione Finanziaria a rimborsare alla ricorrente il costo delle fideiussioni che la società ha dovuto sostenere per ottenere il rimborso – annuale e infrannuale – delle eccedenze di imposta risultanti dalle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2004-2014, pari a complessivi ? 645.433,88, oltre interessi come per legge dalle presentazioni delle istanze al saldo; respinge l’appello incidentale. Compensa integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
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