Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, sezione 10, sentenza n. 538 depositata il 1° maggio 2023
Incombe sull’istituto di credito l’onere di conservare le autocertificazioni prodotte dai suoi clienti attestanti il possesso dei requisiti necessari per beneficiare delle agevolazioni fiscali relative ai mutui sottoscritti in relazione all’acquisto della “prima casa”
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Come riferito dalla società ricorrente, con il d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni nella l. 28 gennaio 2009, n. 2, veniva introdotta (all’art. 2) un’agevolazione sui mutui “prima casa” a tasso variabile, prevedendo che una parte delle rate da versare nel 2009 fosse posta a carico dello Stato Quanto alle modalità di erogazione della predetta agevolazione, alle banche veniva assegnato il compito di corrispondere ai mutuatari i relativi importi, con corrispondente maturazione di un credito di imposta da parte dell’Istituto di credito utilizzabile in compensazione con le altre imposte.
Dando applicazione alla predetta normativa, la C.R.P.P. Spa maturava nei confronti dell’Erario, con riferimento alle somme riconosciute ai propri clienti un credito di imposta, relativo alle rate 2009, complessivamente pari a € 3.077.596,64; parte di questo credito era esposto nella dichiarazione relativa al 2009, mentre altra parte confluiva nella dichiarazione relativa al 2010.
Ciò in quanto si riteneva non ancora perfezionata, nell’anno 2009, la maturazione del relativo credito di imposta, “ritenendo opportuno, in un’ottica prudenziale (vale a dire nell’ottica di non avvantaggiarsi prematuramente un credito nei confronti dell’Erario) effettuarne la relativa evidenziazione nella dichiarazione relativa al periodo di imposta 2010“.
Nondimeno, il mod. 770/2011 (relativo all’anno 2010) non recava, a differenza di quello relativo all’annualità precedente, uno specifico rigo ove indicare il credito di imposta maturato nell’anno di talché la Società, nella dichiarazione relativa al 2010 indicava detto importo pari a € 858.259 nel rigo (SX42, col. l) relativo al credito residuo dell’anno precedente.
L’agenzia delle entrate indirizzava perciò alla società una comunicazione di irregolarità notificata l’11 settembre 2013, emessa a seguito del controllo automatizzato effettuato ai sensi dell’art. 36 bis, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Sulla scorta di tale premessa, non avendo la banca indicato nella dichiarazione relativa all’anno precedente alcun credito residuo da riportare nella dichiarazione successiva veniva emessa nei suoi confronti una cartella di pagamento con cui era richiesta la corresponsione di detto credito, oltre a interessi e sanzioni.
La società impugnava la cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bologna che, con la sentenza in epigrafe, accoglieva parzialmente il ricorso annullando solo le sanzioni irrogate e compensando le spese di giudizio.
Avverso la sentenza ricorre in appello la C.R.P.P. instando per la sua riforma.
Si è costituita in resistenza la Direzione Regionale Emilia Romagna dell’Agenzia delle entrate dispiegando anche ricorso incidentale.
Nella pubblica udienza del 17 aprile 2023, uditi i difensori delle parti, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Parte ricorrente deduce, con l’atto di appello, la illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto il motivo di ricorso relativo alla nullità/illegittimità del molo impugnato per difetto di motivazione.
Deduce, altresì la nullità/illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto le doglianze riguardanti l’infondatezza della pretesa afferente al credito di imposta relativo alle rate di mutuo poste a carico dello Stato, insistendo sulla spettanza del credito d’imposta e sulla correttezza del proprio operato.
Il primo motivo è infondato.
Si è infatti ritenuta legittima e correttamente motivata la cartella di pagamento mediante l’esplicito richiamo alla comunicazione di irregolarità, consegnata a seguito di controllo ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. civile sez. trib., 01/03/2023, n.6207).
Ha altresì precisato il Giudice di legittimità che allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, la cartella soddisfa l’obbligo di motivazione, prescritto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, e dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’ulteriore importo per gli accessori. Nel solo caso in cui la cartella costituisca il primo atto con cui si reclama per la prima volta il pagamento degli interessi, la stessa, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto a tale titolo, la base normativa relativa agli interessi reclamati che può anche essere desunta per implicito dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi richiesti ovvero del tipo di tributo cui accedono, dovendo altresì segnalare la decorrenza dalla quale gli interessi sono dovuti e senza che in ogni caso sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati né delle modalità di calcolo (Cassazione civile sez. un., 14/07/2022, n.22281).
Quanto al secondo ordine di censure si osserva quanto segue.
In primo luogo si rileva che trattandosi di norma agevolativa la sua applicazione deve ritenersi di stretta interpretazione e dunque non suscettibile di interpretazioni estensive o analogiche (Cass. civile sez. VI, 02/09/2022, n. 25982).
Nel caso di specie, trattandosi di misure di sostegno a famiglie e imprese, è stata introdotta un’agevolazione esclusivamente sulle rate di mutuo da corrispondere nel 2009 destinata agli intestatari di mutuo ipotecario sottoscritto entro il 31 ottobre 2008 per l’acquisto, la costruzione o la ristrutturazione dell’abitazione principale. A ciò deve aggiungersi che la norma pone la differenza tra gli importi così ottenuti e quelli derivanti dall’applicazione delle originarie condizioni contrattuali dei mutui a carico dello Stato, comportando quindi l’onere per la banca di attenersi alla lettera della legge e alle disposizioni illustrative impartite dall’amministrazione finanziaria (provvedimento del Direttore dell’Agenzia, prot. n. 32583/2009).
L’Agenzia delle Entrate avrebbe trasmesso alle banche i nominativi dei mutuatari aventi diritto all’agevolazione. In subordine, i soggetti aventi diritto eventualmente non inclusi nel predetto elenco potevano comunque richiedere alla banca mutuante “l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 2 mediante autocertificazione per attestare il possesso dei requisiti. Le banche e gli intermediari provvedono alla conservazione delle autocertificazioni che vanno esibite su richiesta degli organi di controllo“.
Con il predetto provvedimento del Direttore dell’Agenzia veniva disposto che “le banche e gli intermediari provvedono alla conservazione delle autocertificazioni che vanno esibite su richiesta degli organi di controllo”.
Ebbene a richiesta dell’Ufficio la banca non è stata in grado di dimostrare la spettanza del credito di imposta in contestazione ammettendo di non essere in grado di esibire la totalità delle autocertificazioni relative ai mutui che avrebbero concorso a determinare il credito d’imposta.
Alcun rilievo può assegnarsi alla tesi dell’appellante che l’amministrazione sarebbe stata nelle condizioni di eseguire d’ufficio tali controlli dal momento che, oltre a non potersi invocare nella fattispecie il principio processuale della vicinanza della prova, tale onere incombeva specificamente sull’istituto di credito, né poneva in tale modo un onere sproporzionato e irragionevole, avendo proprio la banca la disponibilità di tale documentazione.
D’altro canto, come rilevato nella memoria di controparte, “l’Ufficio, proprio nel rispetto dei principi di trasparenza e collaborazione, nella seconda memoria depositata in primo grado, nell”intento di “valutare l ‘effettiva spettanza dei crediti di imposta oggetto della presente controversia e di conseguenza la possibile definizione della vertenza”, ha ribadito “la piena disponibilità ad esaminare le autocertificazioni che controparte vorrà esibire su un campione definito dall’Ufficio stesso”.
A tale sollecitazione l’appellante ha opposto un rifiuto o, quantomeno, non ha fornito una prova adeguata, come risulta dal corposo contraddittorio instaurato dopo la comunicazione di irregolarità.
D’altro canto, e conclusivamente, la produzione soltanto parziale delle autocertificazioni ha costituito ostacolo alla comprensione delle ragioni per cui la restituzione di parte delle rate di mutuo sia avvenuta nel 2010 per un ammontare ampiamente superiore a quello riferibile ai mutuatari che hanno presentato l’autocertificazione nel gennaio di tale anno. Invero, se, come ammette controparte, le autocertificazioni rilasciate nel gennaio 2010 ed esibite nel corso dei due giudizi (in totale 890) si riferiscono ad un credito complessivo pari a € 114.249,94 che non avrebbe potuto, a dire dell’appellante, essere esposto prima del 2011, non è possibile comprendere in che modo la Banca sia giunta ad esporre un credito di imposta per un ammontare di ben 858.259,00 Euro asseritamente maturato nel 2010.
Segue da quanto esposto che l’appello principale va rigettato.
Come esposto in narrativa, l’Agenzia delle entrate ha proposto anche ricorso incidentale contestando il capo della sentenza che ha annullato le sanzioni irrogate.
La CTP nella sua sentenza, per giungere a tale conclusione, fa riferimento all’art. 10 dello Statuto del contribuente ovvero all’art. 8 del d.lgs. n. 546/1992.
Tali norme presuppongono in realtà l’esistenza di “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria” mentre il quadro normativo della fattispecie in questione, come sopra delineato, non lascia adito a dubbi in merito all’anno di imposta (2009) in cui il debito di imposta per rate di mutuo maturate ne12009 doveva essere indicato.
In proposito la Cassazione è ferma nel ritenere che sussiste l’incertezza normativa oggettiva tributaria allorquando, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, sia impossibile individuare con sicurezza e univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e va tenuta distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (Cass. civile, sez. trib., 31/03/2021, n. 8910; id. sez. trib., 17/05/2017, n.12301 Il che come si è visto non è rinvenibile nel caso all’esame, tenuto anche conto che ad agire è un operatore economico professionale dal quale è esigibile una diligenza rafforzata.
Per tali ragioni l’appello incidentale dell’Agenzia va accolto, annullando per l’effetto il capo della sentenza avversato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo liquidate.
P.Q.M.
La Corte tributaria di 2° grado dell’Emilia Romagna, sez. X, definitivamente pronunciando, respinge l’appello e accoglie l’appello incidentale.
Condanna la C.R.P.P. al pagamento delle spese processuali che si liquidano per entrambi i gradi del giudizio in € 10.000,00, oltre accessori di legge.
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