Corte di Giustizia UE, Quarta Sezione, sentenza depositata il 4 ottobre 2024 nella causa C‑171/23

« Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 287, punto 19 – Regime di franchigia dall’IVA per i piccoli soggetti passivi – Pratica abusiva mediante la costituzione di una nuova società »

sentite le conclusioni dell’avvocata generale, presentate all’udienza del 16 maggio 2024,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1), come modificata dalla direttiva (UE) 2016/856 del Consiglio, del 25 maggio 2016 (GU 2016, L 142, pag. 12) (in prosieguo: la «direttiva IVA»), e del principio del divieto di pratiche abusive.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la UP CAFFE d.o.o., una società croata, e il Ministarstvo financija Republike Hrvatske (Ministero delle Finanze della Repubblica di Croazia), in merito ad una decisione con cui quest’ultimo richiede alla UP CAFFE il pagamento di un importo a titolo di imposta sul valore aggiunto (IVA).

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        L’articolo 285 della direttiva IVA prevede, al suo primo comma, quanto segue:

«Gli Stati membri che non si sono avvalsi della facoltà di cui all’articolo 14 della [seconda] direttiva 67/228/CEE [del Consiglio dell’11 aprile 1967, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Struttura e modalità d’applicazione del sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 1967, 71, pag. 1303)] possono concedere una franchigia d’imposta ai soggetti passivi il cui volume d’affari annuo è al massimo pari alla somma di [EUR] 5 000 o al suo controvalore in moneta nazionale».

4        Ai sensi dell’articolo 287 della direttiva IVA:

«Gli Stati membri che hanno aderito dopo il 1° gennaio 1978 possono applicare una franchigia d’imposta ai soggetti passivi il cui volume d’affari annuo è al massimo uguale al controvalore in moneta nazionale degli importi seguenti al tasso del giorno della loro adesione:

(…)

19)      Croazia: [EUR] 35 000».

5        L’articolo 1 della decisione di esecuzione (UE) 2017/1768 del Consiglio, del 25 settembre 2017, che autorizza la Repubblica di Croazia a introdurre una misura speciale di deroga all’articolo 287 della direttiva [IVA] (GU 2017, L 250, pag. 71), prevede quanto segue:

«In deroga all’articolo 287, punto 19), della direttiva [IVA], la Croazia è autorizzata ad applicare una franchigia d’imposta ai soggetti passivi il cui volume d’affari annuo è al massimo pari al controvalore in valuta nazionale di [EUR] 45 000 al tasso di conversione del giorno della sua adesione».

6        L’articolo 2, secondo comma, della decisione di esecuzione 2017/1768 prevede che detta decisione si applichi dal 1º gennaio 2018 al 31 dicembre 2020, o fino all’entrata in vigore di una direttiva che modifichi gli articoli da 281 a 294 della direttiva IVA, se questa data è anteriore.

 Diritto croato

7        L’articolo 9 dell’Opći porezni zakon (legge tributaria generale, Narodne novine, br. 115/16 et 106/18), dal titolo «Obbligo di buona fede», prevede quanto segue:

«(1)      Le parti di un rapporto di diritto tributario sono tenute ad agire in buona fede.

(2)      Agire in buona fede significa agire con integrità e probità, conformemente alla legge.

Il Ministro delle Finanze stabilisce, mediante regolamento, le modalità dell’azione in buona fede».

8        Ai sensi dell’articolo 11 di tale legge, le circostanze aventi rilievo tributario «sono stabilite in base alla loro sostanza economica».

9        L’articolo 90 dello Zakon o porezu na dodanu vrijednost (legge sull’IVA) (Narodne novine, br. 77/13) è così formulato:

«(1)      Ai sensi della presente legge, per “piccolo soggetto passivo” si intende una persona giuridica che ha la sede statutaria o una stabile organizzazione, o una persona fisica avente il domicilio o la residenza abituale nel territorio nazionale, le cui cessioni di beni o prestazioni di servizi nell’anno civile precedente o in corso non abbiano superato l’importo di 300 000 [kuna croate (HRK)] [circa EUR 39 000].

(2)      Il soggetto passivo di cui al paragrafo 1 del presente articolo è esentato dall’IVA sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, non ha il diritto di far figurare l’IVA sulle fatture emesse e non ha diritto a detrazione dell’imposta assolta a monte».

 Fatti e questione pregiudiziale

10      UP CAFFE, con sede in Croazia, svolge un’attività di ristorazione.

11      Il 17 ottobre 2018 l’amministrazione tributaria croata ha emesso un avviso di accertamento nei confronti della UP CAFFE, per il periodo compreso tra il 1º gennaio 2018 e il 31 luglio 2018, per un importo di IVA pari a HRK 138 234,02 (circa EUR 18 000), unitamente ad un importo di HRK 2 425,12 (circa EUR 320) a titolo di interessi di mora (in prosieguo: l’«avviso di accertamento controverso»).

12      Secondo la decisione di rinvio, l’avviso di accertamento controverso è fondato sui risultati di una verifica fiscale secondo cui la costituzione della UP CAFFE costituirebbe parte di una pianificazione fiscale aggressiva, destinata a mantenere il beneficio del regime di esenzione dall’IVA, previsto all’articolo 90 della legge sull’IVA, di cui beneficiava l’impresa SS-UGO d.o.o., anch’essa avente sede in Croazia, per un’attività di ristorazione che continuerebbe, in realtà, ad essere esercitata da quest’ultima società. Ad avviso dell’amministrazione tributaria croata, infatti, non vi sarebbe stata, di fatto, alcuna interruzione dell’attività della società SS-UGO e la costituzione della nuova società, vale a dire la UP CAFFE, sarebbe in realtà fittizia. L’avviso di accertamento controverso prevedrebbe, di conseguenza, sia l’assoggettamento della UP CAFFE all’IVA dovuta per detta attività, sia il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA dovuta o versata a monte relativa all’attività stessa.

13      La UP CAFFE ha contestato la legittimità dell’avviso di accertamento controverso dinanzi all’Upravni sud u Zagrebu (Tribunale amministrativo di Zagabria, Croazia), giudice del rinvio.

14      Tale giudice precisa che le disposizioni nazionali che consentirebbero di fondare l’assoggettamento all’IVA della UP CAFFE in ragione di un abuso di diritto sono state adottate solo successivamente al periodo d’imposta di cui trattasi nel procedimento principale e che l’Ustav Republike Hrvatske (Costituzione della Repubblica di Croazia) ne vieta l’applicazione retroattiva.

15      Esso si interroga, tuttavia, sulla possibilità, per l’amministrazione tributaria croata, di avvalersi direttamente del principio generale del diritto dell’Unione relativo al divieto di pratiche abusive, per giustificare un siffatto assoggettamento, alla luce dei principi desumibili dalla sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a. (C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455). Esso rileva che le circostanze della causa di cui è investito sono, tuttavia, diverse da quelle di cui alle cause che hanno dato luogo a tale sentenza, in quanto la controversia di cui è investito riguarda non già il diritto alla detrazione, all’esenzione o al rimborso dell’IVA, bensì il beneficio di un regime di franchigia dall’IVA.

16      In tali circostanze, l’Upravni sud u Zagrebu (Tribunale amministrativo di Zagabria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione:

«Se il diritto dell’Unione imponga alle autorità e ai giudici nazionali di accertare l’obbligo di versamento dell’[IVA] (non già di negare il diritto al rimborso dell’imposta) qualora gli elementi oggettivi del caso dimostrino che è stata commessa una frode dell’IVA mediante la costituzione di una nuova società, ovvero mediante l’interruzione della continuità, a fini fiscali, dell’attività di una società precedente, in una situazione in cui il soggetto passivo sappia o [avrebbe dovuto sapere] di partecipare a tale operazione e in cui il diritto nazionale, nel momento in cui si verifica il fatto generatore dell’imposta, non preveda un siffatto accertamento».

 Sulla questione pregiudiziale

17      In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte impone al giudice del rinvio, al fine di consentire un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per la controversia principale, di definire il contesto di fatto e di diritto in cui si collocano le questioni da esso sollevate o, almeno, di spiegare le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate.

18      Nel caso di specie, la questione sollevata non riguarda specificamente la disposizione del diritto dell’Unione che occorre interpretare.

19      Inoltre, neppure l’articolo 285 della direttiva IVA, al quale fanno riferimento tanto la UP CAFFE quanto il governo croato, nelle loro osservazioni scritte, risulta pertinente ai fini del procedimento principale, tenuto conto degli elementi di fatto indicati nella decisione di rinvio.

20      Infatti, poiché le disposizioni del diritto croato che recepiscono la direttiva IVA applicate nel procedimento principale prevedono un tetto massimo per l’applicazione della franchigia dall’IVA pari a HRK 300 000 (circa EUR 39 000), risulta che le disposizioni della direttiva IVA pertinenti sono, a priori, non già l’articolo 285 di tale direttiva, che prevede una soglia di franchigia di EUR 5 000, ma piuttosto, come precisato dalla Commissione europea nelle sue osservazioni scritte, l’articolo 287, punto 19, della direttiva stessa, che prevede la possibilità per la Repubblica di Croazia di applicare un tetto massimo alla franchigia dall’IVA pari a EUR 35 000, che è stata portata a EUR 45 000, durante il periodo d’imposta di cui trattasi nel procedimento principale, dalla decisione di esecuzione 2017/1768.

21      Occorre infine rilevare che, sebbene la formulazione della questione sollevata si riferisca ad un caso di frode, dagli elementi forniti dalla decisione di rinvio risulta che la questione sollevata da tale causa riguarda, in realtà, il principio del divieto di pratiche abusive.

22      Pertanto, tenuto conto della presunzione di rilevanza delle questioni pregiudiziali vertenti sul diritto dell’Unione e del fatto che la Corte dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alla questione che le viene sottoposta (v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2024, Ilva e a., C‑626/22, EU:C:2024:542, punto 47 e giurisprudenza ivi citata), occorre considerare che, con la sua questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se la direttiva IVA, letta alla luce del principio del divieto di pratiche abusive, debba essere interpretata nel senso che, qualora sia dimostrato che la creazione di una società costituisce una pratica abusiva destinata a mantenere il beneficio del regime di franchigia dall’IVA, previsto all’articolo 287, punto 19, di tale direttiva, in favore di un’attività che era stata in precedenza esercitata, con il beneficio di tale regime, da un’altra società, la direttiva in parola esige che la società così creata non possa beneficiare di detto regime, anche in assenza di disposizioni specifiche che sanciscano, nell’ordinamento giuridico nazionale, il divieto di siffatte pratiche abusive.

23      In primo luogo, da una consolidata giurisprudenza della Corte risulta che l’accertamento dell’esistenza di una pratica abusiva nel settore dell’IVA presuppone, per un verso, che l’operazione in questione, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della legislazione nazionale che la traspone, procuri un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni, e, per altro verso, che risulti da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo dell’operazione stessa è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale. Infatti, il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali (v., per analogia, sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 74 e 75).

24      Quanto alle disposizioni della direttiva IVA che possono essere oggetto di un siffatto abuso, occorre includervi, nel caso di specie, il diritto al beneficio del regime di franchigia dall’IVA previsto all’articolo 287, punto 19, della direttiva stessa, dal momento che la Repubblica di Croazia si è avvalsa della facoltà di applicare tale regime.

25      Invero, la Corte ha già dichiarato che, nei limiti in cui un diniego eventuale del beneficio di un diritto derivante dalla direttiva IVA riflette il principio generale secondo il quale nessuno può beneficiare abusivamente o fraudolentemente dei diritti derivanti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, un siffatto diniego spetta, in generale, alle autorità e ai giudici nazionali, qualunque sia il diritto in materia di IVA interessato dall’abuso o dalla frode (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 46).

26      Nel caso di specie, spetta pertanto al giudice del rinvio stabilire se l’amministrazione tributaria croata abbia correttamente constatato che la creazione della UP CAFFE rappresenta una pratica abusiva, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 23 della presente sentenza, destinata a mantenere il beneficio del regime di franchigia dall’IVA, previsto dalle disposizioni nazionali che recepiscono l’articolo 287, punto 19, della direttiva IVA.

27      Occorre precisare, al riguardo, che, per quanto riguarda la condizione relativa all’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria alle finalità perseguite dal regime di franchigia dall’IVA previsto all’articolo 287, punto 19, della direttiva IVA, tale regime consente, mediante le semplificazioni amministrative che esso implica, di rafforzare la creazione, l’attività e la competitività delle piccole imprese nonché di mantenere un rapporto ragionevole tra gli oneri amministrativi connessi alle verifiche fiscali e i ridotti redditi da assoggettare a tassazione. Il suddetto regime è quindi inteso a risparmiare oneri amministrativi di tal genere tanto alle piccole imprese quanto alle amministrazioni finanziarie (sentenza del 9 luglio 2020, AJPF Caraş-Severin e DGRFP Timişoara, C‑716/18, EU:C:2020:540, punto 40).

28      Di conseguenza, se una società è creata al fine di mantenere il beneficio del regime di franchigia dall’IVA, previsto all’articolo 287, punto 19, della direttiva IVA, in favore di un’attività che risulta essere stata precedentemente esercitata da un’altra società, in un momento in cui quest’ultima ha cessato di soddisfare le condizioni necessarie per beneficiare di tale regime, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, la concessione di un siffatto vantaggio fiscale non risponderebbe alle finalità perseguite dal regime stesso.

29      In secondo luogo, quanto alle conseguenze giuridiche da trarsi nel caso in cui si accertasse una pratica abusiva, da una giurisprudenza costante risulta che la lotta contro l’evasione, l’elusione fiscale e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla direttiva IVA (v., per analogia, sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 71, nonché del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 42).

30      Come emerge dal punto 25 della presente sentenza, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del regime di franchigia dall’IVA, previsto all’articolo 287, punto 19, della direttiva IVA, qualora risulti dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che l’applicazione di tale regime è invocata abusivamente.

31      Quanto alla circostanza, richiamata dal giudice del rinvio nella sua questione, secondo cui il diritto nazionale non prevedrebbe disposizioni specifiche relative al divieto dell’abuso di diritto, occorre ricordare, da un lato, che spetta al giudice nazionale interpretare il diritto nazionale quanto più possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva IVA, così da realizzare il risultato perseguito da quest’ultima, circostanza che esige che esso faccia tutto quanto gli compete prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i suoi stessi criteri ermeneutici (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 52).

32      Spetta pertanto al giudice del rinvio accertare se nel diritto croato esistano norme di diritto, quali una disposizione o un principio generale, che vietino l’abuso del diritto, o se esistano altre disposizioni sull’evasione o sull’elusione fiscale che possano essere interpretate conformemente ai criteri del diritto dell’Unione in materia di lotta contro l’evasione fiscale (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 53 nonché giurisprudenza ivi citata).

33      Nel caso di specie, spetta pertanto al giudice del rinvio stabilire se, come suggerisce la Commissione, non sia ipotizzabile, in ogni caso, fondare un siffatto diniego sull’interpretazione conforme al diritto dell’Unione dell’articolo 9 della legge tributaria generale o dell’articolo 11 della medesima.

34      D’altro lato, e in ogni caso, ove si accertasse che il diritto croato non contempla norme del genere che possano essere oggetto di interpretazione conforme, non se ne potrebbe dedurre che alle autorità e ai giudici nazionali sia impedito di rispettare i criteri della direttiva IVA e, così, di negare il vantaggio derivante da un diritto previsto dalla direttiva stessa nell’ipotesi di una pratica abusiva (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 54).

35      Infatti, sebbene sia vero che, secondo una giurisprudenza costante, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale dallo Stato membro nei suoi confronti, il diniego del beneficio di un diritto in conseguenza di una pratica abusiva non rientra nell’ipotesi prevista da tale giurisprudenza (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 55).

36      Un siffatto diniego risponde al principio, rammentato al punto 25 della presente sentenza, secondo il quale nessuno può avvalersi abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, la cui applicazione non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 56, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

37      Così, nei limiti in cui fatti abusivi non possono fondare un diritto previsto dall’ordinamento giuridico dell’Unione, il diniego di un vantaggio previsto, nel caso di specie, dalla direttiva IVA non equivale a imporre un obbligo a carico del singolo interessato in forza di tale direttiva, ma non è altro che la mera conseguenza della constatazione secondo la quale le condizioni oggettive richieste ai fini dell’ottenimento del vantaggio che si vuole conseguire, previste da tale direttiva in relazione a detto diritto, non sono, in realtà, soddisfatte e che, pertanto, un tale diniego non necessita di una base giuridica specifica (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 57, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

38      Pertanto, si tratta piuttosto, in tale ipotesi, dell’impossibilità per il soggetto passivo di avvalersi di un diritto previsto dalla direttiva IVA, di cui i criteri obiettivi per la concessione non sono soddisfatti a causa di una pratica abusiva concernente l’operazione realizzata dallo stesso soggetto passivo (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 58). Ne consegue che, in caso di pratica abusiva destinata ad ottenere il beneficio del regime di franchigia dall’IVA previsto all’articolo 287, punto 19, della direttiva IVA, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negarne il beneficio, anche in assenza di disposizioni nazionali specifiche in tal senso (v., per analogia, sentenze del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti e a., C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455, punto 62, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 33).

39      Inoltre, la sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed, (C‑321/05, EU:C:2007:408), invocata dalla UP CAFFE per far valere, ciononostante, la necessità di disposizioni nazionali specifiche relative all’abuso di diritto per fondare il diniego di concessione del regime di franchigia dall’IVA, non inficia tale constatazione. Infatti, ai punti 38 e 48 di tale sentenza la Corte si è pronunciata non già sui presupposti applicativi del principio del divieto di pratiche abusive, bensì su quelli di una disposizione specifica contenuta in una direttiva e che consente agli Stati membri di negare l’esenzione prevista dalla direttiva stessa, qualora l’operazione interessata abbia come obiettivo principale, o come uno dei suoi obiettivi principali, la frode o l’evasione fiscale. Peraltro, sebbene la Corte, al punto 48 di detta sentenza, abbia posto l’accento sull’esistenza di norme di diritto interno riguardanti l’abuso di diritto, la frode o l’evasione fiscale, che possono essere oggetto di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, tale giurisprudenza riguarda detta disposizione di diritto derivato e non è quindi applicabile al principio generale del divieto delle pratiche abusive (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 38).

40      Si deve infine aggiungere che, in caso di pratiche abusive, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che costituiscono tale pratica abusiva e che tale ridefinizione non deve tuttavia eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare le frodi (v., in tal senso, sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 92, 94 e 98; del 22 dicembre 2010, Weald Leasing, C‑103/09, EU:C:2010:804, punti 48 e 52, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 46).

41      La Corte ha altresì precisato che l’applicazione del principio del divieto di pratiche abusive in materia di IVA implica, innanzitutto, la determinazione della situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che hanno fondato tale pratica e, successivamente, la valutazione di tale situazione «ridefinita» alla luce delle disposizioni pertinenti del diritto nazionale e della direttiva IVA (v., per analogia, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a., C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 47).

42      Nel caso di specie detti principi implicano, quantomeno, che la società la cui creazione rappresenta una pratica abusiva sia assoggettata all’IVA che sarebbe stata applicabile in assenza di un siffatto abuso, ed essa beneficia peraltro, ove le condizioni siano soddisfatte, del diritto alla detrazione dell’IVA dovuta o assolta a monte relativa all’attività da essa esercitata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

43      Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che la direttiva IVA, letta alla luce del principio del divieto di pratiche abusive, deve essere interpretata nel senso che, qualora sia dimostrato che la creazione di una società costituisce una pratica abusiva destinata a mantenere il beneficio del regime di franchigia dall’IVA, previsto all’articolo 287, punto 19, di tale direttiva, in favore di un’attività che era stata in precedenza esercitata, con il beneficio di tale regime, da un’altra società, la direttiva in parola esige che la società così creata non possa beneficiare di detto regime, anche in assenza di disposizioni specifiche che sanciscano il divieto di siffatte pratiche abusive nell’ordinamento giuridico nazionale.

 Sulle spese

44      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva (UE) 2016/856 del Consiglio, del 25 maggio 2016, letta alla luce del principio del divieto di pratiche abusive, deve essere interpretata nel senso che, qualora sia dimostrato che la creazione di una società costituisce una pratica abusiva destinata a mantenere il beneficio del regime di franchigia dall’imposta sul valore aggiunto, previsto all’articolo 287, punto 19, della medesima direttiva 2006/112, in favore di un’attività che era stata in precedenza esercitata, con il beneficio di tale regime, da un’altra società, la citata direttiva 2006/112 esige che la società così creata non possa beneficiare di detto regime, anche in assenza di disposizioni specifiche che sanciscano il divieto di siffatte pratiche abusive nell’ordinamento giuridico nazionale.