CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 12 aprile 2016, n. C-561/15
LAVORO – ACCORDO DI ASSOCIAZIONE CEE TURCHIA – RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE – RESTRITTIVE IN MATERIA DI RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE PER I FAMILIARI NON ECONOMICAMENTE ATTIVI DI CITTADINI TURCHI
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di Associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»), allegata all’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e che è stato concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963 (GU 1964, 217, pag. 3685; in prosieguo: l’«Accordo di associazione»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia pendente tra il sig. G. e l’Integrationsministeriet (Ministero dell’Integrazione) in ordine al rigetto, da parte di quest’ultimo, della sua domanda di rilascio di un permesso di soggiorno in Danimarca per ricongiungimento familiare.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
L’Accordo di associazione
3 Ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1, l’Accordo di associazione ha lo scopo di promuovere il rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, tenendo pienamente conto della necessità di assicurare un più rapido sviluppo dell’economia turca ed il miglioramento del livello di occupazione e del tenore di vita del popolo turco.
4 Ai sensi dell’articolo 12 dell’Accordo di associazione, «le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli [39 CE], [40 CE] e [41 CE] per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori» e, ai sensi dell’articolo 13 del medesimo accordo, dette parti «convengono di ispirarsi agli articoli [da 43 CE] a [46 CE] incluso e all’articolo [48 CE] per eliminare tra loro le restrizioni alla libertà di stabilimento».
La decisione n. 1/80
5 L’articolo 13 della decisione n. 1/80 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione».
6 Ai sensi dell’articolo 14 della decisione n. 1/80:
«1. Le disposizioni della presente sezione vengono applicate fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
2. Esse non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti dalle legislazioni nazionali o dagli accordi bilaterali esistenti tra la Turchia e gli Stati membri della Comunità, qualora questi contemplino, a favore dei loro cittadini, un regime più favorevole».
Il protocollo addizionale
7 Il protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità dal regolamento (CEE) n. 2760/72 del Consiglio, del 19 dicembre 1972 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «protocollo addizionale»), costituisce parte integrante dell’Accordo di associazione, come risulta dal suo articolo 62.
8 L’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale così stabilisce:
«Le Parti Contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi».
Il diritto danese
9 La legge sugli stranieri (Udlændingeloven), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: la «legge danese sugli stranieri»), prevede al suo articolo 9, paragrafo 1, punto 2, lettera d), che, su domanda, possa essere rilasciato un permesso di soggiorno al figlio di età inferiore a 15 anni, non coniugato, di una persona residente in Danimarca o del suo coniuge, se tale figlio abita con la persona che ne ha la tutela legale e non abbia fondato una famiglia autonoma basata su una relazione stabile, e quando la persona residente in Danimarca dispone di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato oppure di un permesso di soggiorno che consente il soggiorno permanente.
10 L’articolo 9, paragrafo 13, della legge danese sugli stranieri, introdotto dalla legge n. 427, del 9 giugno 2004, relativa alla modifica della legge danese sugli stranieri e della legge sull’integrazione, dispone quanto segue:
«Nei casi in cui il richiedente e uno dei suoi genitori risiedano nel paese di origine o in un altro paese, è possibile rilasciare il permesso di soggiorno in virtù del paragrafo 1, punto 2 [dell’articolo 9 di tale legge] solo qualora il richiedente abbia o possa avere con la Danimarca un legame sufficiente a consentire un’integrazione riuscita. Tuttavia, ciò non si applica se la domanda è presentata entro due anni dal soddisfacimento, da parte della persona residente nel territorio danese, delle condizioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, punto 2, [della suddetta legge], o se ragioni assai specifiche, in particolare l’unità familiare, depongano in senso contrario».
11 I lavori preparatori all’articolo 9, paragrafo 13, della legge danese sugli stranieri menzionano che l’obiettivo di tale disposizione è quello di impedire che i genitori scelgano deliberatamente di lasciare il proprio figlio nello Stato d’origine con uno dei suoi due genitori finché non abbia quasi raggiunto l’età adulta, sebbene egli avesse potuto ottenere un permesso di soggiorno in Danimarca a una data anteriore, in modo che questi possa ricevere un’educazione conforme alla cultura dello Stato d’origine e non sia influenzato durante la sua infanzia dalle norme e dai valori danesi.
12 Dalla decisione di rinvio emerge che, secondo la prassi descritta nella nota del Ministero dell’Integrazione del 2 luglio 2007, la capacità del minore di conseguire un’integrazione riuscita è oggetto di una valutazione discrezionale nell’ambito della quale si tiene conto in particolare di parametri quali la durata e la natura del soggiorno del minore considerato nei rispettivi Stati e, in particolare, il suo eventuale precedente soggiorno in Danimarca, lo Stato nel quale egli ha passato la maggior parte della sua infanzia e della sua adolescenza, il luogo in cui è andato a scuola, se il minore in questione parli la lingua danese, se parli la lingua dello Stato di origine e se durante la sua infanzia sia stato influenzato da valori e da norme danesi in misura sufficiente affinché esista o possa esistere un legame sufficiente con la Danimarca che gli consenta un’integrazione riuscita in tale Stato membro. Inoltre, rispetto agli altri elementi, una certa importanza è attribuita alla questione se il genitore che risiede in Danimarca sia ben integrato e abbia uno stretto legame con la società danese.
13 Dalla decisione di rinvio emerge inoltre che, in alcuni casi eccezionali, esistono motivi assai specifici in presenza dei quali non è richiesto il requisito relativo all’esistenza di un legame sufficiente con lo Stato membro considerato tale da permettere una buona integrazione. È l’ipotesi che ricorre, in particolare, nel caso del diniego del ricongiungimento familiare contrario agli impegni internazionali assunti dal Regno di Danimarca o all’interesse superiore del minore in questione ai sensi della convenzione di New York sui diritti dell’infanzia, firmata il 20 novembre 1989 e ratificata da tutti gli Stati membri, oppure quando, a causa di una malattia o di un handicap gravi, non sarebbe giustificabile, sotto il profilo umanitario, rinviare il genitore residente in Danimarca in uno Stato che non offre possibilità di accoglienza e di trattamento, oppure quando il genitore che risiede nello Stato di origine sia incapace di occuparsi del figlio in questione.
14 Il giudice del rinvio precisa che l’articolo 9, paragrafo 13, della legge danese sugli stranieri si applica soltanto alle domande di ricongiungimento familiare tra cittadini di Stati terzi residenti in Danimarca e i loro familiari, e che, alla data di entrata in vigore della decisione n. 1/80, non trovava applicazione alcuna norma come quella dell’articolo 9, paragrafo 13, della legge danese sugli stranieri.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
15 Il sig. G., ricorrente nel procedimento principale, è un cittadino turco nato il 17 agosto 1991. Suo padre, anch’egli cittadino turco, è arrivato in Danimarca il 14 dicembre 1997 e possiede, dal 21 aprile 2001, un permesso di soggiorno a tempo indeterminato in tale Stato membro.
16 I genitori del sig. G. hanno divorziato con sentenza del 30 dicembre 1997 pronunciata dal Tribunale di Haymana (Turchia). Benché il padre del ricorrente nel procedimento principale abbia ottenuto la tutela legale sia del sig. G. sia dei due fratelli maggiori di quest’ultimo, dopo il divorzio, il ricorrente nel procedimento principale ha continuato a vivere in Turchia presso i nonni.
17 I due fratelli maggiori del sig. G. sono titolari di un permesso di soggiorno in Danimarca dal maggio 2003.
18 Il 5 gennaio 2005 il ricorrente nel procedimento principale ha richiesto per la prima volta un permesso di soggiorno in Danimarca. A tale data suo padre era lavoratore dipendente in tale Stato membro.
19 Il 15 agosto 2006 l’Ufficio danese per l’immigrazione (Udlændingeservice) ha respinto la domanda di permesso di soggiorno presentata dal sig. G., sulla base dell’articolo 9, paragrafo 13, della legge danese sugli stranieri, con la motivazione che l’interessato non aveva o non poteva avere un legame con la Danimarca sufficiente a consentirgli un’integrazione riuscita in tale Stato membro. Tale decisione è stata confermata dal Ministero dell’Integrazione il 18 dicembre 2006.
20 In particolare, nella sua decisione del 18 dicembre 2006, il Ministero dell’Integrazione, tenendo conto in particolare del fatto che il sig. G. è nato in Turchia dove ha trascorso tutta la sua infanzia e dove ha frequentato la scuola fino a tale data, che non si è mai recato in Danimarca, che parla unicamente il turco, che non presenta alcun elemento di legame di nessun tipo con la società danese e che suo padre ha visto quest’ultimo solo in due occasioni nei due anni precedenti, ha concluso che il ricorrente nel procedimento principale non è stato influenzato durante la sua giovinezza da valori e norme danesi a un livello tale da far sì che egli abbia o possa avere un legame con la Danimarca sufficiente a consentirgli un’integrazione riuscita.
21 Del pari, il Ministero dell’Integrazione ha ritenuto che nemmeno il padre del sig. G. potesse essere considerato così ben integrato né avesse, egli stesso, un legame sufficientemente saldo con la società danese che consenta di giungere nei confronti del ricorrente nel procedimento principale a una conclusione diversa da quella illustrata al punto precedente.
22 Infine, il Ministero dell’Integrazione ha rilevato che non vi è alcuna ragione specifica, in particolare l’unità familiare, che deponga a favore del rilascio di un permesso di soggiorno al sig. G., nonostante il fatto che quest’ultimo non abbia o non possa avere un legame con la Danimarca sufficiente a consentirgli un’integrazione riuscita, e che non vi sono nemmeno seri ostacoli alla possibilità per il padre del ricorrente nel procedimento principale di recarsi in Turchia al fine di poter condurre una vita familiare con quest’ultimo, oppure al fine di condurre una vita familiare nelle stesse condizioni esistenti dopo il suo ingresso volontario in Danimarca nel 1997.
23 Il 17 settembre 2007 il Ministero dell’Integrazione ha rifiutato di riesaminare la domanda di permesso di soggiorno presentata dal sig. G..
24 Il ricorrente nel procedimento principale ha adito il Glostrup Ret (Tribunale di Glostrup, Danimarca) che, con sentenza del 9 dicembre 2011, ha confermato la decisione del Ministero dell’Integrazione di negare il permesso di soggiorno richiesto.
25 Il sig. G. ha impugnato tale sentenza dinanzi all’Østre Landsret (Corte d’appello della regione Est, Danimarca).
26 L’Østre Landsret (Corte d’appello della regione Est) rileva che, nella sentenza D. (C-138/13, EU:C:2014:2066), la Corte ha riconosciuto che la clausola di «standstill» riguardante la libertà di stabilimento, di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, deve essere interpretata nel senso che essa osta all’introduzione da parte di uno Stato membro di nuove restrizioni riguardo alla possibilità di ottenere il ricongiungimento familiare con un coniuge originario della Turchia.
27 Tuttavia, anzitutto l’Østre Landsret (Corte d’appello della regione Est) esprime dubbi riguardo alla conformità della citata sentenza sia alla precedente giurisprudenza della Corte sulle clausole di «standstill» sia al contesto storico e alla finalità dell’Accordo di associazione.
28 Il giudice del rinvio si chiede poi se il principio giuridico risultante dalla sentenza D. (C-138/13, EU:C:2014:2066) con riferimento alla clausola di «standstill» cui si riferisce l’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, si applichi anche per quanto riguarda la disposizione contenuta all’articolo 13 della decisione n. 1/80, tenuto conto della diversa formulazione di tali disposizioni.
29 Infine, il suddetto giudice, partendo dalla constatazione che, nelle sentenze D. (C-225/12, EU:C:2013:725) e D. (C?138/13, EU:C:2014:2066), la Corte ha dichiarato che nuove restrizioni rientranti nell’ambito di una clausola di «standstill» possono essere ammesse qualora la restrizione sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, sia idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo legittimo perseguito e non vada al di là di quanto necessario per ottenerlo, si interroga sulla conformità di una tale interpretazione alla luce della sentenza D. e a. (C-256/11, EU:C:2011:734), nonché su quali siano gli orientamenti da seguire per procedere all’esame della restrizione e alla valutazione della proporzionalità.
30 È in tale contesto che l’Østre Landsret (Corte d’appello della regione Est) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la regola di “standstill” di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e/o la regola di “standstill” di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale debbano essere interpretate nel senso che nuove condizioni restrittive per l’accesso al ricongiungimento familiare per familiari non economicamente attivi, segnatamente i figli minori, di cittadini turchi economicamente attivi che risiedono e sono titolari di un permesso di soggiorno in uno Stato membro, rientrano nell’ambito dell’obbligo di “standstill”, tenuto conto:
a) dell’interpretazione delle regole di “standstill” data dalla Corte nelle sentenze D.(C-325/05, EU:C:2007:442), Z. (C-371/08, EU:C:2011:809), D.(C-451/11, EU:C:2012:504), nonché D. (C-221/11, EU:C:2013:583),
b) dell’obiettivo e del contenuto dell’Accordo di associazione come interpretati nelle sentenze Z. (C-371/08, EU:C:2011:809) e D. (C-221/11, EU:C:2013:583), e anche tenuto conto:
– della circostanza che l’Accordo di associazione e i protocolli e le decisioni ad esso allegati non contengono disposizioni sul ricongiungimento familiare, e
– della circostanza che il ricongiungimento familiare nell’allora Comunità europea e attuale Unione europea è sempre stato disciplinato da atti di diritto derivato, attualmente dalla direttiva 2004/38/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77)].
2) Nel rispondere alla prima questione, si chiede alla Corte di indicare se un eventuale diritto derivato al ricongiungimento familiare per familiari di cittadini turchi economicamente attivi titolari di un permesso di soggiorno e residenti in uno Stato membro valga per i familiari dei lavoratori turchi ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 oppure se esso si applichi solo ai familiari di lavoratori autonomi turchi ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale.
3) In caso di risposta affermativa alla prima e alla seconda questione, si chiede alla Corte di indicare se la regola di “standstill” di cui all’articolo 13, paragrafo 1, della decisione n. 1/80 debba essere interpretata nel senso che nuove restrizioni, “giustificat[e] da un motivo imperativo di interesse generale, (…) idone[e] a garantire il raggiungimento dell’obiettivo [legittimo] perseguito e [che] non vada[no] al di là di quanto necessario per ottenerlo” (oltre a quanto stabilito nell’articolo 14 della decisione n. 1/80) sono legittime.
4) In caso di risposta affermativa alla terza questione, si chiede in particolare alla Corte di indicare:
a) quali orientamenti debbano essere seguiti per procedere all’esame della restrizione e alla valutazione della proporzionalità. Si chiede alla Corte di indicare se si debbano seguire gli stessi principi elaborati nella sua giurisprudenza sul ricongiungimento familiare in relazione alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, che si basa sulla direttiva 2004/38 e sulle disposizioni del TFUE, o se si debba procedere a una valutazione diversa;
b) qualora si debba procedere a una valutazione diversa da quella derivante dalla giurisprudenza della Corte sul ricongiungimento familiare in relazione alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, si chiede alla Corte di indicare se occorra fare riferimento alla valutazione della proporzionalità effettuata nell’ambito dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, sul diritto al rispetto della vita familiare nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – e, in caso contrario, quali siano i principi da applicare.
c) a prescindere dal metodo di valutazione da impiegare, se una norma quale l’articolo 9, paragrafo 16, della legge danese sugli stranieri, come modificata (già articolo 9, paragrafo 13) – che prevede, ai fini del ricongiungimento familiare tra un cittadino di un paese terzo titolare di un permesso di soggiorno e residente in Danimarca e il suo figlio minore, laddove il figlio e l’altro genitore risiedono nel paese di origine o in un altro paese, la condizione che il figlio abbia instaurato o abbia la possibilità di instaurare con la Danimarca un legame sufficiente a consentire un’integrazione riuscita nel paese – possa essere considerata “giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, (…) idoneo a garantire il raggiungimento dell’obiettivo [legittimo] perseguito e non [va] al di là di quanto necessario per ottenerlo”».
31 Con lettera depositata presso la cancelleria della Corte il 30 marzo 2015, il governo danese, in virtù dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha chiesto alla Corte di riunirsi in grande sezione.
Sulle questioni pregiudiziali
32 Con le sue questioni che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una misura nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che subordina il ricongiungimento familiare tra un lavoratore turco residente legalmente nello Stato membro in questione e suo figlio minore alla condizione che quest’ultimo abbia instaurato o abbia la possibilità di instaurare con tale Stato membro un legame sufficiente a consentirgli un’integrazione riuscita, laddove il figlio in questione e l’altro genitore risiedono nello Stato di origine o in un altro Stato e, che la domanda di ricongiungimento familiare sia presentata dopo due anni dalla data in cui il genitore residente nello Stato membro di cui trattasi ha ottenuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato oppure un permesso di soggiorno che consente il soggiorno permanente, costituisca una «nuova restrizione», ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 e/o dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale e, in caso di risposta affermativa, se una tale restrizione possa tuttavia essere giustificata.
33 Secondo una costante giurisprudenza, le clausole di «standstill» di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale proibiscono in generale l’introduzione di qualsiasi nuova misura interna che abbia per oggetto o per effetto di assoggettare l’esercizio da parte di un cittadino turco di una libertà economica nel territorio dello Stato membro considerato a condizioni più restrittive di quelle che erano ad egli applicabili al momento dell’entrata in vigore della suddetta decisione o del suddetto protocollo nei confronti di tale Stato membro (v., in tal senso, sentenze S., C-37/98, EU:C:2000:224, punto 69, nonché S., C-242/06, EU:C:2009:554, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
34 Nella fattispecie, risulta dalla decisione di rinvio che la disposizione nazionale oggetto del procedimento principale, ossia l’articolo 9, paragrafo 13, della legge danese sugli stranieri, è stata introdotta dopo la data di entrata in vigore in Danimarca della decisione n. 1/80 e del protocollo addizionale, e che la suddetta disposizione comporta un inasprimento delle condizioni di ammissione, in materia di ricongiungimento familiare, precedentemente esistenti, per i figli minori di lavoratori cittadini di uno Stato terzo, con la conseguenza di rendere più difficile detto ricongiungimento.
35 Peraltro, è pacifico che il sig. G. intende entrare in Danimarca per ivi raggiungere suo padre. È altresì pacifico che, alla data in cui il sig. G. ha presentato la sua domanda di soggiorno, suo padre esercitava un’attività lavorativa subordinata in Danimarca.
36 In tale contesto, è il padre del ricorrente nel procedimento principale colui la cui situazione si colloca nell’ambito di una libertà economica, nella fattispecie la libera circolazione dei lavoratori, e che, in qualità di lavoratore regolarmente inserito nel mercato del lavoro in Danimarca, rientra, dunque, nell’ambito di applicazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 (v., in tal senso, sentenze S., C-37/98, EU:C:2000:224, punto 58, nonché A. e a., C-317/01 e C-369/01, EU:C:2003:572, punti da 75 a 84).
37 Di conseguenza, è alla sola situazione del lavoratore turco residente nello Stato membro considerato, nel caso di specie, il padre del sig. G., che occorre far riferimento per stabilire se occorra, in base alla clausola di «standstill» di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80, disapplicare una misura nazionale come quella oggetto del procedimento principale, nel caso in cui si constati che quest’ultima è idonea a incidere sulla sua libertà di esercitare un’attività lavorativa subordinata in tale Stato membro.
38 Pertanto, occorre esaminare se l’introduzione di una nuova normativa che inasprisce le condizioni della prima ammissione dei figli minori di cittadini turchi residenti nello Stato membro considerato in qualità di lavoratori subordinati, quali il padre del sig. G., rispetto a quelle applicabili alla data di entrata in vigore della decisione n. 1/80 in tale Stato membro, possa costituire una «nuova restrizione», ai sensi dell’articolo 13 di tale decisione, all’esercizio da parte dei suddetti cittadini turchi della libera circolazione dei lavoratori in detto Stato membro.
39 Al riguardo, si deve rilevare che la Corte ha già dichiarato che una normativa che rende più difficile il ricongiungimento familiare inasprendo le condizioni della prima ammissione, sul territorio dello Stato membro interessato, dei coniugi dei cittadini turchi rispetto a quelle applicabili al momento dell’entrata in vigore del protocollo addizionale, costituisce una «nuova restrizione», ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, all’esercizio della libertà di stabilimento da parte di detti cittadini turchi (sentenza D., C-138/13, EU:C:2014:2066, punto 36).
40 Ciò in quanto la decisione di un cittadino turco di stabilirsi in uno Stato membro per ivi esercitare un’attività economica in modo stabile può essere influenzata negativamente qualora la normativa di tale Stato membro renda difficile o impossibile il ricongiungimento familiare, di modo che detto cittadino può eventualmente trovarsi costretto a scegliere tra la sua attività nello Stato membro interessato e la propria vita di famiglia in Turchia (v., in tal senso, sentenza D., C.138/13, EU:C:2014:2066, punto 35).
41 Peraltro, Corte ha dichiarato che, poiché la clausola di «standstill» di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 è una disposizione avente la stessa natura di quella contenuta nell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale e le due clausole hanno un’identica finalità, l’interpretazione di tale articolo 41, paragrafo 1, deve valere anche per quanto riguarda l’obbligo di status quo che costituisce il fondamento del summenzionato articolo 13 in materia di libera circolazione dei lavoratori (sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-92/07, EU:C:2010:228, punto 48).
42 Ne consegue che l’interpretazione accolta dalla Corte al punto 36 della sentenza D. (C-138/13, EU:C:2014:2066) è trasponibile al procedimento principale.
43 Poiché il giudice del rinvio e il governo danese nutrono dubbi in ordine alla compatibilità dell’interpretazione emersa dalla sentenza D. (C-138/13, EU:C:2014:2066) con l’obiettivo esclusivamente economico dell’Accordo di associazione, occorre ricordare che, come risulta dal punto 40 della presente sentenza, ciò che ha indotto la Corte, nella sentenza D., a concludere che la normativa oggetto del procedimento principale all’origine della suddetta sentenza rientrava nell’ambito di applicazione della clausola di «standstill» di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale era l’esistenza di un nesso tra l’esercizio da parte di un cittadino turco delle libertà economiche in uno Stato membro e il ricongiungimento familiare, nel senso che le condizioni di ingresso e di soggiorno dei familiari del suddetto cittadino per ricongiungimento familiare potevano incidere sull’esercizio di tali libertà da parte di quest’ultimo.
44 Pertanto, solo qualora una normativa nazionale che inasprisce le condizioni del ricongiungimento familiare, come quella oggetto del procedimento principale, sia tale da incidere sull’esercizio da parte dei lavoratori turchi, come il padre del sig. G., di un’attività economica nel territorio dello Stato membro interessato, occorre considerare che una normativa siffatta rientra nell’ambito di applicazione della clausola di «standstill» di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 27 delle sue conclusioni.
45 Pertanto, le clausole di «standstill» di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, come interpretate dalla Corte, non prevedono affatto il riconoscimento di un diritto al ricongiungimento familiare né un diritto di stabilimento e di soggiorno per i familiari dei lavoratori turchi.
46 Quanto al ricongiungimento familiare, come risulta dalla sentenza D. (C-138/13, EU:C:2014:2066), la giurisprudenza della Corte non attribuisce alla clausola di «standstill» alcun effetto diverso da quello di vietare che il ricongiungimento familiare sia assoggettato a nuove condizioni che sarebbero tali da compromettere l’esercizio da parte di un cittadino turco delle libertà economiche in uno Stato membro.
47 Infine un nesso come quello descritto al punto 43 della presente sentenza non esisteva affatto nella causa che ha dato luogo alla sentenza D. (C-221/11, EU:C:2013:583) a cui fa specifico riferimento il governo danese.
48 Infatti, tale sentenza riguardava una cittadina turca che intendeva far valere la clausola di «standstill» di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, all’atto del suo ingresso nello Stato membro considerato, per il fatto che, una volta arrivata nel territorio di tale Stato membro, sarebbe stata fruitrice di servizi. Poiché la Corte ha tuttavia dichiarato che la nozione di «libera prestazione di servizi» contenuta in tale disposizione non includeva la libera prestazione di servizi passiva (v., in tal senso, sentenza D., C-221/11, EU:C:2013:583, punti 60 e 63), il nesso tra l’ingresso e il soggiorno della suddetta cittadina nello Stato membro in questione e l’esercizio di una libertà economica era assente e impediva, pertanto, a quest’ultima di far valere la suddetta clausola di «standstill».
49 L’interpretazione che emerge dalla sentenza D. (C-138/13, EU:C:2014:2066) è inoltre coerente con quella effettuata dalla Corte, in merito all’articolo 7, primo comma, della decisione n. 1/80, secondo la quale l’obiettivo di tale altra disposizione della suddetta decisione consiste nel favorire il ricongiungimento familiare nello Stato membro ospitante al fine di facilitare l’occupazione e il soggiorno del lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro nel suddetto Stato membro (v. sentenze K., C-351/95, EU:C:1997:205, punti da 34 a 36; E., C-65/98, EU:C:2000:336, punto 26, e A., C-275/02, EU:C:2004:570, punto 41).
50 Di conseguenza, si deve concludere che una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che rende più difficile il ricongiungimento familiare inasprendo le condizioni della prima ammissione, sul territorio dello Stato membro interessato, dei figli minori di cittadini turchi residenti in tale Stato membro in qualità di lavoratori, rispetto a quelle applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, e che, pertanto, è idonea a compromettere l’esercizio di un’attività economica da parte di tali cittadini nel suddetto territorio, costituisce una «nuova restrizione», ai sensi dell’articolo 13 di tale decisione, all’esercizio da parte dei suddetti cittadini turchi della libera circolazione dei lavoratori in tale Stato membro.
51 Infine, occorre ricordare che una restrizione che avrebbe come oggetto o effetto quello di assoggettare l’esercizio, da parte di un cittadino turco, della libertà di circolazione dei lavoratori sul territorio nazionale a condizioni più restrittive di quelle applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, è vietata a meno che essa rientri nelle limitazioni di cui all’articolo 14 di tale decisione o sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, sia idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo legittimo perseguito e non vada al di là di quanto necessario per ottenerlo (sentenza D., C-225/12, EU:C:2013:725, punto 40).
52 Infatti, ai sensi dell’articolo 12 dell’Accordo di associazione, le parti contraenti di quest’ultimo, conformemente allo scopo esclusivamente economico che costituisce il fondamento dell’associazione CEE-Turchia, hanno convenuto di ispirarsi alle disposizioni del diritto primario dell’Unione relative alla libera circolazione dei lavoratori, cosicché i principi riconosciuti nell’ambito delle suddette disposizioni devono essere trasposti, nei limiti del possibile, ai cittadini turchi che beneficiano di diritti in base a tale Accordo di associazione (v., in tal senso, sentenza Ziebell, C?371/08, EU:C:2011:809, punti 58 e da 65 a 68).
53 Occorre pertanto verificare se la disposizione nazionale controversa nel procedimento principale sia legittima in quanto soddisfa i criteri esposti al punto precedente.
54 A tal riguardo, si deve osservare che la condizione di cui all’articolo 9, paragrafo 13, della legge danese sugli stranieri non è riconducibile all’articolo 14 della decisione n. 1/80. Il governo danese sostiene, di contro, che tale condizione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, ossia garantire un’integrazione riuscita, e che essa è proporzionata poiché tale disposizione è, al contempo, idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo legittimo perseguito e non va al di là di quanto necessario per ottenerlo.
55 Per quanto riguarda la questione se l’obiettivo di raggiungere un’integrazione riuscita possa costituire un tale motivo imperativo, occorre ricordare l’importanza riconosciuta, nell’ambito del diritto dell’Unione, alle misure di integrazione, come risulta dall’articolo 79, paragrafo 4, TFUE, il quale fa riferimento alla promozione dell’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri ospitanti come un’azione degli Stati membri da incentivare e sostenere, e di varie direttive, quali le direttive 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU L 251, pag. 12), e 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), le quali prevedono che l’integrazione dei cittadini di Stati terzi costituisca un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale dell’Unione enunciato nel Trattato.
56 Ciò premesso, l’obiettivo consistente nel garantire un’integrazione riuscita dei cittadini di Stati terzi nello Stato membro interessato, fatto valere dal governo danese, può costituire un motivo imperativo di interesse generale, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 35 delle sue conclusioni.
57 Per quanto concerne la proporzionalità della disposizione nazionale oggetto del procedimento principale, dal momento che una siffatta disposizione costituisce una restrizione alla libertà di circolazione dei lavoratori turchi, come constatato al punto 50 della presente sentenza, si deve rilevare che una tale valutazione deve essere effettuata alla luce di tale libertà, della quale godono i cittadini turchi, conformemente alle disposizioni che disciplinano l’associazione CEE-Turchia, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 37 e 38 delle sue conclusioni.
58 Risulta dalla decisione di rinvio che la disposizione nazionale oggetto del procedimento principale implica che, per poter beneficiare del ricongiungimento familiare in circostanze come quelle in cui il figlio in questione e uno dei suoi genitori risiedono nello Stato di origine o in un altro Stato, è richiesto, in linea di principio, che tale figlio abbia o possa avere un legame con la Danimarca sufficiente a consentirgli un’integrazione riuscita in tale Stato membro.
59 La suddetta condizione si applica tuttavia soltanto se la domanda è presentata dopo due anni dalla data in cui il genitore residente nel territorio danese ha ottenuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato oppure un permesso di soggiorno che consente il soggiorno permanente.
60 Dal momento che il requisito consistente nel fornire la prova dell’esistenza di un legame sufficiente con la Danimarca è diretto a garantire ai minori interessati un’integrazione riuscita in tale Stato membro, come sostenuto dal governo danese, si deve considerare che la normativa nazionale oggetto del procedimento principale si basa sulla presunzione secondo la quale i minori per i quali la domanda di ricongiungimento familiare non è stata presentata entro il termine impartito si trovano in circostanze tali che la loro integrazione in Danimarca è garantita solo se soddisfano un tale requisito.
61 Orbene, risulta che tale requisito, asseritamente giustificato dall’obiettivo di consentire l’integrazione dei figli minori interessati in Danimarca, diviene tuttavia applicabile in funzione non già della situazione personale dei minori che può incidere negativamente sulla loro integrazione nello Stato membro in questione, quali la loro età o i loro legami con tale Stato membro, bensì di un criterio che, prima facie, risulta non riferibile alle possibilità di conseguire una tale integrazione, ossia il periodo di tempo intercorso tra il rilascio al genitore in questione di un permesso di soggiorno definitivo in Danimarca e la data della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare.
62 A tal riguardo, è difficile comprendere come la presentazione della domanda di ricongiungimento familiare entro i due anni successivi all’ottenimento di un permesso di soggiorno definitivo in Danimarca da parte del genitore residente in tale Stato membro porrebbe il minore in una situazione meno favorevole per consentirgli di integrarsi in Danimarca, cosicché il richiedente sarebbe tenuto a fornire la prova di un legame sufficiente di tale minore con tale Stato membro.
63 Infatti, la circostanza che la domanda di ricongiungimento familiare sia stata presentata prima o dopo i due anni successivi all’ottenimento del permesso di soggiorno definitivo da parte del genitore residente nello Stato membro in questione non può essere un indizio di per sé decisivo delle intenzioni dei genitori del minore interessato da tale domanda riguardo alla sua integrazione in tale Stato membro.
64 Peraltro, l’adozione del criterio in questione, al fine di determinare quali siano i minori per i quali deve essere provato un legame sufficiente con la Danimarca, conduce a risultati incoerenti per quanto riguarda la valutazione della capacità di conseguire un’integrazione riuscita in tale Stato membro
65 Infatti, come rileva l’avvocato generale al paragrafo 51 delle sue conclusioni, tale criterio, da un lato, si applica senza tener conto della situazione personale del minore interessato e dei suoi legami con riferimento allo Stato membro in questione e, dall’altro, rischia di provocare discriminazioni in funzione della data di presentazione della domanda di ricongiungimento familiare tra minori che si trovano in situazioni personali del tutto analoghe, per quanto riguarda sia la loro età sia i loro legami con la Danimarca nonché la loro relazione con il genitore ivi residente.
66 A tal riguardo, si deve rilevare che, per quanto riguarda in particolare la valutazione della situazione personale del minore interessato, tale valutazione da parte delle autorità nazionali deve avvenire, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, sulla base di criteri sufficientemente precisi, oggettivi e non discriminatori, che devono essere esaminati caso per caso, concludendosi con una decisione motivata che può essere oggetto di un ricorso effettivo al fine di prevenire una prassi amministrativa di rifiuto sistematico.
67 Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che una misura nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che subordina il ricongiungimento familiare tra un lavoratore turco residente legalmente nello Stato membro considerato e suo figlio minore alla condizione che quest’ultimo abbia instaurato o abbia la possibilità di instaurare con tale Stato membro un legame sufficiente a consentirgli un’integrazione riuscita, laddove il figlio in questione e l’altro genitore risiedono nello Stato di origine o in un altro Stato e la domanda di ricongiungimento familiare sia presentata dopo due anni dalla data in cui il genitore residente nello Stato membro di cui trattasi ha ottenuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato oppure un permesso di soggiorno che consente il soggiorno permanente, costituisce una «nuova restrizione», ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80. Una tale restrizione non è giustificata.
Sulle spese
68 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
Una misura nazionale, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che subordina il ricongiungimento familiare tra un lavoratore turco residente legalmente nello Stato membro considerato e suo figlio minore alla condizione che quest’ultimo abbia instaurato o abbia la possibilità di instaurare con tale Stato membro un legame sufficiente a consentirgli un’integrazione riuscita, laddove il figlio in questione e l’altro genitore risiedono nello Stato di origine o in un altro Stato e la domanda di ricongiungimento familiare sia presentata dopo due anni dalla data in cui il genitore residente nello Stato membro di cui trattasi ha ottenuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato oppure un permesso di soggiorno che consente il soggiorno permanente, costituisce una «nuova restrizione», ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di Associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione, allegata all’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e che è stato concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963.
Una tale restrizione non è giustificata.