CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 50087 depositata il 12 dicembre 2013
L’appropriazione indebita è una fattispecie di reato affine al furto: le due norme sono contigue e si completano a vicenda. La differenza sostanziale risiede nel fatto che mentre il furto presuppone la mancanza del possesso della cosa mobile altrui (consistendo il reato proprio nell’impossessamento), l’appropriazione indebita implica che l’agente già possieda le cose mobili o il denaro altrui. Per citare le parole usate dalla Suprema Corte in una recente sentenza, il fondamento del reato di cui all’art. 646 cod. pen. deve essere individuato nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso.
FATTO
1. Con ordinanza del 16/05/2013, il Tribunale di Monza confermava il decreto con il quale, in data 16/04/2013, il giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva ordinato il sequestro preventivo della somma di € 100.000,00 rinvenuta nella disponibilità di B. C. M. indagato per il reato di cui all’art. 646 e 61 n° 11 cod. pen. ai danni della società Blondine Metalle s.r.l. le cui quote erano possedute al 100% dal suddetto Biondo e della quale era l’amministratore unico. Il Tribunale, rilevava che il fumus delicti doveva rinvenirsi nel fatto che il Biondo era stato trovato in possesso della suddetta somma, prelevata, pacificamente, dalla cassa societaria «in assenza di una giustificazione fondante la destinazione della stessa a finalità inerenti all’oggetto sociale. Sul punto specifico di nessuna conducenza rispetto alla prospettazione difensiva si sono rilevati i nominativi dei fornitori della società, risultati sconosciuti ovvero sprovvisti di codice fiscale all’anagrafe tributaria; nessuna documentazione è stata rinvenuta dalla GdF ovvero esibita dalla parte privata circa la esistenza di commesse ovvero lato sensu di rapporti contrattuali idonei a giustificare il prelievo di una tale considerevole somma di denaro dalle casse della Blondine Metalle srl da parte dell’indagato e, conseguentemente, la sua destinazione a finalità rientranti nell’oggetto sociale della predetta società. Di nessun pregio logico-giuridico appaiono sul punto le argomentazioni difensive circa la totale coincidenza di fatto tra B. C. M. e la Biondine Metalle srl, derivante dalla esclusiva appartenenza delle quote sociali all’indagato, al contempo amministratore unico: la circostanza che sussista in fatto una incontestata riferibilità della Biondine Metalle sr/ in capo a B. C. M. non è idonea a superare comunque la distinzione netta tra i due ben definiti soggetti giuridici, tra l’altro dotati ciascuno di assoluta autonomia patrimoniale l’uno rispetto all’altro, alla stregua della quale non può accogliersi la deduzione difensiva circa la sussistenza di una legittima incontrollata libertà del Biondo di disporre di risorse della Blondine Metalle sr/, svincolata dalla necessaria destinazione delle stesse alle finalità di etti all’oggetto sociale». Quanto al periculum, il tribunale rilevava che «le assai peculiari modalità della condotta posta in essere dal/indagato configurano per tabulas il periculum necessario a fondare la sussistenza della cautela reale allo stato vigente, atteso che esse denotano una disinvolta ed incontrollata operatività del Biondo sulla provvista della società in assenza di finalità sociali, vieppiù rafforzata in termini accusatori delle risultanze tratte dalla GdF in esito all’esame della documentazione della Biondine Metalle srl. attestanti pregressi prelievi del Biondo dai conti della società per la oltremodo considerevole somma complessiva di euro 1.030.000,00 (di cui 830.000 euro pacificamente prelevati) senza alcuna giustificazione documentale. E’ in sostanza emerso un reiterato drenaggio di risorse sociali da parte del Biondo, rispetto al quale la somma attualmente in sequestro costituisce soltanto un episodio di plastica evidenza di laiche il vincolo reale appare necessario ad impedire l’aggravamento ovvero la protrazione delle conseguenze del reato di appropriazione indebita aggravata, come esplicitato nel capo di incolpazione». Alla stregua delle suddette considerazioni il Tribunale, riteneva, quindi, che, ai fini del sequestro preventivo fosse sufficiente la sussistenza «di un collegamento, anche indiretto, tra un qualsiasi bene – a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato – ed il reato medesimo e che il bene, ove lasciato in libera disponibilità, sia idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di 2 protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti». Sul punto, pertanto, «appaiono irrilevanti le argomentazioni della persona offesa Blondine Metalle srl, astrattamente legittimata alla richiesta di restituzione di somme di denaro di sua proprietà. L’applicazione al caso concreto del principio ermeneutico sopra indicato impone, pertanto, il mantenimento del sequestro preventivo oggetto di riesame, atteso che la libera disponibilità della somma di denaro, ancorchè di proprietà della predetta società, configura e radica in concreto il predetto periculum che il vincolo reale é, per sua natura giuridica, destinato a impedire. Orbene, rispetto a siffatte emergenze ricorre nel caso in esame un profilo ulteriore che rafforza la fondatezza del sequestro preventivo qui impugnato e che attiene alla concreta non estraneità al reato della stessa Blondine Metalle srl in quanto la effettiva modalità di esclusiva partecipazione dell’indagato alla quote sociali e il suo ruolo di amministratore unico consentono di assumere che, pur a fronte della astratta distinzione tra i due soggetti giuridici, in fatto sussista una non indifferenza della società rispetto alle condotte in incolpazione quantomeno, per l’appunto, per la unicità della persona fisica del Biondo nella compagine e nella gestione sociale».
2. Avverso la suddetta ordinanza, B. C. M. ha proposto due separati ricorsi per cassazione, peraltro perfettamente identici nel contenuto: il primo, nella sua qualità di indagato del delitto di cui agli artt. 646, 61 n° 11 cod. pen. ed il secondo ricorso nella sua qualità di amministratore unico della Blondine Metalle s.r.I., deducendo VIOLAZIONE DELL’ART. 321 COD. PROC. PEN. per i seguenti motivi. Il ricorrente, innanzitutto, quanto al fumus delicti, pur mostrando di condividere, in astratto la tesi del Tribunale in ordine alla «distinzione netta tra i due ben definiti soggetti giuridici, tra l’altro dotati ciascuno di assoluta autonomia patrimoniale l’uno rispetto all’altro», rileva che la fattispecie in esame è del tutto diversa da quella ipotizzata dal Tribunale «perché l’unico reato per cui si sta procedendo è l’appropriazione indebita aggravata del Biondo in danno della persona offesa Blondine Metalle srl». Sul punto, il Tribunale non aveva considerato che era la stessa Blondine che aveva chiesto la restituzione del denaro e alla quale, in ogni caso, all’esito del processo, qualunque esso fosse, dovrebbe essere restituito. Il ricorrente, poi, contesta l’ultima affermazione del Tribunale secondo il quale anche la Biondine sarebbe corresponsabile del delitto di appropriazione indebita, sostenendo che la suddetta affermazione sarebbe contraddittoria perché, da una parte, il tribunale «dice che Biondo ha commesso l’appropriazione indebita perché persona fisica distinta dalla persona giuridica Biondine Metalle s.r.I., dall’altro dice che non può restituire i soldi alla Blondine Metalle s.r.l. perché di fatto essa coincide con la persona del Biondo e peraltro non è estranea al reato». Da questa paradossale situazione, quindi, deriverebbe, secondo il ricorrente, anche la mancanza del fumus delicti.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
2. Come si è illustrato nella presente parte narrativa, l’indagato Biondo ha proposto due separati – sebbene identici – ricorsi per cassazione: uno, nella sua qualità di socio unico della s.r.l. Blondine Metalle s.r.I., l’altro nella sua qualità di Amministratore unico della suddetta società. Sfruttando questa sua duplice qualità, il ricorrente ha dedotto i motivi di ricorso supra illustrati, con i quali, sostanzialmente, ha paventato una situazione paradossale in base alla quale il Tribunale aveva negato la restituzione della somma alla società alla quale apparteneva il denaro sequestrato e che, quindi, essendo, a tutti gli effetti giuridici, terza, aveva o comunque avrebbe avuto diritto – qualunque fosse stato l’esito del processo – alla restituzione del denaro. Per dare soluzione alla problematica, occorre, innanzitutto, fare chiarezza processuale: indagato per il reato di appropriazione indebita aggravata è solo ed esclusivamente il Biondo nella sua qualità di amministratore unico della società: tanto si desume agevolmente non solo dalla descrizione del fatto ma anche e soprattutto dalla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n° 11 cod. pen. Da questa prima precisazione di natura processuale, discende la carenza di interesse ad impugnare del Biondo come socio nonché titolare al 100% delle quote della società, e, quindi, l’inammissibilità del ricorso.
3. L’attenzione, va quindi, concentrata sul solo ricorso proposto dal Biondo nella sua qualità di Amministratore unico e, quindi, verificare sia la sussistenza del fumus delicti che del periculum ai fini della legittimità del disposto sequestro preventivo.
3.1. In ordine al fumus delicti, resta ben poco da dire non peraltro perché lo stesso ricorrente non ha minimamente contestato, in punto di fatto, quanto accertato dal tribunale e cioè che era stato sorpreso dalla Guardia di Finanza in possesso della somma di € 100.000,00 prelevata senza alcuna causale dalle casse societarie.
La suddetta condotta, integra sicuramente gli estremi dell’elemento materiale del contestato reato di appropriazione indebita come ritenuto dalla costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte: Cass. 3397/2012 Rv. 254312 secondo la quale «integra il delitto di appropriazione indebita, e non quello di infedeltà patrimoniale previsto dall’art. 2634 cod. civ., l’erogazione di denaro compiuta dall’amministratore di una società di capitali in violazione delle norme organizzative di questa e per realizzare un interesse esclusivamente personale, in assenza di una preesistente situazione di conflitto d’interessi con l’ente, senza che possa rilevare l’assenza di danno per i soci»; Cass. 40136/2011 Rv. 251197; Cass. 13241/1976 Rv. 134923 secondo la quale «l’amministratore unico di una società per azioni, che sia anche l’unico azionista, il quale, avendo ottenuto degli sconti da una ditta fornitrice, anzichè versarne il relativo importo – come doveva, nelle casse della società – li abbia trattenuti per sè, convertendoli in proprio profitto, commette il reato di appropriazione indebita». Il ricorrente, ancora una volta, ha insistito sulla tesi difensiva secondo la quale il reato non sarebbe configurabile perché «la società è lui» (pag. 2 del ricorso) sicchè non potrebbe essere ritenuto colpevole di essersi appropriato di denaro di sua proprietà. Si tratta di una singolare tesi difensiva che trascura di considerare quel che costituisce un punto invalicabile della differenziazione fra la posizione giuridica dei soci (quand’anche proprietari dell’intero capitale sociale) e quella della società. Sul punto, è sufficiente ribadire che, proprio in virtù dell’autonomia patrimoniale e giuridica fra i soci e la società «non risulta giuridicamente configurabile in capo ai singoli soci un potere di disposizione delle somme di pertinenza delle società di capitali e ciò in ragione del principio di autonomia patrimoniale perfetta di tali enti; con la conseguenza che la società di capitali risponde delle proprie obbligazioni esclusivamente con il suo patrimonio, che pertanto deve rimanere integro, in quanto, in caso di insolvenza della società, i creditori non possono rivalersi sul patrimonio personale dei singoli soci che, a loro volta, proprio per tale ragione, non possono amministrare il capitale sociale»: Cass. 3397/2012 cit. A fortiori, il suddetto principio vale nei confronti dell’Amministratore unico della società di cui è anche socio unico, proprio perché l’amministratore, al di là del fatto che sia anche socio unico, ha la funzione di adempiere ai propri doveri di amministratore così come codificati dal cod. civ., fra i quali, di sicuro, non rientra quello di appropriarsi ad libitum e senza alcuna giustificazione delle somme della società che amministra e della cui amministrazione deve dar conto all’esterno (ad es. ai creditori). Il fumus delicti, quindi, nella fattispecie deve ritenersi sussistente alla stregua del seguente principio di diritto: «l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata, che sia anche l’unico socio in quanto detentore del 100% delle quote, il quale si appropri – trattenendolo per sé – senza alcun giustificato motivo di denaro della società distraendolo quindi dallo scopo cui è destinato, commette il reato di appropriazione indebita».
3.2. Resta da verificare la sussistenza del periculum. Il Tribunale, come si è detto, ha rinvenuto il perículum nella «disinvolta ed incontrollata operatività del Biondo sulla provvista della società in assenza di finalità sociali, vieppiù rafforzata in termini accusatori delle risultanze tratte dalla Guardia di Finanza in esito all’esame della documentazione della &ondine Metalle srl. attestanti pregressi prelievi del Biondo dai conti della società per la oltremodo considerevole somma complessiva di euro 1.030.000,00 (di cui 830.000 euro pacificamente prelevati) senza alcuna giustificazione documentale. E’ in sostanza emerso un reiterato drenaggio di risorse sociali da parte del Biondo, rispetto al quale la somma attualmente in sequestro costituisce soltanto un episodio di plastica evidenza di laiche il vincolo reale appare necessario ad impedire l’aggravamento ovvero la protrazione delle conseguenze del reato di appropriazione indebita aggravata, come esplicitato nel capo di incolpazione». In punto di diritto, è noto che la giurisprudenza di questa Corte, in modo costante, ha ritenuto che il “periculum in mora” che, ai sensi dell’art. 321, comma primo, cod. proc. pen., legittima il sequestro preventivo, deve intendersi come concreta possibilità che il bene assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all’agevolazione della commissione di altri reati in modo che l’individuato legame non sia meramente occasionale ed episodico, bensì abitualmente protratto nel tempo e tipicamente indicativo delle modalità di realizzazione dell’attività illecita ipotizzata: ex plurimis: Cass. 15667/2013 Rv. 255351; Cass. 35394/2011 Rv. 250930. E’ stato, poi, precisato che il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche beni appartenenti a terzi estranei al procedimento penale, incombendo, in tale caso, sul giudice un dovere specifico di motivazione sul requisito del “periculum in mora” in termini di semplice probabilità del collegamento di tali beni con le attività delittuose dell’indagato, sulla base di elementi che appaiano indicativi della loro effettiva disponibilità da parte di quest’ultimo, per effetto del carattere meramente fittizio della loro intestazione ovvero di particolari rapporti in atto tra il terzo titolare e l’indagato stesso: ex plurimis Cass. 11287/2010 Rv. 246359. Il ricorrente, come si è detto, non contesta quanto appena detto né in punto di fato né in punto di diritto: sostiene, invece, che, provenendo la richiesta di restituzione della somma sequestrata dalla Blondine Metalle s.r.I., e cioè di persona giuridica terza estranea, il paventato periculum non sarebbe configurabile. Al che deve replicarsi che il ricorrente continua ad insistere nell’equivoco generato dal fatto che egli assomma in sé due funzioni e cioè quella di Amministratore unico e socio unico della società. Ma, una volta rammentato, ancora una volta: a) che una cosa è essere socio, altra cosa è la carica di Amministratore, altra cosa ancora è la società; b) che nel presente procedimento egli, nella sua veste di Amministratore, è l’unico indagato del reato di appropriazione indebita, allora diventa anche chiaro che: sussiste il periculum perché, continuando il Biondo a rivestire la carica di Amministratore unico, ove il denaro venisse restituito, concreto sarebbe il pericolo di nuova e definitiva appropriazione essendo il denaro, il bene, per eccellenza, occultabile: sul punto, infatti, il Tribunale ha accertato, in modo incontestato, che il ricorrente, nella sua qualità di Amministratore unico, drenava, in modo sistematico, reiterato e senza alcuna giustificazione, denaro dalle casse sociali e la somma sequestrata costituiva solo una minima parte di altre somme illegittimamente prelevate; è irrilevante che la somma di denaro sequestrata appartenga ad un soggetto terzo (Blondine s.r.I.), perchè si tratta di un bene collegato con l’attività delittuosa dell’indagato, atteso che il Biondo ha potuto effettuare l’illegittimo prelievo proprio avvalendosi dei suoi poteri di Amministratore unico della società. Sul punto, corretta deve, quindi, ritenersi l’affermazione del tribunale che ha richiamato la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale «oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene – a chiunque appartenente – purchè esso sia, anche indirettamente collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti»: Cass. 11287/2010 riv 246358; Cass. 17865/2009 riv 243751; Cass. 32964/2009 riv 244797. Pertanto, la circostanza che il ricorrente continui, imperterrito, a sostenere che essendo lui e la società la medesima cosa, può disporre a suo piacimento dei beni della società è un argomento che, di per sé solo, è sufficiente a far ritenere il periculum almeno fino a che il Biondo continua ad essere l’Amministratore unico: sul periculum in caso di dismissione dalla carica, cfr Cass. 15667/2013 Rv. 255351 In conclusione, il ricorso della Blondine Metalle s.r.I., proposto dal Biondo, nella sua qualità di Amministratore unico, dev’essere respinto, alla stregua del seguente principio di diritto: «l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata, che sia anche l’unico socio in quanto detentore del 100% delle quote, il quale si appropri – trattenendolo per sé – senza alcun giustificato motivo di denaro della società distraendolo quindi dallo scopo cui è destinato, commette il reato di appropriazione indebita. Nella suddetta ipotesi – almeno fino a che l’Amministratore continui a rivestire la suddetta carica – sussiste il periculum ove, in punto di fatto, il giudice accerti che se il denaro venisse restituito, l’indagato potrebbe nuovamente e definitivamente appropriarsene. Di conseguenza, legittimamente è disposto il sequestro del suddetto denaro sebbene appartenente ad un soggetto terzo (la società), trattandosi di un bene collegato con l’attività delittuosa dell’indagato».
4. In conclusione, mentre l’impugnazione proposta da B. C. M. in proprio deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606/3 cod.proc.pen. – con conseguente condanna del ricorrente anche al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00 – quella proposta dalla Blondine Metalle s.r.l. dev’essere rigettata.
P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso proposto da B. C. M. in proprio
RIGETTA
il ricorso proposto da Blondine Metalle s.r.l. in persona dell’Amministratore unico B. C. M. e
CONDANNA
entrambi al pagamento delle spese processuali ed il solo B. C. M. in proprio anche al versamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
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