AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 39 del 17 gennaio 2023
Articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 e articolo 109 TUIR – Costi sostenuti per l’acquisto di beni o servizi destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti – Articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 – Deducibilità delle spese di pubblicità di medicinali, da aziende farmaceutiche, attraverso convegni o congressi
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società ALFA S.r.l. rappresenta di essere specializzata nello sviluppo e nella commercializzazione di integratori alimentari, prodotti cosmetici e dispositivi medici.
L’Istante evidenzia di vendere i propri prodotti principalmente a grossisti, farmacie e parafarmacie e, in minima parte, a studi medici, ASL e aziende ospedaliere.
Nell’espletamento dell’attività di commercializzazione dei prodotti sopra descritti, dichiara di avvalersi di agenti di commercio, non qualificabili come informatori scientifici del farmaco (ISF), che promuovono i prodotti nei confronti dei clienti sopra menzionati, tra cui anche i medici.
A tal fine, l’Istante riferisce di fornire agli agenti di commercio i campioni dei prodotti, gadgets, opuscoli informativi e altro materiale destinati, indirettamente, ai clienti (tra cui medici e farmacisti), sostenendone i relativi costi.
Inoltre, la Società fa presente di sostenere costi per la partecipazione a congressi e convegni, tra cui i costi di trasporto e alloggio sostenuti dai clienti invitati, in cui promuove i propri prodotti.
Tanto premesso, l’Istante chiede un’interpretazione sulla disciplina di cui all’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 che statuisce che sono indeducibili, ai sensi del previgente articolo 75 TUIR attuale articolo 109 i costi sostenuti per l’acquisto di beni o servizi destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti, allo scopo di agevolare, in qualsiasi modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico; e di quella prevista dall’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 che limita al 20 per cento la deducibilità delle spese di pubblicità di medicinali, comunque effettuate da aziende farmaceutiche, attraverso convegni o congressi.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La società istante ritiene che i limiti alla deduzione prevista dalle disposizioni sopra richiamate non siano ad essa applicabili, sia con riguardo ai costi sostenuti per i prodotti, gadgets, opuscoli informativi e altro materiale destinati, tramite i propri agenti di commercio, a medici e farmacisti, sia a quelli concernenti le spese di convegni e congressi, per la mancanza del presupposto oggettivo della promozione di medicinali e segnatamente con riferimento all’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 di quello soggettivo della azienda farmaceutica.
Quanto al presupposto oggettivo delle ”specialità medicinali ed ogni altro prodotto ad uso farmaceutico” previsto dall’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, l’Istante evidenzia che nell’ordinamento non esiste una definizione tecnico scientifica di ”prodotto ad uso farmaceutico” e che la letteratura scientifica e la giurisprudenza di legittimità includono tale termine all’interno della più generale definizione di ”farmaco” o, più correttamente, di ”medicinale”.
L’Istante fa presente che, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, attuativo della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica), per ”medicinale” si intende ”ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane” ovvero ”ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica”.
Inoltre, anche l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) utilizza come sinonimi i termini ”farmaco” e ”medicinale”, definendoli come ”sostanze o associazioni di sostanze impiegate per curare o prevenire le malattie. Sono composti da un elemento, il principio attivo, da cui dipende l’azione curativa vera e propria, e da uno o più ”materiali” privi di ogni capacità terapeutica chiamati eccipienti che possono avere la funzione di proteggere il principio attivo da altre sostanze chimiche, facilitarne l’assorbimento da parte dell’organismo, oppure mascherare eventuali odori o sapori sgradevoli del farmaco stesso”.
Afferma che non costituiscono farmaco o medicinale gli integratori alimentari, né i prodotti cosmetici, né i dispositivi medici da essa commercializzati.
Gli integratori alimentari, infatti, sono ai sensi della Direttiva 2002/46/CE, attuata in Italia con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169 prodotti alimentari e come tali:
a) non possono vantare proprietà terapeutiche, né capacità di prevenzione e cura di malattie;
b) sono soggetti alle norme in materia di sicurezza alimentare.
I prodotti cosmetici non sono riconducibili alla categoria di ”farmaco” o ”medicinale” in quanto, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), del Regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, sono costituiti da qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano oppure sui denti e sulle mucose della bocca, allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei .
In riferimento alla categoria ”dispositivo medico”, afferma che è diverso dal ”farmaco” o ”medicinale” in quanto, in base alla definizione fornita dall’art. 1 del Decreto legislativo 24/02/1997 n. 46, è dispositivo medico ”qualunque strumento, apparecchio, impianto, software, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione compreso il software necessario al corretto funzionamento del dispositivo destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo a fini di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’azione principale, sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”.
L’istante evidenzia che è, dunque, possibile evincere che la linea di demarcazione tra ”medicinale” e ”dispositivo medico” risiede nel meccanismo con cui il prodotto esercita la sua azione principale: per un medicinale, infatti, l’azione è svolta mediante meccanismo d’azione farmacologico, immunologico o metabolico; al contrario, per un dispositivo medico, l’azione principale cui è destinato non si deve esercitare nel o sul corpo umano con mezzi di tipo farmacologico, immunologico o metabolico, anche se può essere coadiuvato da uno di questi.
A riguardo, l’istante afferma che i dispositivi medici che commercializza sono inquadrati sulla base dei concetti sopra esposti e risultano prodotti ben distinti dai ”medicinali”, in quanto non agiscono con meccanismi farmacologici e/o biochimici, bensì con meccanismi di tipo fisico e/o meccanico.
Da quanto sopra evidenziato deriverebbe che non sussiste, nel suo caso, il presupposto oggettivo delle spese sostenute per la promozione di ”medicinali” previsto sia dall’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, sia dall’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
Sotto il profilo soggettivo, la società evidenzia che la Circolare Ministeriale n. 9 del 18 luglio 1997, concernente le modalità di presentazione delle domande di autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali, menziona l’attribuzione di un codice di accreditamento, presso il Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza, per quelle aziende idonee allo svolgimento di attività commerciali nel settore farmaceutico e, conseguentemente, idonee ad ottenere una autorizzazione, secondo procedura nazionale, nel settore delle specialità medicinali. Ai sensi della citata Circolare: ”a seguito di espressa domanda da parte dell’azienda, l’Amministrazione dovrà rilasciare un codice identificativo (”codice SIS”) che l’azienda è tenuta a citare in ogni comunicazione rivolta al Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza”.
Pertanto, l’Istante dichiara di non essere un’azienda farmaceutica in quanto non dispone di un codice SIS (identificativo delle aziende farmaceutiche).
Conseguentemente, mancherebbe anche il presupposto soggettivo necessario ai fini dell’applicazione, nel suo caso, dell’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
La Società, avuto riguardo alla sua fattispecie concreta, ritiene, dunque, che, in ordine all’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, non risulti integrato il requisito oggettivo della commercializzazione delle ”specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico”; in ordine all’applicazione dell’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che non risultino integrati il requisito oggettivo dei ”medicinali”, e quello soggettivo delle ”aziende farmaceutiche”, con la conseguente inapplicabilità al suo caso della indeducibilità prevista dalle richiamate disposizioni.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Le questioni interpretative sottoposte dall’Istante concernono l’ambito di applicazione delle discipline dettate dall’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 e dell’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
L’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, stabilisce che ”sono indeducibili ai sensi dell’articolo 75 (ndr. ora articolo 109) del (…) testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni, i costi sostenuti per l’acquisto di beni o servizi destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti, allo scopo di agevolare, in qualsiasi modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico”.
La Circolare n. 3/E del 18 gennaio 2006 ha fornito chiarimenti in merito all’ambito di applicazione della predetta norma, coordinando, in particolare, il regime di indeducibilità contenuto nella disposizione del comma 9 con il regime generale di indeducibilità dei costi e delle spese riconducibili ad illeciti penalmente rilevanti, di cui al comma 8 del medesimo articolo 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Al riguardo, è stato precisato che l’indeducibilità fissata dal comma 9 opera non solo in relazione ai costi riferibili a fattispecie che integrano il reato di comparaggio sanzionato dal Testo unico delle leggi sanitarie (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265), ma anche in relazione ai costi riferibili ad altri comportamenti che, pur non configurando ipotesi di reato, contrastano con la normativa speciale in materia di pubblicità dei prodotti farmaceutici presso gli operatori sanitari, di cui agli articoli 11, 12 e 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541 (disposizioni, queste ultime, sostanzialmente confermate dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, che ha abrogato il decreto legislativo n. 541 del 1992).
Più precisamente, secondo quanto chiarito dal documento di prassi, l’indeducibilità riguarda quelle fattispecie in cui i produttori e i commercianti di farmaci e specialità medicinali offrano, direttamente o indirettamente, beni e servizi gratuiti agli operatori sanitari, oltre i limiti che le suddette norme stabiliscono, con riferimento a:
a) premi e vantaggi pecuniari o in natura;
b) spese relative all’organizzazione di convegni e congressi;
c) distribuzione di campioni gratuiti di farmaci.
Le disposizioni contenute nel comma 9 dell’articolo 2 della legge n. 289 del 2002 sanciscono l’indeducibilità delle spese sostenute per l’acquisto di quei beni e servizi destinati ai medici, veterinari e farmacisti, che configurano comportamenti illeciti vietati dalla norma penale oppure dalla disciplina speciale del settore ed hanno la finalità evidente di disincentivare comportamenti che determinano una crescita patologica della spesa sanitaria, riflettendosi sui prezzi dei farmaci e sulle quantità prescritte.
L’indeducibilità riguarda tutti quei costi, normalmente riconducibili alla categoria delle spese di rappresentanza, relativi all’offerta a titolo gratuito di beni e servizi agli operatori sanitari che superino il modico valore e, quindi, non siano di ”valore trascurabile”.
Per lo specifico settore di riferimento, i costi in esame sostenuti da produttori e distributori di prodotti farmaceutici, in deroga alle disposizioni dell’art. 108 del TUIR, sono interamente indeducibili se superano il modico valore, perché carenti, in virtù di una presunzione legale, del requisito di inerenza (Circolare n. 3/E del 18 gennaio 2006).
Di conseguenza, il documento di prassi ha chiarito che, ai sensi delle norme richiamate, non sono deducibili, in particolare, tra i costi sostenuti per l’acquisto di beni e servizi che superino il modico valore, ad esempio, le spese relative all’acquisto di beni durevoli, anche se strumentali all’attività medica (computer, telefoni cellulari, borse professionali, ecc.) e quelle relative all’acquisto di servizi per soggiorni ed ospitalità (spese per viaggi, alberghi e ristorazione), che non rientrano nell’organizzazione di convegni e congressi ai sensi dell’articolo 12 del citato decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541.
Sono, invece, deducibili, a titolo esemplificativo, le spese di modico valore per l’acquisto di materiale di consumo (ad esempio, ricettari, cancelleria) e di riviste a carattere scientifico destinati a medici, veterinari e farmacisti.
Tanto premesso, la presente risposta è resa nel presupposto che i costi sostenuti dall’istante per i campioni dei prodotti, gadgets, ed opuscoli informativi oggetto dell’istanza di interpello rientrino nelle limitazioni alla deduzione previste dall’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e, quindi. superino il modico valore.
Fatta questa premessa, tenuto conto che i costi sostenuti all’istante riguardano integratori alimentari, prodotti cosmetici e dispositivi medici, per definire l’ambito oggettivo di applicazione della normativa in esame occorre tenere conto della ratio della disposizione da ultimo citata che consiste nel contenere attraverso i limiti alla deducibilità dei costi sostenuti dalle aziende operanti nel settore quei comportamenti che si riflettono sui prezzi dei beni destinati alla tutela della salute pubblica e sulle quantità prescritte.
Quanto agli integratori alimentari e cosmetici, si ritiene che la indeducibilità dei relativi costi da parte delle aziende del settore non sia strettamente funzionale alla tutela della salute pubblica in quanto:
– gli integratori alimentari sono ai sensi della Direttiva 2002/46/CE, attuata in Italia con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169 prodotti alimentari e come tali non possono vantare proprietà terapeutiche, né capacità di prevenzione e cura di malattie;
– i prodotti cosmetici, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), del Regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, sono costituiti da qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano oppure sui denti e sulle mucose della bocca, allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei.
Le spese sostenute dalla Società istante per la promozione presso medici e farmacisti di integratori e prodotti cosmetici, pertanto, non rientrano nell’ambito applicativo dell’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in quanto trattasi di prodotti non assimilabili ai farmaci sul piano della tutela della salute pubblica.
A diverse considerazioni deve giungersi in merito ai ”dispositivi medici”. Questi ultimi si differenziano dai ”medicinali”, letteralmente previsti dalla disposizione in esame, in quanto non agiscono con meccanismi farmacologici e biochimici, bensì con meccanismi di tipo fisico o meccanico, come si evince dalla definizione contenuta nell’articolo 1 comma 2 lettera a) Decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46 (Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici).
Tuttavia, dalla disamina della disciplina contenuta nel suddetto Decreto legislativo emerge che i dispositivi medici, così come i farmaci, costituiscono prodotti direttamente incidenti sulla tutela della salute pubblica, in quanto costituenti strumenti, apparecchi o impianti, destinati ad essere impiegati sull’uomo a fini di diagnosi o cura di una malattia, di una ferita o di un handicap (articolo 1, comma 2).
Inoltre, i dispositivi medici possono essere destinati a somministrare medicinali o possono comprendere medicinali come parte integrante (articolo 2); sono soggetti a regole stringenti sulla immissione in commercio (articolo 4) e sulla marcatura CE (articolo 16); se un dispositivo può compromettere la salute e la sicurezza dei pazienti, degli utilizzatori o di terzi, il Ministero della Salute ne dispone il ritiro dal mercato (articolo 7); taluni dispositivi, secondo disposizioni adottate con decreto del Ministro della salute, possono essere venduti soltanto su prescrizione medica o essere impiegati eventualmente con l’assistenza di un medico o di altro professionista sanitari (articolo 21 comma 1); la pubblicità presso il pubblico dei dispositivi è soggetta ad autorizzazione del Ministero della salute (articolo 21 comma 2).
Risulta evidente, dunque, che anche i dispositivi medici sono strettamente funzionali alla tutela della salute dell’uomo e che anche per essi si pone la necessità di disincentivare da parte degli operatori del settore comportamenti che, promuovendo il prodotto presso medici e farmacisti, possano determinare un incremento incontrollato del prezzo e delle quantità prescritte, analogamente a quanto previsto per i medicinali.
Diversamente opinando si arriverebbe alla conseguenza di disincentivare siffatto incremento per i medicinali e consentirlo per i dispositivi medici solo perché, pur entrambi strumentali alla cura e prevenzione delle malattie, è differente il meccanismo di funzionamento sul corpo umano, farmacologico in un caso, fisico o meccanico nell’altro, generandosi così una conseguenza certamente estranea ad una lettura della norma che tenga conto della ratio anzidetta e del bene giuridico da essa protetto.
Ne consegue che devono farsi rientrare nell’ambito applicativo della norma di cui all’articolo 2, comma 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, alla luce della suddetta interpretazione, le spese di promozione presso medici e farmacisti di dispositivi medici le quali, pertanto, se superano la soglia del modico valore, sono integralmente indeducibili dalla società istante.
Considerazioni analoghe valgono per i costi di pubblicità sostenuti per l’organizzazione di convegni e congressi, di cui all’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, come modificato dall’articolo 2, comma 5, legge 28 dicembre 2001, n. 448, che prevede un regime di deducibilità limitata al 20 per cento per ”le spese di pubblicità di medicinali comunque effettuata dalle aziende farmaceutiche, ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, attraverso convegni e congressi”.
Sulla base di quanto sopra evidenziato, con riferimento alla ratio sottesa alle disposizioni in questioni, connesse alla tutela della salute pubblica, ai medicinali devono essere assimilati i dispositivi medici e, pertanto, la norma in esame deve essere applicata alle spese di pubblicità sostenute, attraverso convegni e congressi, dalla società istante per la promozione di dispostivi medici.
Per quanto concerne, infine, il codice SIS codice che l’azienda è tenuta a citare nelle comunicazioni rivolte al Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza del Ministero della Salute si ritiene che, alla luce delle suesposte considerazioni, la mancata attribuzione dello stesso non possa considerarsi preclusiva della estensione della disposizione alla società istante, sia perché la società dichiara un codice ATECO 21.20.09 relativo alla ”Fabbricazione di medicinali ed altri preparati farmaceutici”, proprie delle attività rilevanti in ambito farmaceutico, sia perché la ratio delle disposizioni in questione, riguardante la tutela della salute pubblica, porta a valorizzare l’elemento oggettivo del prodotto commercializzato ai fini della individuazione dei soggetti rientranti nell’ambito applicativo della norma.
Ne consegue che la società istante è soggetta ai limiti di deducibilità previsti anche per i costi di pubblicità sostenuti per l’organizzazione di convegni e congressi, di cui all’articolo 36, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con riguardo ai dispositivi medici da essa commercializzati.
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