La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5126 depositata il 27 febbraio 2025, intervenendo in tema di eccedenza di credito d’imposta e nullità od omessa dichiarazione annuale, ha riaffermato il principio secondo cui qualora la dichiarazione fiscale “sebbene nulla, non impedisce al contribuente di usufruire, al pari della omessa dichiarazione, a determinate condizioni, del credito eventualmente maturato nel corrispondente anno di imposta, secondo il principio per cui “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (Cass. Sez. U. 8.09.2016, n. 17757 e Cass. 3.04.2018, n. 8131);”
La vicenda ha riguardato una società contribuente a cui veniva notificata una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione IVA con la quale era stata disconosciuta la detraibilità del credito IVA utilizzato in compensazione maturato nell’anno precedente per il cui periodo d’imposta era stata omessa la dichiarazione fiscale. La società impugnava l’atto impositivo. I giudici tributari accoglievano il ricorso proposto dalla contribuente ritenendo che il mancato invio della dichiarazione fiscale relativa all’anno precedente, a mezzo posta raccomandata e non telematicamente rappresentava un mero errore formale. L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza di primo grado. I giudici di appello accoglievano l’appello dell’Agenzia delle entrate. La decisione veniva impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione. I giudici di legittimità accolsero le doglianze della contribuente disponendo il rinvio ai giudici tributari di secondo grado. Il giudice del rinvio accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio, rigettava il ricorso della contribuente. La società impugnava nuovamente la sentenza di appello con ricorso per cassazione fondato su due motivi.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso e ribadivano i principi con cui avevano, precedentemente, disposto il rinvio.
Gli Ermellini hanno chiarito che “la dichiarazione presentata a mezzo posta, anziché in via telematica, è affetta da nullità ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.P.R. n. 322 del 1988;
(…)
– il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto) purché essa risulti dalle dichiarazioni periodiche e siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione;
– al riguardo giova ribadire che se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova; di contro, se a tali obblighi non si attiene, spetta al contribuente fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione, dimostrando che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell’IVA e titolare del diritto di detrarre l’imposta (Cass. n. 7576 del 2015);
– il giudice di merito, pertanto, deve accertare la spettanza del credito IVA, utilizzato nell’anno di imposta oggetto di accertamento, in quanto la questione della detrazione si sposta, a quel punto, su un piano esclusivamente di natura probatoria, nel senso che l’infrazione è da ritenere emendabile sul piano del rapporto impositivo quando si disponga ugualmente delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto acquirente, ha il diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa, sempreché non risulti in concreto impedita la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali (Cass. 17 marzo 2017, n. 6921; Cass. 23 febbraio 2018, n. 4392, in motivazione);”