Con l’approvazione della direttiva 2011/7/Ue sono state apportate modifiche al D.Lgs. 231/2002 ed entreranno in vigore a partire dal 01/01/2013. Pertanto si dovranno modificare per tempo le clausole contrattuali allineandosi in tempo alle modifiche. Il D.Lgs. 192/2012, pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 267 del 15 novembre 2012, ha consentito all’Italia di evitare sanzioni per il mancato recepimento della direttiva sulle transazioni commerciali (escluse quelle del settore agro-alimentare disciplinato dagli art. 62 e segg. Della legge 01/2012). Le nuove norme trovano applicazione nei confronti dei pagamenti delle transazioni commerciali tra imprenditori e tra Pubblica Amministrazione e imprenditori dando finalmente attuazione all’art. 10 legge 180/2011 (Statuto delle imprese) restano escluse le transazioni effettuate nei confronti dei consumatori e gli interessi relativi ad altri pagamenti come i pagamenti regolati da assegni o altro titolo di credito. Restano escluse, inoltre, per esplicita previsione normativa i debiti oggetto di procedure concorsuali nonché i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento danni. La nozione di imprenditore, ai fini dell’applicazione della predetta normativa, viene dilatata fino a comprendere anche i professionisti. Per le pubbliche amministrazioni interessate sono i soggetti disciplinati dall’art. 3 comma 25 del D.Lgs. 163/2006 (codice degli appalti pubblici) e di ogni altro soggetto tenuto al rispetto della predetta disciplina (in particolare amministrazioni dello Stato, Enti pubblici territoriali, altro ente pubblico non economico, organismo di diritto pubblico).
Vediamo quali sono le novità introdotte o che trovano applicazione:
- una maggiorazione del tasso degli interessi legali moratori, che passa dal 7% all’8% in più rispetto al tasso fissato dalla BCE per le operazioni di rifinanziamento;
- un regime rigoroso, nei rapporti tra imprese, stabilendo che il termine di pagamento legale sia di 30 giorni e che termini superiori a 60 giorni possano essere previsti solo in casi particolari e in presenza di obiettive giustificazioni;
In particolare, come di preannunciato in precedenza, vengono stabilite due sistemi di norme:
- alle transazioni commerciali in cui sia parte una pubblica amministrazione: dal 1° gennaio 2013, la PA dovrà pagare i propri fornitori ordinariamente entro 30 giorni, salvo poter derogare dal predetto termine al più entro 60 giorni. La deroga si applica alle imprese pubbliche tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza ed agli enti pubblici che erogano prestazioni di assistenza sanitaria, nonché – previo accordo tra le parti –in tutti quei casi in cui vi sia una oggettiva giustificazione in base alla natura o all’oggetto del contratto, ovvero in relazione a particolari circostanze esistenti al momento della conclusione dell’accordo. Trascorsi tali termini, decorre automaticamente il computo degli interessi di mora al tasso BCE (vigente al primo gennaio o al primo luglio, come comunicato dal MEF in gazzetta ufficiale entro 5 giorni) maggiorato di 8 punti percentuali.
- alle transazioni commerciali tra imprese: anche nei rapporti tra imprese private, se non diversamente specificato in contratto, il termine di pagamento ordinario è di 30 giorni. Tuttavia le parti possono stabilire contrattualmente un diverso termine che, però, non dovrebbe superare i 60 giorni. Un termine più ampio è tuttavia ammissibile solo se concordato espressamente e non risulti gravemente iniquo per il creditore. Anche tra imprese private l’addebito degli interessi di mora è automatico e computato al tasso BCE maggiorato di 8 punti percentuali; tuttavia le parti possono concordare l’applicazione di un diverso tasso.
Qualora i contratti conclusi dopo il 01/01/2013 contengono clausole difformi (sia in ordine al termine di pagamento che al tasso degli interessi di mora) al D.Lgs. 231/2002,come modificato ed integrato dal D.Lgs. 192/2012, l’art. 7 prevede la loro nullità. Vi è comunque la possibilità di drogare, per iscritto, alle limitazioni imposte purché non siano gravemente inique in danno del creditore. Pertanto eventuali accordi tra debitore e creditore formalizzati in contratti e volti ad escludere l’operatività delle norme relative agli interessi di mora in caso di ritardato pagamento sono nulli per presunzione assoluta, senza possibilità di prova contraria. Le clausole e le prassi gravemente inique per il creditore nel caso in cui si verifichi qualsiasi grave scostamento dalla corretta prassi commerciale sono nulle. La nullità colpisce anche clausole che escludono il risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente pagate. L’art. 8 del D.Lgs. 231/2002 per stabilire mezzi efficaci ed idonei ad impedire il continuo ricorso a clausole contrattuali inique, delega alle associazioni di categoria rappresentate nelle Camere di commercio, ovvero nel Cnel, di proporre azioni in giudizio al fine di far sanzionare adeguatamente clausole contrattuali e prassi inique.
Gli articoli n. 3 e 4 del Dlgs 231/2002, come riformati dal Dlsìgs n. 192/2012, prevedono l’applicazione automatica degli interessi moratori, a favore del creditore, senza alcun bisogno di costituzione in mora, a partire dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento legale o previsto dal contratto. Gli interessi di mora non sono dovuti dal debitore solo se dimostra che il ritardo del pagamento e dipeso da cause a lui non impotabili (art. 4 comma 1).
Infine, le parti possono concordare termini di pagamento a rate. In questi casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi moratori e il risarcimento del danno e dei costi di recupero del credito previsti dagli artt. 4, 5 e 6 del D.Lgs 231/2002 così come modificato dal D.Lgs 192/2012 sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi della rata o delle rate scadute (art. 4, 7° comma).
Alla scadenza dei termini di pagamento, il creditore deve iscrivere per competenza gli interessi di mora come proventi finanziari al presumibile valore di realizzo. Su questo argomento il principio contabile OIC n. 15 afferma che quando l’incasso di interessi è dubbio, il riconoscimento va sospeso e quelli in precedenza rilevati vanno valutati al presumibile valore di realizzo.
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