La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 5481 depositata il 4 febbraio 2014 intervenendo in tema di reati fiscali ha precisato la fattura è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, attesa la disciplina del suo contenuto ex art. 21, D.P.R. n. 633 del 1972, tale che in ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazioni commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere. Tale prova, ex artt. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, potrà essere fornita anche mediante presunzioni, nel qual caso passerà a carico del contribuente l’onere di dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Per cui l’Agenzia delle Entrate non è legittimatà a richiedere il risarcimento del danno al contribuente condannato per un reato fiscale. La Corte Suprema ribadisce però che i dipendenti pubblici rispondono per questo tipo di danno anche nel caso di reati comun.
La vicenda ha riguardato gli amministratore di due società di capitale accusati rispettivamente l’uno di aver emesso fatture per operazioni inesistenti e l’altro di aver utilizzato nella dichiarazione IVA le predette fatture. Il Tribunale condannava l’utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti per il reato di cui all’articolo 2 Dlgs 74/2000, mentre pentrambi gli amministratori imputati del reato di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 74/2000. Tutti gli imputati venivano condannati poi in solido al risarcimento dei danni arrecati alla parte civile Agenzia delle Entrate.
Gli Imputati avverso la decisione del giudice di prime cure proponevano ricorso alla Corte di Appello. I giudici territoriali riformavano parzialemte la sentenza impugnata in ordine ai reati rispettivamente loro ascritti perché gli stessi erano estinti per intervenuta prescrizione, con la precisazione che a carico dei predetti non sussisteva, come ritenuto dal giudice dì primo grado, anche l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale a favore dell’Erario. Riaffermata la solidarietà nel debito verso l’Erario di tutti e tre gli imputati quanto al solo danno non patrimoniale.
Per la cassazione della pronuncia del giudice di seconde cure gli imputati proponevano separati ricorsi, affidandosi a cinque motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono i ricorsi e cassano senza rinvio la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità hanno precisato che non vi è alcun dubbio che la domanda di risarcimento del danno per la compromissione dell’immagine dell’amministrazione possa essere proposta anche dinanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei Conti e al di fuori di un giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell’articolo 103 della costituzione. Deve, in altri termini, optarsi per l’interpretazione secondo cui il legislatore non abbia inteso prevedere un maggiore ambito operativo alla giurisdizione contabile a discapito di un’altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, ma soltanto circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine della amministrazione. Che si avrà solo in presenza di una lesione dell’immagine della stessa ascrivibile ad un suo dipendente.
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