FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 05 giugno 2020, n. 15
Decreto Rilancio: misure di sostegno a persone e imprese e analisi delle maggiori criticità
Tutte le risposte degli esperti della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro sul D.L. n. 34/2020 al 26° Forum Lavoro/Fiscale del 21 maggio 2020
INTRODUZIONE
Difficile dare un giudizio aprioristico del decreto Rilancio. E la difficoltà nasce da diverse criticità. La prima è certamente la tecnica legislativa utilizzata, non certamente catalogabile tra quelle comprensibili. E saranno gli esperti di Fondazione Studi con questa pubblicazione a decriptare i passaggi meno comprensibili. Peraltro, da pochi giorni abbiamo festeggiato i 50 anni dello Statuto dei lavoratori, legge caposaldo della gestione dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali. Certamente merita un minimo ammodernamento, non fosse altro perché nata in un’altra Italia, in un Paese impregnato di fordismo, dove la grande azienda imponeva alcune scelte anche legislative. Ma questo ammodernamento non riguarda certo la tecnica legislativa utilizzata all’epoca, visto che anche dopo 10 lustri i contenuti continuano ad essere facilmente comprensibili a chiunque; anche a chi è privo di qualsiasi rudimento giuridico. Ecco, medesima cosa non si può dire del decreto Rilancio che, con i continui rimandi, crea anche qualche problema normativo. Come quello del bonus per i professionisti di aprile e maggio, non usufruibile per i beneficiari del bonus di marzo a causa di un combinato disposto poco coordinato. Peraltro, nella prima versione del decreto Cura Italia non era previsto il bonus di marzo per i professionisti, previsione poi introdotta dalla legge di conversione e a seguito dell’attivazione degli Organismi di rappresentanza degli Ordini.
La seconda scaturisce certamente da una scarsa considerazione che si dà al comparto degli Ordini professionali, i quali vedono nuovamente penalizzati i propri iscritti. E, se già in generale non siamo in presenza di un decreto vicinissimo al mondo delle imprese, medesima cosa accade per gli autonomi che vedono una dispersione impressionante di risorse stanziate per comparti e attività dall’assoluta mancanza di ritorno per la nostra economia. In particolare, la sottolineatura è riferita alla negazione del contributo a fondo perduto per gli studi professionali, quasi come se i titolari di tali studi avessero risorse infinite per fare fronte alle spese fisse maturate in questi mesi trascorsi, senza a fronte aver visto corrispondenti incassi. Il tutto perseguibile anche dotando le Casse della necessaria autonomia nel sostegno agli iscritti. La terza criticità riguarda norme utili a migliorare il sistema nella sua generalità; norme che dovrebbero essere variate o introdotte per rendere l’impianto giuridico più adatto a un Paese che deve produrre per potersi rilanciare. È il caso della mai troppo poco invocata semplificazione normativa; dell’alleggerimento degli oneri fiscali; dell’introduzione di uno scudo penale per chi abbia posto in essere tutte le misure necessarie per contrastare e contenere la diffusione del Covid-19 nei luoghi di lavoro; dell’incredibile divieto di licenziamento fino al 17 agosto senza un’adeguata copertura di ammortizzatori sociali. Quest’ultimo caso è emblematico della scarsa considerazione posta sulle piccole realtà, che non possono ricorrere a integrazioni salariali ordinarie e che non hanno la forza di fronteggiare costi esosi senza avere a fronte incassi adeguati.
Sono tutti rilievi che fanno parte del documento di audizione del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, che i partiti hanno trasformato in altrettanti emendamenti al testo originario del D.L. n. 34/2020. Vedremo, dunque, al termine del percorso parlamentare come e se sarà cambiato. Ma resta un tema generale che riguarda qualsiasi norma varata con scopo emergenziale. Qualunque sia il contenuto, la stessa può trovare una buona considerazione se viene attivata nel tempo adatto che vive il Paese. Una buona legge che arriva tardi non ha alcuna valenza sul rilancio della nostra economia.
Certo è che i 98 decreti attuativi previsti da questo Decreto non sono il viatico migliore per una sua rapida applicazione. Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi.
1. INTERVENTI IN TEMA DI AMMORTIZZATORI SOCIALI
1.1 Modifiche apportate dal decreto Rilancio a CIGO/FIS
Per quanto riguarda la cassa integrazione ordinaria e l’assegno ordinario, nella proroga delle ulteriori 5 settimane come previsto dall’art. 86 del D.L. n. 34/2020, si inserisce il principio “di effettiva fruizione” del periodo precedentemente concesso. È necessario sul punto un chiarimento da parte dell’INPS perché questa locuzione letterale sembrerebbe evocare la circolare 58 del 2009, imponendo pertanto, prima di richiedere ulteriori 5 settimane, di intercettare eventuali periodi residui da richiedere in ragione della suddetta prassi che, come noto, ci permette di individuare ulteriori settimane sulla base delle giornate liberate completamente dall’ammortizzatore sociale. Questo tipo di opzione interpretativa, per altro verso, sembra essere avvalorata anche dalla modalità per cui è permessa la proroga delle 5 settimane per la cassa integrazione in deroga, per la quale non è stato operato alcun riferimento al principio della effettiva fruizione, ma è concessa ai datori di lavoro per i quali sia stato interamente già autorizzato un periodo di 9 settimane. Per altro verso potranno anche essere richieste ulteriori quattro settimane nel bimestre settembre-ottobre 2020, ma l’eventualità, che è annotata dalla norma, è legata alla sussistenza delle condizioni di capienza finanziaria individuate dal nuovo articolo 22 nell’ambito del decreto n. 18 del 2020. Queste quattro settimane, per quanto concerne i datori di lavoro dei settori turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, potranno anche essere usufruite entro il 31 di agosto, pertanto non soltanto all’interno del bimestre settembre-ottobre. Una ulteriore annotazione riguarda la concessione della proroga. Per quanto concerne le aziende in CIGS che abbiano utilizzato l’integrazione ordinaria Covid-19, vi è da rilevare che, contrariamente alle prime bozze del decreto circolate, è prevista la fruizione frazionata di 5 settimane entro il 31 di agosto e di 4 settimane nel bimestre settembre-ottobre. In questo senso si registrerà una sorta di alternanza tra cassa integrazione straordinaria e cassa integrazione ordinaria con non poche criticità anche da un punto di vista organizzativo. Per quanto riguarda l’assegno ordinario in luogo dell’assegno di solidarietà nell’ambito del FIS, l’art. 21 non vede modificazioni, non individuandosi proroghe per la fattispecie.
1.2 Consultazione sindacale
Con il decreto Rilancio l’accordo sindacale è stato reintrodotto con un certo stupore e, non da ultimo, anche con un evidente groviglio – se non di carattere costituzionale – quantomeno di matrice istituzionale. Sappiamo infatti che la legge di conversione del decreto Cura Italia aveva espunto dall’articolo 19 comma 2 quella frase che, con riferimento alla procedura sindacale, imponeva l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto che deve essere svolto, anche in via telematica, entro i 3 giorni successivi a quello della comunicazione preventiva. Questa disposizione è stata reintrodotta laddove era appunto stata eliminata. Tra l’altro, parlando ancora di aspetti sindacali, non si può non osservare come anche in materia di cassa integrazione in deroga con il decreto Rilancio il governo interviene nell’ambito della procedura sindacale dalla quale sono notoriamente esclusi i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti. In sede di conversione, la legge 27/2020 aveva stabilito l’esclusione anche dei datori di lavoro sottoposti alla chiusura dell’attività in ottemperanza a provvedimenti di emergenza legati alla vicenda epidemiologica. In questo caso, il decreto legge n. 34/2020 ha provveduto a sopprimere quest’ultimo esonero. La questione ha comunque una natura endo-sindacale in quanto non viene modificata l’esclusione dall’applicazione dell’articolo 14 del decreto legislativo 148/2015. L’eventuale assenza della procedura sindacale non può incidere sotto il profilo procedimentale ai fini amministrativi sul riconoscimento dell’autorizzazione ma soltanto nell’ambito della vicenda sindacale. In tale logica, il sindacato può esperire eventualmente la procedura prevista dall’articolo 28, legge 300 del ’70. Un’altra criticità importante riguardava la mancanza di tutela per i lavoratori domestici nel decreto Cura Italia, adesso, con il decreto Rilancio colf e badanti potranno avere diritto a maggiori tutele, però, non ci sono ammortizzatori sociali per questa platea di beneficiari ma semplicemente un’indennità che non costituisce reddito. La norma prevede un’indennità di €. 500,00 per il mese di aprile e di maggio che viene riconosciuta a tutti i collaboratori domestici che possono dimostrare, alla data del 23 febbraio, di avere uno o più contratti per più di 10 ore di lavoro settimanali. Tale indennità non è riconosciuta ai percettori di pensione a meno che non si tratti di una pensione di invalidità, e, non è riconosciuta nel caso in cui i collaboratori familiari abbiano un contratto che comprenda la convivenza con il datore di lavoro, questo ad indicare che si tratta di una indennità volta a garantire un minimo di liquidità ed un’incumulabilità con tutte le altre provvidenze ed indennità previste a qualsiasi titolo, come anche il reddito di emergenza con un distinguo che fa la norma rispetto al reddito di cittadinanza; infatti, tale indennità è cumulabile con il reddito di cittadinanza nel caso in cui nel nucleo familiare del collaboratore domestico ci sia un percettore del reddito di cittadinanza per un importo inferiore a €.500,00, in tal caso, questa differenza viene colmata con la percezione di questa indennità.
1.3 Cassa integrazione guadagni in deroga (artt. 70 e 71)
In materia di cassa integrazione in deroga, il legislatore, agli artt. 70 e 71 del decreto legge n. 19 maggio 2020, n. 34, cd. decreto Rilancio ha apportato ulteriori modifiche alle previsioni di cui all’art. 22 del D.L. n. 18/2020, così come modificato dalla legge di conversione n. 27/2020. Tale disciplina, si rammenta, riguarda i datori di lavoro del settore privato per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni (di cui ai Titoli I e II del D.LG. n. 148/2015 e successive modificazioni) in materia di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro. In particolare, le novità in commento introdotte al sopracitato articolo 70, riguardano l’ammontare delle risorse finanziarie, i limiti di durata del trattamento, le procedure di concessione e di erogazione nonché le procedure di monitoraggio degli oneri finanziari complessivi. Si precisa, peraltro, che tali disposizioni rinviano espressamente anche agli articoli 22-bis e 22-ter del sopracitato decreto legge n. 18/2020, articoli introdotti dalla disciplina di cui all’articolo 71 del decreto legge n. 34/2020. Il trattamento in esame, inizialmente limitato ai dipendenti già in forza al 23 febbraio 2020 (art. 22, co. 3 D.L. n. 18/2020) e poi esteso anche ai lavoratori assunti tra il 24 febbraio 2020 ed il 17 marzo 2020 (art. 41, D.L. 9 aprile 2020, n. 23), è oggi previsto a decorrere dal 23 febbraio 2020 e limitatamente ai dipendenti già in forza alla data del 25 marzo 2020. A seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, ai datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore, compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, per i quali non trovano applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro, previo accordo che può essere concluso anche in via telematica con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale per i datori di lavoro, sono riconosciuti trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque una durata massima di nove settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro ai quali sia stato interamente già autorizzato un periodo di nove settimane. Le predette ulteriori cinque settimane sono riconosciute secondo le modalità di cui all’articolo 22-ter e tenuto conto di quanto disciplinato all’articolo 22- quater. È altresì garantito un eventuale ulteriore periodo di durata massima di quattro settimane di trattamento di cui al presente comma per periodi decorrenti dal 1° settembre 2020 al 31 ottobre 2020 fruibili ai sensi dell’articolo 22-ter. In proposito si evidenzia che, per i datori di lavoro del settore turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, sarà possibile usufruire delle citate quattro settimane anche per i periodi precedenti al 1° settembre a condizione che i medesimi abbiano interamente fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di quattordici settimane. In merito al conteggio delle settimane di cassa integrazione, si segnala che l’INPS, durante il Tavolo Tecnico tenutosi in modalità telematica, tra i rappresentanti del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ed i rappresentanti della Direzione Generale dell’INPS in data 11 maggio 2020, ha precisato che la possibilità di estendere il criterio, di cui alla circolare INPS n. 58/2009, anche alla cassa integrazione in deroga, oltre che per cassa integrazione e/o dell’assegno ordinario, sono in corso approfondimenti con il Ministero del Lavoro. In base alle norme procedurali di cui al comma 1, capoverso articolo 22-quater, dell’articolo 71 del D.L. n. 34/2020, è confermata la previsione che – nel rispetto del suddetto riparto di risorse – il trattamento in esame possa essere riconosciuto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per i datori di lavoro con unità produttive site in un numero di regioni o province autonome superiore ad una determinata soglia, la quale deve essere individuata con il medesimo decreto ministeriale di definizione del riparto (commi 1, 5 e 6 del capoverso articolo 22-quater). Per i casi che non rientrino nella fattispecie summenzionata di riconoscimento da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la competenza della concessione – limitatamente alle settimane successive alle prime nove già riconosciute – è trasferita dalle regioni all’INPS. Il legislatore ha dunque disposto che per i datori di lavoro con unità produttive site in più Regioni o Province autonome, il trattamento di integrazione salariale in deroga può essere riconosciuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, precisando che con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro 15 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, è stabilito il numero di regioni o province autonome in cui sono localizzate le unità produttive del medesimo datore di lavoro, al di sopra del quale il trattamento è riconosciuto dal predetto Ministero nonché le modalità di attuazione del presente articolo e la ripartizione del limite di spesa complessivo di cui all’articolo 22, comma 3 del predetto decreto legge n. 18 del 2020 tra i differenti soggetti istituzionali preposti al riconoscimento dei trattamenti di cui al medesimo articolo 22. Sul tema, si precisa che i D.M. del 24 marzo 2020 e D.M. del 24 aprile 2020 – con riferimento alle risorse finanziarie ivi ripartite – attribuivano la competenza al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali per le domande relative ai datori aventi unità produttive in cinque o più regioni o province autonome. In merito a tale fattispecie, peraltro, anche l’INPS, con la circolare n. 58 del 7 maggio 2020, facendo seguito alla circolare n. 47 del 3 aprile 2020, e richiamando quanto indicato dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 8 del 8 aprile 2020, ha ribadito che, nel caso di datori di lavoro richiedenti la prestazione di cassa integrazione in deroga con unità produttive site in 5 o più Regioni o Province autonome, l’azienda debba inviare la richiesta d’intervento al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Ferme restando le modalità operative di presentazione di tale domanda al Ministero del Lavoro (1), a seguito dell’avvenuta emanazione del decreto ministeriale, l’azienda deve inviare la domanda di integrazione salariale “modello IG_15_deroga” (cod. “SR100”) all’INPS sulla piattaforma “CIGWEB” con il sistema del “ticket” indicando, tra gli altri dati, il numero del decreto di concessione ministeriale. Le domande dovranno essere trasmesse in relazione alle singole unità produttive censite dall’INPS, anche qualora il decreto abbia autorizzato diverse unità operative. In merito a tale fattispecie, tuttavia, lo stesso Istituto previdenziale ha successivamente precisato che è consentita la possibilità di concentrare l’istanza “modello IG_15_deroga” (cod. “SR100”) su un’unica unità produttiva a scelta, sempreché vi sia identità di numero di matricola. È opportuno, comunque, precisare che tale possibilità però comporta per l’impresa un unico conteggio delle settimane utilizzate (cd. contatori CIG aziendali) che, invece, nel caso di invio dei modelli IG 15 per ciascuna unità produttiva, sarebbe distinto per ciascuna di queste. La medesima procedura, peraltro, potrà essere effettuata anche qualora vi fossero diverse unità operative presenti nell’anagrafica aziendale, che risultino collegate ad un’unica unità produttiva (2). L’Istituto, effettuata l’istruttoria, emette l’autorizzazione inviandola all’azienda a mezzo PEC. Successivamente alla ricezione del provvedimento di autorizzazione, i datori di lavoro dovranno inoltrare all’Istituto la documentazione per la liquidazione dei pagamenti, avvalendosi del modello “SR41” semplificato, al fine di consentire alle strutture territoriali di erogare le prestazioni in argomento. Sul tema, in ultimo, si evidenzia che la procedura di pagamento diretto da parte dell’INPS resta tassativa per i trattamenti in deroga riconosciuti sulle risorse attribuite alle regioni e alle province autonome, mentre la novella di cui alla lettera g) dell’articolo 70, comma 1, prevede che i trattamenti in deroga di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali possano essere altresì corrisposti anche dalle imprese ai sensi della disciplina di cui all’art. 7 del D.LGS. n. 148/2015. La cassa integrazione in deroga, ha manifestato forti criticità durante il periodo della fase uno per come disciplinata dal decreto Cura Italia. La criticità più importante, ovviamente, era legata al ruolo delle regioni chiamate ad erogare le prestazioni insieme all’INPS. Un istituto caratterizzato da 20 procedure diverse che comportava ulteriori ritardi nei pagamenti, infatti, sono state pochissime le regioni che si sono rivelate virtuose in queste settimane. Si realizzò questo numero infinito di regolamentazioni diverse per ciascuna regione, il che significava complessità nel coordinamento di tutte le istanze richieste e dei tempi, in quanto ogni regione ha risposto con tempi e modalità che ha inteso darsi secondo procedure proprie. Il decreto Rilancio interviene per porre rimedio a questa situazione con un’azione volta alla semplificazione, attraverso una previsione che interviene in maniera originale pur tenendo in considerazione l’emergenza e le condizioni straordinarie del momento per le quali si richiedono i trattamenti di integrazione salariale. Ora con l’introduzione dall’articolo 71 del D.L. n. 34/2020, si bypassa quel meccanismo un pò macchinoso, relativo al passaggio con la Regione, quindi, i datori di lavoro possono richiedere la cassa in deroga direttamente all’INPS superando la necessità di rivolgersi alle Regioni. Questo meccanismo vale per i periodi autorizzati e fruiti successivi alle 9 settimane previste dal D.L. Cura Italia.
L’autorizzazione all’INPS dovrà pervenire entro la fine del mese successivo rispetto a quello in cui ha avuto inizio la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, ed in ogni caso, decorsi 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto Rilancio, pertanto questa procedura potrà essere adottata dal 18 giugno per la prima volta. C’è un ulteriore intervento che tende a risolvere un altro problema emergente proprio di questi tempi, è quello legato alla celerità delle provvidenze, ovvero, far avere ai lavoratori questi flussi di liquidità.
Viene introdotta la possibilità per i datori di lavoro che richiedono il pagamento diretto CIGD, di richiedere entro 15 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione, un’anticipazione da parte dell’INPS, che verrà liquidata nei successivi 15 giorni, e che sarà pari al 40% dell’indennità che in prospettiva verrà riconosciuta in base alla dichiarazione del datore di lavoro; entro i 30 giorni successivi il datore di lavoro provvederà a specificare a consuntivo quella che è stata l’effettiva fruizione dell’ammortizzatore sociale, l’INPS quindi elargirà la parte residuale del compenso o eventualmente, come previsto dalla norma, potrà anche prevedere il recupero di somme se l’erogato risulta maggiore del dovuto.
1.4 Conguaglio autorizzazioni CIGO/FIS
Con messaggio n. 1775/20, sono stati dettati i codici per recuperare le anticipazioni delle casse integrazioni e assegno ordinario. Nello stesso è stato indicato che tali codici di conguaglio sarebbero stati differenti, a seconda della destinazione del finanziamento. In buona sostanza, gli ammortizzatori sociali destinati per l’emergenza sanitaria sono finanziati sia con la dotazione ordinaria prevista annualmente, che con la dotazione speciale prevista dal decreto Cura Italia. All’INPS è demandato il compito di monitorare le risorse, ragione per cui l’Istituto ha dovuto distinguere i codici a seconda dell’origine del finanziamento, se ordinario o speciale. Eppure, il predetto messaggio non era chiaro a prima lettura e quindi tutti gli operatori del settore, dagli intermediari passando per le aziende e, perfino, le case di software, non hanno compreso correttamente la distinzione fra i codici.
Istintivamente, pertanto, si sono lanciati su quello che corrispondeva al finanziamento speciale da Covid-19. A seguito di richieste di chiarimento da parte del Consiglio Nazionale, l’INPS ha emanato il messaggio n. 1997/20, col quale ha decisamente messo in chiaro la distinzione dei codici di conguaglio, ribadendo che gli intermediari e le aziende non hanno alcuna possibilità di discernere quale sia il codice giusto per il conguaglio, essendo onere dell’Istituto comunicarlo. A tale proposito sono state avviati diversi canali d’informazione.
INTERMEDIARI:
– da qualche giorno ricevono una mail per tutte le aziende in delega con i codici di autorizzazione, ticket e codice conguaglio per gli ammortizzatori autorizzati;
– cassetto previdenziale azienda/dati complementari/cruscotto CIG e Fondi/ cliccare sul + e poi aprire la seconda freccia in alto a destra.
AZIENDE:
– invio di pec con le informazioni di cui sopra;
– cassetto previdenziale.
Per quanto riguarda, infine, i modelli UniEmens eventualmente già inviati con codici conguaglio errati, l’Istituto si è impegnato ad intercettarli e modificarli direttamente dalle loro procedure.
1.5 Nuove procedure per le istanze CIGO/FIS
L’INPS ha emanato il messaggio n. 2101/20 che anticipa quelle che saranno le nuove modalità tecniche di richiesta delle settimane di sospensione per Covid-19, dopo l’esperienza delle prime nove settimane. Si precisa che tale essaggio anticipa le linee di indirizzo su come saranno le nuove procedure di presentazione delle domande, ma ancora il sistema presenta (per la CIGO soprattutto) le funzionalità non aggiornate. Occorre attendere la circolare che aprirà effettivamente al nuovo sistema. Le novità ad oggi conosciute, quindi, sono relative alla semplificazione sulla eventuale replica delle domande di CIGO e di FIS, fatte per la richiesta delle prime nove settimane. In questo caso, infatti, sarà sufficiente richiamare la domanda precedente e confermare la duplicazione. A questo punto se non ci sono variazioni bisognerà solo variare il periodo e confermare. In caso di cambiamenti, invece, il percorso CIGO/FIS si differenzia. Nel caso di CIGO, infatti, è possibile variare i vari quadri da modificare, compreso l’elenco dei lavoratori. Nel caso di FIS le modifiche che supporta sono solo il periodo e le modalità di pagamento, diretto o a conguaglio, per altre modifiche (ad esempio elenco lavoratori) occorrerà presentare una nuova domanda. Nel messaggio poi si ribadisce il contenuto della circolare 58/09. Come è noto, è l’azienda che ha a disposizione le settimane, all’interno delle quali decide chi inserire o meno in cassa integrazione. Questo sta a significare che, in presenza di 100 lavoratori, se si inoltra una domanda per uno solo e per nove settimane, i restanti 99 non avranno più diritto, in quanto si saranno consumate tutte le settimane a disposizione. Tutt’al più, sarebbe possibile integrare la domanda iniziale, inserendo gli altri lavoratori, ma sempre nel rispetto del periodo iniziale e finale già indicati. Non è, pertanto, possibile fare una domanda con le nove settimane per un primo gruppo di lavoratori che parta il 1.3.2020 e poi una seconda con un secondo gruppo che parta il 1.4.2020. Questo perché in base alla prima domanda le settimane a disposizione dell’azienda si chiudono il 1.5.2020. Per calmierare questo rigido concetto delle settimane, con la circolare n. 58/2009 si è introdotto un criterio di flessibilità per salvare dal conteggio eventuali giorni di cassa integrazione richiesti ma non utilizzati. In pratica a consuntivo della CIGO/FIS richiesta, l’azienda può calcolare esattamente quanti giorni di cassa integrazione sono stati effettivamente fruiti. Dalla somma del numero dei giorni si risale al numero di settimane ancora residue da godere, e che si potranno richiedere con una nuova domanda. Ovviamente bisognerà indicare che trattasi di domanda fondata su ore residue da precedente, inviando un file excel appositamente predisposto. Il conteggio del residuo, sia chiaro, si fonda sul presupposto che si considera fruita ogni giornata in cui almeno un lavoratore, anche per un’ora soltanto, sia stato posto in CIG, indipendentemente dal numero di dipendenti in forza all’azienda. Per ottenere le settimane fruite, si divide il numero delle predette giornate per 5 o 6 a seconda dell’orario contrattuale prevalente in azienda.
Esempio: periodo dal 1.3.2020 al 1.5.2020.
Settimane richieste 9.
Al termine del periodo si contano 30 giornate di cassa (si ribadisce giorni in cui si è fruito, indipendentemente dal numero dei lavoratori).
Si divide il prodotto per il numero di giorni settimanali in cui è organizzata l’attività, 5 o 6, e si ottiene il numero effettivo usufruito.
Nel nostro caso 30:5= 6 settimane.
Residuerebbero, pertanto, 3 settimane che sarà possibile richiedere in coda alla prima istanza, con nuova domanda. Il fatto che l’INPS abbia voluto ribadire tale criterio in questo momento storico, sicuramente lo dobbiamo proprio alle novità introdotte dal D.L. n. 34/20 che ha rifinanziato CIGO e FIS per ulteriori 5+4 settimane.
Tale decreto ha rimesso in ballo, dal 23 febbraio, 18 settimane che però sono concatenate fra loro. Non è possibile richiedere le 5 settimane se non “fruite” interamente le prime 9. A loro volta non sarà possibile richiedere le restanti 4 settimane se non saranno interamente “fruite” le precedenti 5 settimane.
2. AIUTI ALLE IMPRESE, AI LAVORATORI AUTONOMI E ALLE FAMIGLIE
2.1 I contributi a fondo perduto (art. 25)
Al fine di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica “Covid-19”, l’articolo 25 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 introduce un “contributo a fondo perduto” (di seguito “contributo”). Il comma 1 riconosce l’accesso al “contributo” ai soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, di cui al TUIR. La relazione illustrativa chiarisce che vi rientrano anche le imprese esercenti attività agricola o commerciale, anche se svolte in forma di impresa cooperativa.
Il comma 2 esclude espressamente dal “contributo” i soggetti:
– con attività cessata alla data di presentazione dell’istanza di cui al successivo comma 8;
– enti pubblici di cui all’articolo 74 del TUIR;
– intermediari finanziari di cui all’art. 162-bis del TUIR;
– che hanno diritto alla percezione delle indennità di cui all’art. 27 e 38 del D.L. n. 18/2020 (si tratta dei percettori dell’indennità di €. 600,00 per lavoratori autonomi, co.co.co e lavoratori dello spettacolo);
– professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria.
Ai sensi dei commi 3 e 4 il contributo spetta a condizione che:
– i soggetti individuati al comma 1 abbiano conseguito, nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto in commento, ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, lettere a) e b), del TUIR, o compensi di cui all’articolo 54, comma 1, del TUIR non superiori a 5 milioni di euro (comma 3);
– l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Ai fini del computo dei predetti importi si fa riferimento alla data di effettuazione dell’operazione di cessione di beni o di prestazione dei servizi (comma 4).
Il contributo spetta anche in assenza del requisito di cui al comma 4 ai seguenti soggetti che:
– hanno iniziato l’attività dal 1° gennaio 2019;
– a far data dall’insorgenza dell’evento calamitoso hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti da eventi calamitosi (es. eventi sismici, alluvioni, ecc.), i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19 del 31 gennaio 2020.
Ai sensi del comma 5, alla differenza tra l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019, si applicano le seguenti percentuali in funzione all’entità dei ricavi e compensi conseguiti nel periodo d’imposta precedente:
– 20% fino a 400.000 euro di ricavi o compensi;
– 15% superiori a 400.000 euro e fino a 1 milione di euro di ricavi o compensi;
– 10% superiori a 1 milione di euro e fino a 5 milioni di euro di ricavi o compensi.
Il contributo è comunque riconosciuto ai soggetti di cui alla platea del comma 1, in possesso dei requisiti di cui ai commi 3 e 4, per un importo non inferiore a:
– 1.000 euro per le persone fisiche;
– 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.
Al fine di ottenere il contributo, i soggetti interessati presentano, esclusivamente in via telematica, una istanza all’Agenzia delle Entrate entro 60 giorni dalla data di avvio della procedura telematica che sarà definita con provvedimento del Direttore dell’Amministrazione finanziaria. Il contribuente può delegare alla presentazione della predetta istanza un intermediario abilitato di cui all’art. 3, c.3 D.P.R. n. 322/98 delegato al servizio del cassetto fiscale dell’Agenzia o ai servizi per la fatturazione elettronica. L’istanza contiene l’autocertificazione che i richiedenti, nonché i soggetti di cui all’articolo 85, commi 1 e 2, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (es. direttori tecnici), non si trovino nelle condizioni ostative di cui all’articolo 67 del D.Lgs. n. 159 del 2011 (persone sottoposte a misure di prevenzione).
Il contributo è corrisposto dall’Agenzia delle Entrate mediante accreditamento diretto in conto corrente bancario o postale intestato al beneficiario. Inoltre, esso non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi e del valore della produzione netta ai fini IRAP e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 (interessi passivi) e 109, comma 5 del TUIR. Ai sensi del comma 12 qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, anche a seguito del mancato superamento della verifica antimafia, l’Agenzia recupera l’importo non spettante, irrogando le sanzioni dal 100% al 200% di cui all’art 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, n. 471 e gli interessi dovuti ai sensi dell’art. 20, D.P.R. n. 602/1973, in base alle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 421 a 423, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Per le controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal D.Lgs. n. 546/92 in materia di contezioso tributario. Nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l’articolo 316-ter del codice penale rubricato “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” che prevede una reclusione da sei mesi a tre anni nel caso di somma indebitamente percepita superiore ad euro 3.999,96. Infine, qualora successivamente all’erogazione del contributo, l’attività d’impresa o di lavoro autonomo cessi o le società e gli altri enti percettori cessino l’attività, il soggetto firmatario dell’istanza sarà tenuto a conservare tutti gli elementi giustificativi del contributo spettante e a esibirli a richiesta agli organi istruttori dell’amministrazione finanziaria.
2.2 Credito d’imposta per i canoni di locazione degli immobili ad uso non abitativo e affitto d’azienda (art. 28)
Al fine di contenere i costi derivanti dai canoni di locazione sostenuti durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19, l’articolo 28 del decreto in commento istituisce uno specifico credito d’imposta spettante ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto. Ai sensi del comma 4, il predetto credito d’imposta spetta anche agli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, in relazione al canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale. Il credito d’imposta è pari al 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo. Nel caso di canoni dovuti per servizi a prestazioni complesse (es. locazione di ufficio con servizio di segreteria annesso) oppure in caso di affitto d’azienda, comprensivi di almeno un immobile a uso non abitativo destinato allo svolgimento delle citate attività, il credito spetta nella misura del 30% dei relativi canoni. Ai sensi del comma 3 i predetti crediti di imposta (60% e 30%) spettano alle strutture alberghiere e agrituristiche indipendentemente dal volume di ricavi e compensi del periodo d’imposta precedente. Il credito non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi e del valore della produzione netta, ai fini IRAP e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 (interessi passivi) e 109, comma 5 del TUIR. Il credito d’imposta è commisurato all’importo versato nel periodo d’imposta 2020 con riferimento a ciascuno dei mesi di marzo, aprile e maggio e per le strutture turistico ricettive con attività solo stagionale con riferimento a ciascuno dei mesi di aprile, maggio e giugno. Il credito spetta a condizione che i conduttori abbiano subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento di almeno il 50% per cento rispetto allo stesso mese del periodo d’imposta precedente. L’importo spettante è utilizzabile nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento della spesa ovvero in compensazione, ai sensi dell’articolo 17, D.LGS. n. 241/1997, successivamente all’avvenuto pagamento dei canoni. Ai sensi del comma 7 non si applicano i limiti di cui all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (euro 250.000) e di cui all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (euro 1.000.000) (3). Il credito d’imposta non è cumulabile con il credito di cui all’articolo 65, D.L. n. 18/2020 (credito d’imposta per botteghe e negozi) in relazione alle medesime spese sostenute.
2.3 Introduzione, proroga e modifiche dei bonus per lavoratori autonomi
La norma capostipite che ha introdotto i bonus che affronteremo, è il D.L. 18/2020, ossia il decreto Cura Italia, che ha disciplinato agli artt. 27 e ss. Una serie di bonus, molti dei quali sono rivolti proprio ai lavoratori autonomi.
L’art. 27 del decreto Cura Italia, integrato dal messaggio INPS n. 1288/2020, ha introdotto una indennità esente di €. 600,00 per i liberi professionisti con partita iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 (compresi i partecipanti agli studi associati o società semplici con attività di lavoro autonomo), iscritti alla Gestione Separata INPS, e per i Collaboratori Coordinati e Continuativi con rapporto attivo alla medesima data e anch’essi iscritti alla Gestione Separata INPS. Il decreto Rilancio n. 34, del 19 maggio 2020, è intervenuto prorogando il diritto a percepire detta indennità anche per il mese di aprile. È stata poi introdotta ex novo, con il c. 2 dell’art 84 una indennità di €. 1.000,00 per il mese di maggio per quei liberi professionisti, titolari di partita iva attiva alla data di entrata in vigore del decreto, iscritti alla gestione separata, che abbiano subito una comprovata riduzione di almeno il 33 per cento del reddito del secondo bimestre 2020, rispetto al reddito del secondo bimestre 2019.
È necessario porgere attenzione al fatto che Il reddito di cui sopra, deve essere individuato secondo il principio di cassa come differenza tra i ricavi e I compensi percepiti e le spese effettivamente sostenute nel periodo interessato e nell’esercizio dell’attività, comprese le eventuali quote di ammortamento. Per ottenere l’indennità, il soggetto deve presentare all’INPS la domanda nella quale autocertifica il possesso dei requisiti, l’INPS a sua volta comunica all’agenzia delle entrate i dati identificativi dei soggetti che hanno presentato l’autocertificazione per la verifica dei requisiti, e infine quest’ultima comunica all’INPS l’esito dei riscontri effettuati circa il possesso dei requisiti ai fini dell’erogazione. Con il c. 3 del medesimo articolo, poi, ai Collaboratori Coordinati e Continuativi, iscritti alla Gestione Separata, che abbiano cessato il rapporto di lavoro alla data di entrata in vigore del decreto, è riconosciuta un’indennità per il mese di maggio 2020 pari a €.1.000,00. Passando poi all’art. 28 del D.L. 18/2020, convertito nella L. 27/2020, con il quale veniva introdotta una indennità da riconoscersi ai lavoratori iscritti alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi artigiani, commercianti, coltivatori diretti, mezzadri e coloni, anche in questo caso il decreto Rilancio è intervenuto prorogando la spettanza anche al mese di aprile. Sempre in tema di lavoro autonomo, si ricorda che il decreto Rilancio ancora una volta all’art. 84, ma al comma 8 lettera c), ha introdotto, per i mesi di aprile e maggio, una indennità di €. 600,00, da riconoscersi al verificarsi di determinate condizioni. Trattasi in buona parte del riconoscimento economico rivolto a quelle categorie di lavoratori ammessi prima dal decreto del Ministero del Lavoro di concerto con il Ministero dell’Economia del 30/04/2020 (protocollato in data 04/05/2020 n. 10) che aveva a sua volta provveduto ad estendere l’indennità esentasse di €. 600,00 per il mese di marzo a nuove categorie di lavoratori autonomi (ma anche dipendenti). Nello specifico, le indennità destinate a percettori autonomi, sono quelle rivolte a:
– lavoratori autonomi, privi di partita iva, non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, che nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 febbraio 2020 siano stati titolari di contratti autonomi occasionali ex articolo 2222 del c.c. e che non abbiano un contratto in essere alla data del 23 febbraio 2020, a patto che siano già iscritti alla medesima data alla gestione separata con accredito nello stesso arco temporale di almeno un contributo mensile;
– incaricati delle vendite a domicilio titolari di partita iva.
Merita di essere evidenziato il termine decadenziale introdotto dal D.L. Rilancio in ragione del quale, il diritto a richiedere le indennità relative agli artt. 27, 28 appena analizzati (ma anche quelle contenute negli art. 29, 30 e 38) di cui al D.L. 18/2020 decade una volta decorsi 15 gg dall’entrata in vigore del decreto ossia dal 19 maggio 2020. È altresì importante rammentare che il decreto interministeriale n. 10 del 30 aprile 2020, ha determinato che fossero sbloccate le richieste del bonus €. 600,00 presentate dai liberi professionisti e dai lavoratori autonomi non pensionati nel mese di marzo, che non sono state processate dalle casse di previdenza d’iscrizione per esaurimento delle risorse finanziarie stanziate. Per quanto attiene invece alle previsioni in favore dei professionisti iscritti a casse di previdenza private dobbiamo rifarci, in prima battuta, a quanto previsto dall’art. 44 del decreto Cura Italia, in merito al reddito di ultima istanza, che rinviando all’emanazione di un decreto Ministeriale per la disciplina, ha introdotto una indennità anche in favore dei professionisti iscritti a casse di previdenza private. I criteri attuativi hanno trovato sviluppo nel decreto Interministeriale 28 marzo 2020 con cui è stata prevista l’estensione per il mese di marzo 2020 dell’indennità pari a €. 600,00, che non concorre alla formazione del reddito imponibile, anche per i professionisti e gli autonomi iscritti alle casse private di previdenza obbligatoria che abbiano percepito, nell’anno di imposta 2018, un reddito complessivo:
– non superiore a €. 35.000,00 se l’attività sia stata limitata dai provvedimenti restrittivi emanati in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19;
– oppure tra €. 35.000,00 e €. 50.000,00 e che abbiano cessato l’attività con chiusura della partita iva, nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 e il 31 marzo 2020 o ridotto o sospeso la loro attività autonoma o libero-professionale in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.
In entrambi i casi, doveva essere provata una riduzione di almeno il 33% del reddito del primo trimestre 2020, rispetto al reddito del primo trimestre 2019. Anche in questo caso il reddito era da individuarsi secondo il principio di cassa e il professionista/lavoratore autonomo doveva essere in regola con gli obblighi contributivi relativi all’anno 2019. Il decreto Rilancio all’art. 78 ha esteso anche ai mesi di aprile e maggio le indennità di cui all’art. 44 del D.L.18/2020, concedendo però 60, (non più 30 gg) di tempo per l’emanazione di un nuovo decreto attuativo che determinerà importi, criteri di priorità e modalità di attribuzione dell’indennità (che non saranno quindi quelle sopra declinate che si applicavano solo alla indennità del mese di marzo). Dal momento che il parametro reddituale in base al quale verificare la sussistenza del diritto alla richiamata indennità è rappresentato, dal reddito complessivo percepito per l’anno di imposta 2018; tale reddito può non coincidere, pertanto, con il solo reddito derivante dall’esercizio della professione. Pertanto, nulla osta alla concessione del beneficio anche ai neoiscritti che non abbiano maturato reddito professionale nel 2018, purché abbiano un reddito da lavoro complessivo entro i limiti indicati dal legislatore. Rammarica e indispone la mancata estensione della norma sul contributo a fondo perduto introdotta dall’art. 25 del decreto Rilancio ai professionisti iscritti agli albi professionali ed alle relative casse di previdenza professionale. Dal punto di vista giuridico, dal momento che anche in ambito comunitario, i liberi professionisti sono qualificati come imprenditori, appare incomprensibile e direi discriminatoria, la loro esclusione dalla fruizione di questo contributo. Parimenti amareggia il fatto che non sia stato dato modo ai professionisti, di poter anticipare il recupero del credito d’imposta da ritenute d’acconto relativo all’anno 2019, in deroga alle disposizioni della legge di Stabilità per l’anno 2020.
2.3.1 L’indennità di 600 euro e compatibilità con altre prestazioni previdenziali
Innanzitutto, in linea di massima le indennità (non solo quella da €.600,00) non possono essere riconosciute a lavoratori che siano titolari di pensione o iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. Già l’art. 31 del D.L. Cura Italia, ma ancora l’art. 86 del decreto Rilancio, occupandosi delle incumulabilità, precisano che dette indennità non sono tra esse cumulabili.
Mentre poi il D.L. Cura Italia ha previsto che non lo sono nemmeno con il reddito di cittadinanza, con il D.L. Rilancio, all’art. 84 c. 13, è stato previsto che, qualora la richiesta arrivi da un percettore di reddito di cittadinanza, l’indennità verrà erogata fino al raggiungimento della somma complessiva di €. 600,00 se l’importo del reddito di cittadinanza in godimento è inferiore a €. 600,00. Il D.L. n. 34/2020, con l’art. 78 ha poi aggiunto la possibilità di cumulare l’indennità in parola con l’assegno ordinario di invalidità. In questo caso vale la pena di evidenziare che sarebbe auspicabile estendere la compatibilità del bonus alle pensioni di invalidità erogate dalle casse di previdenza professionale: è evidente, infatti, che – di regola – un professionista invalido fruisca del trattamento erogato dalla propria cassa professionale e non dell’assegno erogato dall’INPS al quale egli non è iscritto. Le indennità previste per i liberi professionisti iscritti a forme di previdenza privata obbligatoria sono riconosciute solo se i soggetti titolari della prestazione, alla data di presentazione della domanda, non sono in alcuna delle seguenti condizioni:
– titolari di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
– titolari di pensione.
Ancora, l’indennità Covid-19 è compatibile – e cumulabile – con l’indennità di disoccupazione Dis-Coll, per cui i Collaboratori Coordinati e Continuativi possono accedere, in presenza di cessazione involontaria del rapporto di collaborazione e degli ulteriori requisiti legislativamente previsti, alla prestazione Dis-Coll indipendentemente dalla fruizione dell’indennità (INPS circ. N. 49/2020) ed infine, come per la NASpI, l’indennità è compatibile e cumulabile con le erogazioni monetarie derivanti da borse lavoro, stage e tirocini professionali, premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale, premi e compensi conseguiti per lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica nonché con le prestazioni di lavoro occasionale. Il tutto ovviamente nei limiti di compensi di importo non superiore a €.5.000,00 per anno civile.
2.4 Fondo per reddito di ultima istanza
Circa l’indennità relativa al “Fondo per reddito di ultima istanza”, prevista dall’articolo 44 del D.L.18/2020 e dal D.M. 28 marzo 2020 per il mese di marzo in €. 600,00, sono complessivamente 510.000 le domande inviate dagli iscritti agli Enti di previdenza privatizzati, ossia ben il 35% dei professionisti italiani. I Consulenti del Lavoro che hanno a loro volta 19 presentato richiesta sono 10.400, pari al 40% dell’intera categoria. Per quanto riguarda le medesime indennità, relative però ai mesi di aprile e maggio, l’articolo 78 del D.L. n. 34/2020 ne prevede il riconoscimento solo dopo la pubblicazione di un ulteriore DM dunque non è previsto alcun automatismo che preveda il pagamento delle due ulteriori mensilità in favore di chi ha già ricevuto l’indennità a marzo. Non solo, la nuova disciplina muta in parte i requisiti di accesso al sussidio: mentre non è più necessario essere iscritti “in via esclusivA” ad un ente privatizzato, tuttavia occorre non essere (anche) titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Inoltre, è stata mantenuta la preclusione per coloro che sono titolari di trattamento pensionistico, comprese le pensioni di invalidità e a superstiti.
Quindi è evidente che, mutati in parte i requisiti, occorrerà presentare da parte degli interessati una nuova domanda per ottenere l’indennità. La struttura organizzativa di ENPACL è comunque già pronta a raccogliere in forma telematica le domande ed anche le istruttorie saranno completamente automatizzate. Tuttavia, sussiste un refuso presente nel testo: tra le incumulabilità fra i vari sussidi, bonus e indennità previsti nel decreto pubblicato, all’articolo 86 figura anche quella tra l’indennità di marzo (ex articolo 44 del D.L.18/2020) e quelle di aprile/maggio (articolo 78 del D.L. n. 34/2020). Si confida in una correzione del testo, che permetterebbe di avviare tempestivamente l’intera procedura di liquidazione delle indennità. Va sottolineato che per le due nuove mensilità la misura del sussidio potrebbe non essere di €. 600,00, ma forse maggiore:
il fondo, infatti, è stato finanziato con risorse sufficienti a coprire una misura più elevata. Infine, occorre evidenziare che l’Enpacl, come anticipato dal Presidente, Alessandro Visparelli – nel corso dei recenti “Stati generali dei Consulenti del Lavoro” – ha intenzione di elevare a mille euro tali indennità, attraverso l’erogazione di provvidenze straordinarie. Per poter realizzare questo, l’Assemblea dei Delegati dell’Ente, all’unanimità, ha approvato di recente una misura straordinaria, a valere solo per l’anno 2020, attraverso la quale è stato elevato da 4 a 19 milioni di euro lo stanziamento a bilancio per prestazioni assistenziali. Anche questo dimostra che l’Ente previdenziale non è indifferente alla situazione di difficoltà economica della Categoria: per la prima volta nella sua storia, infatti, ha deciso di utilizzare parte del proprio patrimonio finanziario – che ammonta a oltre 1 miliardo e 200 milioni di euro, che altro non sono che il risparmio previdenziale di 48 anni di carriera previdenziale di questa Categoria – pari a oltre 100 milioni di euro, per indirizzarlo verso il patrimonio reale dell’Ente che sono i Consulenti del Lavoro. Si auspica ora che i Ministeri vigilanti approvino con tempestività le misure adottate dall’Assemblea.
Sono molti gli interventi messi in campo dall’Ente in questi due mesi di emergenza epidemiologica: uno dei primissimi provvedimenti adottati dal Consiglio di Amministrazione, già il 6 marzo, è stato quello di rivolgere un sussidio economico ai colleghi (oggi sono oltre 250) che sono stati sottoposti a isolamento domiciliare da parte delle Autorità sanitarie o sono stati ricoverati in ospedale a causa del Covid-19. Tutti costoro hanno ricevuto un sussidio a fondo perduto dai 3 ai 10.000 euro. Inoltre, l’Enpacl ha sottoscritto una polizza ‘temporanea caso mortè, senza oneri per gli associati, attraverso la quale tutti gli iscritti sono coperti contro il rischio di premorienza. Inoltre, sono state sottoscritte due convenzioni per favorire l’accesso al credito, una con la Banca Tesoriera dell’Ente e una con la BNL.
Grazie alla garanzia posta dall’Ente, sono già 400 i Consulenti del Lavoro che hanno potuto accedere velocemente a finanziamenti erogati dalla Banca Popolare di Sondrio, fino al 20% del proprio fatturato. Infine, l’Assemblea dei Delegati ha promosso due iniziative mai viste prima nella storia dell’Ente, che riguardano la contribuzione obbligatoria: si cerca per l’anno 2020 di lasciare nelle disponibilità dei Consulenti del Lavoro il denaro che avrebbero dovuto versare per la contribuzione. Per quanto riguarda l’integrativo, è previsto che il contributo minimo non sia dovuto da parte di coloro che dichiareranno un volume d’affari fino a €. 7.800. Per tutti gli altri, vi sarà la possibilità di versare quanto dovuto in 16 rate, a partire da settembre 2020 fino a dicembre 2021. Per il soggettivo, chi ha un reddito fino a €. 35.000,00 potrà decidere di non versare affatto il contributo 2020: l’annualità 2020 sarà comunque valida ai fini dell’anzianità contributiva e il contributo sarà attribuito sul montante dell’interessato nella misura minima, in forma figurativa, al momento del pensionamento. Coloro che hanno un reddito superiore, potranno scegliere se versare il soggettivo applicando l’aliquota del 12% oppure limitarsi al contributo minimo. Anche per tali delibere, perché abbiano efficacia, occorre l’approvazione dei Ministeri. L’Assemblea ha responsabilmente approvato anche una mozione, attraverso la quale è stato assunto l’impegno a recuperare nel corso degli anni il grado di capitalizzazione dell’Ente. Sappiamo che in questo momento di crisi è importante investire in nuove competenze. Negli ultimi tre anni l’Ente ha adottato misure di ‘politica attivà per la Categoria ed ha finanziato diverse iniziative di formazione, indirizzate verso ambiti di mercato professionale ancora poco esplorati. La consulenza pensionistica è una di queste: il cittadino, anche libero professionista, chiede sempre più di essere aiutato a districarsi nella ‘giunglà di norme che si sono stratificate nel tempo in Italia.
Sono molti i lavoratori che hanno carriere lavorative, e quindi posizioni contributive, frammentate. Costoro devono decidere per tempo come utilizzare al meglio i vari spezzoni contributivi. Il Consulente del Lavoro ha le caratteristiche e le competenze per essere anche Consulente della Previdenza. Sono stati formati 1.000 iscritti negli ultimi anni e altri 300 seguono in webinar i corsi quest’anno. Inoltre, ripartiranno i ‘laboratorì, per riprendere i temi previdenziali sui quali sono stati formati negli anni passati i Consulenti. La sicurezza sul lavoro, materia quanto mai attuale, sarà oggetto quest’anno di un apposito corso, in favore di 200 Consulenti. Oggi, quasi 400 Consulenti stanno seguendo un corso in HR management, materia di stretta competenza della Categoria.
Sono state infine previsto un corso di formazione rivolto ad una platea molto ampia di associati, sulle nuove modalità di svolgimento della professione negli studi professionali: sappiamo, infatti, che da un lato il lavoro agile con il quale vengono utilizzati i dipendenti, dall’altra le relazioni con i clienti, sempre più in videoconferenza, stanno trasformando le modalità di gestione dello studio. Su questo tema verrà strutturato un corso ad hoc, realizzato anche grazie alla collaborazione scientifica con la Fondazione studi, che verrà messo a disposizione di un grande numero di Consulenti del Lavoro.
2.5 Reddito di emergenza
Il reddito di emergenza è contenuto nell’art. 82 del decreto Rilancio ed è un sostegno economico straordinario riconosciuto dallo stato. Analogamente al reddito di cittadinanza, il sussidio pubblico spetta ai nuclei familiari in condizione di bisogno ed è compreso in una forbice compresa fra 400 e 840 euro distribuito in due quote mensili, a seconda della composizione del nucleo familiare del richiedente. La quota base è di €. 400,00 e aumenta col numero dei componenti del nucleo analogamente a quanto previsto dal reddito di cittadinanza, ma nel caso di presenza di disabili può incrementarsi fino al limite massimo di €. 840,00 lordi per quota. Il reddito emergenza sarà riconosciuto dall’INPS con un’unica domanda sul portale web dell’Istituto accessibile dal 22 maggio fino al 30 giugno 2020, anche attraverso gli intermediari abilitati, o accedendo con SPID o Pin, nonché carte nazionale dei servizi. I requisiti fondamentali per accedere al REM sono tre: essere residenti in Italia (con riferimento al richiedente), avere un reddito familiare inferiore alla soglia individuata dal comma 5 della norma (pari al valore del REM), e avere un valore del patrimonio mobiliare familiare con riferimento all’anno 2019 inferiore a un valore massimo di €. 10.000,00, accresciuto di €. 5.000,00 per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di €. 20.000,00 con ulteriori €. 5.000,00 nel caso di familiari disabili. Inoltre, il nucleo dovrà avere un valore dell’ISEE al di sotto di €.15.000,00. Il decreto specifica come il reddito familiare sia determinato ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159 con esclusivo riferimento a quello del mese di aprile 2020, determinato secondo il principio di cassa. Il REM non può essere erogato qualora nel medesimo nucleo vi siano soggetti che abbiano goduto delle indennità già disposte dal decreto Cura Italia e rinnovate dal decreto Rilancio per lavoratori parasubordinati, autonomi iscritti alla Gestione Separata di cui all’art. 2 della L. 335/1995, per i lavoratori dello spettacolo, per gli stagionali (non più solo del turismo), autonomi iscritti alle gestioni speciali INPS, nonché titolari di pensione diretta o indiretta (ferma restando la compatibilità con l’assegno ordinario di invalidità); il riconoscimento del reddito di emergenza è altresì incompatibile la presenza nel nucleo del richiedente di titolari di un rapporto di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda sia superiore al valore del REM; il REM non può essere riconosciuto nemmeno ai nuclei familiari con percettori di reddito di cittadinanza. I richiedenti potranno anche utilizzare il modello ISEE precompilato entrato in uso nel 2020. La norma specifica anche che l’INPS e l’Agenzia delle Entrate potranno scambiarsi dati al fine di verificare i dati relativi ai saldi e alle giacenze medie del patrimonio mobiliare del nucleo del richiedente REM. Le modalità operative di richiesta del REM saranno infine specificate da una Circolare dedicata da parte di INPS. Infine, va ricordato come il REM non spetti ai soggetti che si trovano in stato detentivo per tutta la durata della pena, né a favore di coloro che sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato.
3. PROVVEDIMENTI PER LAVORATORI SUBORDINATI
3.1 Il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dal 17 marzo al 17 agosto 2020
Con l’art. 46 del D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni nella legge n.27/2020, il legislatore ha previsto una norma eccezionale in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo.
Rispetto alla decorrenza di validità temporale della norma in esame va detto che il decreto è stato pubblicato nella G.U. n. 70 del 17 marzo 2020. Pertanto, il divieto de quo rimaneva in vigore per sessanta giorni sino al 16 maggio 2020, venendo, poi, modificato dal decreto legge n. 34/2020, entrato in vigore il 19 maggio, che sostituisce il termine di “60 giorni” citato con il termine di “cinque mesi”. Ne deriva che il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rimane sino al 17 agosto 2020. In riferimento ai giorni 17 e 18 maggio si individua una “vacatio legis”. La materia richiede molta prudenza. In ogni caso si ritiene che, essendovi una “vacatio legis”, non potendosi prevedere in virtù dell’art. 11 delle preleggi una retroattività del divieto, potrebbe ammettersi la legittimità dei licenziamenti perfezionatisi il 17 e 18 maggio. Ciò significa che la lettera di licenziamento deve essere stata consegnata al lavoratore il 17 o il 18 maggio con efficacia immediata (con preavviso pagato in indennità sostitutiva). Rimane, poi, da risolvere la problematica inerente alle aziende che abbiano cessato l’attività, per le quali l’operatività del divieto risulta senza alcun dubbio “sproporzionata” ed in completa violazione dell’art. 41 della costituzione. In via preliminare, va sottolineato che il legislatore in sede di conversione in legge (27/2020) del decreto legge n. 18/2020 ha inserito una eccezione rispetto alla formulazione originaria della norma e cioè fa salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto.
Orbene, l’art. 46 del D.L.18/2020 “Cura Italia”, entrato in vigore il 17 marzo 2020, sospende ope legis per 60 giorni (dal 17 marzo al 16 maggio, esteso ora al 17 agosto):
1. sia l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223;
2. sia le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020.
Inoltre, il legislatore introduce per il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, il divieto di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604. Successivamente, l’art. 80 del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020, c.d. Rilancio, in modifica dell’art. 46 del D.L. 18/2020:
– estende il periodo interessato dal divieto di licenziamento di cui sopra, sostituendo il termine di 60 giorni con il termine di 5 mesi (l’ultimo giorno di operatività del divieto – si ribadisce – diventa il 17 agosto 2020);
– dispone la sospensione delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604;
– stabilisce che il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli artt. 19 e 22 del D.L. n. 34/2020 medesimo, dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.
Da ultimo giova sottolineare che le disposizioni di cui al D.L. n. 34/2020 c.d. Rilancio, entrano in vigore il 19 maggio 2020. Come sopra sottolineato, l’art. 46 cit. prevede un divieto di recesso dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604, caratterizzato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Ciò detto, va sottolineato che il licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione conseguente ad inidoneità fisica del lavoratore, rientri nell’ambito del giustificato motivo oggettivo. Alla luce dei principi più volte enunciati dalla Suprema Corte (4), secondo cui l’impossibilità sopravvenuta parziale per fatti estranei al rapporto di lavoro non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, ma consente il licenziamento ove, in base ad un giudizio “ex ante” – che tenga conto delle dimensioni dell’impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva in essa attuato, della natura ed importanza delle mansioni del lavoratore, nonché del già maturato periodo di sua assenza, della ragionevolmente prevedibile ulteriore durata dell’impossibilità sopravvenuta, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell’assenza – costituisca un giustificato motivo oggettivo di recesso, non persistendo l’interesse dal datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente (5). Dall’analisi sopra svolta in merito al concetto di giustificato motivo oggettivo dovrebbero essere escluse dal divieto di licenziamento ex art. 46 in commento le seguenti fattispecie:
1. il licenziamento per superamento del periodo di comporto, ai sensi dell’art. 2110 c.c. (superamento del diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia). Si tratta di una fattispecie di licenziamento che il legislatore ha disciplinato in via speciale, distinguendola dalla regolamentazione propria del licenziamento per motivo oggettivo. Infatti, il compimento del periodo di comporto, costituisce l’elemento essenziale e sufficiente ai fini della validità dell’atto di recesso. Al riguardo, si sottolinea che il legislatore non pone come requisito di legittimità del licenziamento de quo l’accertamento della incompatibilità tra le assenze e l’assetto organizzativo o tecnico-produttivo dell’impresa. Pertanto, in termini processuali la legge non richiede che il datore di lavoro assolva all’onere probatorio in merito alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo, all’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa e all’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (6). Dunque, secondo la S.C. l’art. 2110, comma 2, c.c. delinea “un’astratta predeterminazione del punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre d’un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale” (7);
2. il licenziamento disciplinare, che, come noto, è una fattispecie di risoluzione del rapporto che ricomprende sia il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (art. 3 della legge 604/1966), cioè il licenziamento, con preavviso, causato da un “notevole inadempimento” del lavoratore ai suoi obblighi contrattuali, sia il licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.), e cioè il licenziamento, senza preavviso, determinato da un comportamento disciplinarmente rilevante del lavoratore talmente grave da non consentire, nemmeno in via temporanea, la prosecuzione del rapporto di lavoro. Orbene, sulla esclusione dal divieto di licenziare, stabilito dall’art. 46 in commento, non corrono dubbi, attesa la mancata previsione legislativa nell’ambito applicativo dell’art. 46 medesimo. Parimenti, rimangono escluse dal divieto de quo le c.d. dimissioni per giusta causa;
3. il licenziamento mancato superamento del periodo di prova. Come noto al momento della stipulazione del contratto di lavoro, le parti possono concordare un periodo di prova, al fine di valutare la convenienza del rapporto di lavoro (8). Il recesso in questione non determina una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non dovendo il datore di lavoro dimostrare la sussistenza dei requisiti ex art. 3 L. n. 604/66, ai fini della legittimità del recesso medesimo;
4. il licenziamento dei dirigenti. Poiché il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla legge n. 604 del 1966, la nozione di “giustificatezza” posta dalla contrattazione collettiva al fine della legittimità del licenziamento non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall’art. 3 della stessa legge. Ne consegue che, ai fini dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la suddetta “giustificatezza” non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione (9). Anche il recesso in questione, pertanto, non determina una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non dovendo il datore di lavoro dimostrare la sussistenza dei requisiti ex art. 3 L. n. 604/66, ai fini della legittimità del recesso medesimo;
5. recesso da un contratto di apprendistato al termine del periodo di formazione. Come noto, in virtù dell’art. 42 comma 4, D.Lgs. n. 81/2015, al termine del periodo di apprendistato le parti possono recedere dal contratto, ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile, con preavviso decorrente dal medesimo termine. Durante il periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti recede il rapporto, lo stesso prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Trattasi di una fattispecie di recesso ad nutum dal legislatore, che esula dal campo di applicazione del giustificato motivo;
6. ipotesi residuali. Non rientrano nell’ambito di applicazione del concetto di giustificato motivo oggettivo: il licenziamento dei domestici; il licenziamento per raggiungimento del limite massimo di età al fine dell’ottenimento della pensione di vecchiaia. La violazione del divieto del licenziamento, come previsto dall’art. 46 in commento, determina la nullità del licenziamento stesso. Il regime applicabile, ai fini della individuazione della tutela, muta in rapporto alla data di assunzione del lavoratore. Pertanto, ai lavoratori già in forza al 6 marzo 2015 si applica la tutela prevista dall’art. 18, commi 1-3, L. n. 300/1970, mentre ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 si applica la tutela prevista dall’art. 2 D.LGL. n. 23/2015. In sostanza, la differenza principale tra le due menzionate tutele va individuata nella diversa retribuzione da prendere a base per calcolare sia l’indennità sostitutiva della reintegra sia il risarcimento spettante al lavoratore.
3.2 Smart working (art. 90)
Il D.L. Rilancio ha previsto, fino alla fine dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, la possibilità, per i datori di lavoro privati, di ricorrere al lavoro agile per ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali fermo però restando gli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81. In particolare, il datore di lavoro dovrà fornire, anche in via telematica, e ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. I lavoratori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio di età inferiore a 14 anni, hanno diritto a svolgere la prestazione in modalità agile a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito nel caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore. La modalità di lavoro agile dovrà risultare compatibile con le caratteristiche della prestazione e potrà essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora il datore di lavoro non sia in grado di fornirli. In qualsiasi caso i datori di lavoro, anche attraverso gli intermediari abilitati, dovranno comunicare al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in via telematica tramite il sito www.cliclavoro.gov.it, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione in modalità agile.
3.3 Rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato (art. 93)
Il decreto Rilancio introduce una nuova deroga sui contratti a termine che ne rendono l’utilizzo più adeguato all’attuale fase che dovrebbe essere caratterizzata dal riavvio delle attività. L’art. 93 del D.L. n. 34/2020 prevede la possibilità di prorogare, oltre i 12 mesi, o rinnovare, senza l’indicazione della motivazione (regioni sostitutive, motivi eccezionali e imprevisti o non prevedibili) un rapporto di lavoro a termine parchè lo stesso fosse in essere al 23 febbraio 2020 per far fronte al riavvio delle attività. La genericità della formulazione utilizzata nell’incipit dell’art. 93 (“per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da Covid-19”), pur non essendo chiarissima, lascia intendere che tale possibilità sia estesa a tutti i datori di lavoro non escludendo quelli che non hanno mai sospeso l’attività in questa fase emergenziale. Il legislatore esclude espressamente da tale previsione tutti i contratti a termine che sono scaduti prima del 23 febbraio 2020, così come tutti i contratti stipulati successivamente alla predetta data.
Ciò sta a significare che un contratto scaduto prima del 23 febbraio potrà essere rinnovato solo con l’apposizione di una delle causali come disciplinate dall’art. 19 c. 1 D. Lgs. n. 81/2015. La deroga di cui trattasi risulta essere operante, però, solo fino alla data del 30 agosto 2020. La formulazione normativa utilizzata lascia spazio a qualche dubbio interpretativo circa la possibilità di estendere la durata dei contratti, prorogati o rinnovati senza causale, anche dopo il 30 agosto 2020. In assenza di specifiche indicazioni anche della prassi e auspicando una migliore formulazione del testo normativo in sede di conversione in legge, è però lecito ritenere che la volontà del legislatore sia stata, in una fase molto delicata come quella del riavvio delle attività visto anche l’incertezza legata alla pandemia, di consentire la sottoscrizione di un accordo di proroga o di rinnovo entro il 30 agosto 2020 mantenendo inalterata la durata ordinaria del contratto a termine nonché il numero massimo di proroghe.
3.4 Congedo parentale Covid-19 e bonus Baby Sitting
Lo scorso 17 marzo è entrato in vigore il D.L. 18/2020 (c.d. “Cura Italia”), convertito poi con modificazioni in legge n. 27/2020, che ha introdotto, agli art. 23 e 25 D.L. 18/2020, diverse misure a sostegno dei lavoratori tra le quali un congedo ad hoc indennizzato dall’INPS per la cura dei minori durante il periodo di chiusura dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado. L’obiettivo originario, nella prima fase del lockdown, era di permettere ai lavoratori operanti in settori definiti “essenziali per il Paese”, di occuparsi dell’assistenza e della cura dei figli, a loro volta obbligati a rimanere fra le mura domestiche in conseguenza dei provvedimenti amministrativi volti a limitare il diffondersi dell’epidemia da Covid-19. La durata complessiva di tale congedo parentale Covid-19 era inizialmente pari a 15 giorni complessivi, a decorrere dal 05 marzo. Oggi l’art. 72 del D.L. n. 34/2020 (c.d. Rilancio) modifica il comma 1 dell’art. 23 del D.L. Cura Italia portando la durata del congedo Covid-19 a 30 giorni complessivi da fruire o in modalità continuativa o in modalità frazionata ove, per frazionata, si intende per giornate intere e non in modalità oraria. Il congedo va fruito entro il 31 luglio, venendo quindi meno la previsione della riapertura dei servizi educativi o scolastici. Il diritto alla fruizione del congedo è riconosciuto al lavoratore purché il nucleo familiare sia composto da:
– figli di età non superiore a 12 anni;
– figli disabili in situazione di gravità accertata iscritti a scuole di ogni ordine e grado ospitati in centri diurni, a prescindere dall’età.
Il congedo prevede un indennità a carico dell’INPS fissata nella misura del 50% della retribuzione calcolata secondo quanto previsto dal Testo Unico maternità (art. 23 D.LGS. 151/2001), ma senza ricomprendere il rateo giornaliero delle mensilità aggiuntive e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati. Il computo delle giornate ed il pagamento dell’indennità viene effettuato in egual modo del congedo parentale. I periodi fruiti in congedo Covid-19 sono coperti da contribuzione figurativa. Il congedo può essere fruito sia dai genitori lavoratori dipendenti del settore privato che del settore pubblico, nonché da lavoratori iscritti in via esclusiva alla Gestione separata e da lavoratori autonomi inscritti alle Gestioni speciali INPS. Il congedo Covid-19 può essere richiesto anche per i figli minori di 16 anni ma, in questo caso, non vi è nessuna corresponsione economica e tanto meno nessuna copertura figurativa; il lavoratore 28 beneficerà della conservazione del posto di lavoro. Durante la fruizione del congedo vige il divieto di licenziamento.
Si parla di durata “complessiva” in quanto il limite dei 30 giorni è per nucleo familiare. I genitori lavoratori possono fruirne solo alternativamente. Il congedo Covid-19 è fruibile a condizione che:
– nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa;
– non vi sia altro genitore disoccupato o non lavoratore.
I genitori lavoratori con figli di età fino ai 12 anni che vogliano fruire del congedo Covid-19 devono presentare istanza all’INPS e darne comunicazione al proprio datore di lavoro. L’istituto previdenziale, a partire dal 30 marzo, ha predisposto apposita procedura telematica di compilazione e invio on line delle domande. La nuova procedura consente di inoltrare la domanda anche per periodi precedenti la stessa data di presentazione della domanda on line, chiaramente per periodi non anteriori al 5 marzo 2020.
Poiché i congedi per figli di età compresa tra i 12 e fino a 16 anni, non danno diritto all’indennità a carico dell’INPS, i lavoratori interessati non devono presentare istanza telematica all’INPS ma comunicare la volontà di utilizzare il congedo sola al proprio datore di lavoro. I lavoratori che abbiano già presentato domanda di congedo parentale non dovranno presentare una nuova domanda di congedo Covid-19, potendo proseguire l’astensione per i periodi richiesti. I giorni di congedo parentale fruiti durante il periodo di sospensione, infatti, saranno trasformati direttamente dall’istituto previdenziale come congedo Covid-19. Come per il congedo parentale il c.d. decreto “Cura Italia” ha previsto, in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole, la possibilità di fruizione di un bonus per i servizi di baby-sitting. Il bonus erogato in alternativa allo specifico congedo parentale Covid-19 destinato a famiglie con figli fino a 12 anni aveva un valore iniziale pari a €. 600,00 che arriva ad un valore di €. 1.000,00 per i lavoratori dipendenti del settore sanitario, nonché al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico impiegato per le esigenze connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, erogato dall’INPS attraverso il “Libretto Famiglia”. Oggi l’art. 72 del D.L. 34/2020, modificando il comma 8 dell’art. 23 del D.L. 18/2020 duplica il valore del bonus elevando l’importo da €. 600,00 a €. 1.200,00 e stabilisce che lo stesso è erogato, in alternativa direttamente al lavoratore e non solo sul libretto famiglia, per la comprovata iscrizione ai centri estivi, ai servizi integrativi per l’infanzia di cui all’art. 2, del D.LGS. 65/2017, ai servizi socio-educativi territoriali, ai centri con funzione educativa e ricreativa e ai servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia.
La fruizione del bonus è incompatibile con la fruizione del bonus asilo nido.
Sempre al comma 8 viene modificata la parola “un bonus” con “uno e più bonus”. Vengono apportate modifiche anche al comma 3 dell’art. 25 del Cura Italia sostituendo il valore €.1.000,00 euro con €. 2.000,00 euro. Ad oggi il congedo Covid-19 e il bonus sembrano incompatibili, come indicato nel messaggio INPS 1621, che ha fornito chiarimenti in merito all’art. 23 del D.L.18/2020 oggi modificato dall’art. 72; questo può apparire in contrasto con la ratio della norma poiché l’obiettivo del legislatore in questa seconda fase è di permettere ai genitori di far rientro al lavoro garantendo, anche con l’aiuto economico di uno o più bonus, la custodia del minore. Si attendono quindi a breve precisazioni che vadano a chiarire i vari dubbi quali per esempio la possibilità di godere nel periodo che va dal 5 marzo al 31 luglio di:
– 15 giorni di congedo parentale Covid-19;
– €. 600,00 euro bonus;
oppure
– 15 giorni di congedo parentale Covid-19;
– €. 200,00 bonus babysitter;
– €. 400,00 bonus pagamento iscrizione centro estivo.
Il bonus può essere richiesto anche da genitori di figli con disabilità in situazione di gravità accertata così come indicato dal comma 8 art. 23 del Cura Italia.
Inoltre, si sottolinea, che il limite di età di 12 anni non si applica ai figli con disabilità in situazione di gravità accertata, iscritti a scuole di ogni ordine e grado od ospitati in centri diurni a carattere assistenziale: i genitori possono fruire quindi alternativamente o del congedo Covid-19 per massimo 30 giorni o di uno o più bonus sino a €.1,200,00, che si elevano a €. 2.000,00 in caso di lavoratori dipendenti del settore sanitario, nonché al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico impiegato per le esigenze connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19. Nel messaggio n. 1621 del 15/04 l’INPS precisa che il genitore lavoratore dipendente destinatario di un qualsiasi trattamento di integrazione può optare di fruire del congedo Covid-19. Le due tutele hanno, infatti, diversi presupposti e distinte finalità, nonché un differente trattamento economico. Nel caso in cui il lavoratore abbia una retribuzione di riferimento elevata ha convenienza a fruire del congedo Covid-19 poiché la retribuzione presa a riferimento per il calcolo dell’indennità anche se retribuita al 50% potrebbe essere di gran lunga superiore all’80% dell’integrazione salariale calcolata su un massimale INPS.
3.5 Sorveglianza sanitaria
L’art. 83 del D.L. n. 34/2020 prevede che i datori di lavoro assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale ai lavoratori maggiormente esposti a rischio.
Sono varie gli elementi da analizzare:
1. il soggetto attivo a cui il legislatore si è rivolto;
2. tener conto dell’iter cronologico della normativa fino ad oggi;
3. il soggetto passivo della sorveglianza sanitaria;
4. le caratteristiche della sorveglianza sanitaria;
5. la tipologia di esposizione al rischio come “soggetti maggiormente a rischio”.
È evidente che in questa previsione è parte attiva il datore di lavoro. Mentre nel precedente DPCM si indicava come fosse “Il medico competente a segnalare all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti”. Per cui l’iter cronologico ha visto inizialmente l’identificazione dei soggetti cd fragili da parte del medico competente, mentre oggi spetta al datore di lavoro assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale ai lavoratori maggiormente a rischio. Per inciso sono soggetti fragili coloro che, a causa di particolari patologie personali, potrebbero subire delle conseguenze molto gravi o addirittura permanenti da una infezione da Covid-19. Pertanto, nei casi in cui il medico competente fosse a conoscenza del quadro clinico che determina la condizione di fragilità del lavoratore, in quanto rientranti nella verifica dell’idoneità alla mansione, potrà essere lo stesso medico a comunicarlo al datore di lavoro, limitandosi ovviamente alle informazioni strettamente necessarie (nel rispetto della privacy e del segreto professionale), richiedendo di adottare nei confronti del lavoratore le misure idonee per ottemperare alle raccomandazioni di tutela della sua salute. Possono, invece, esserci casi in cui il medico competente non poteva essere a conoscenze di situazioni di fragilità perché il lavoratore non si sia sottoposto a sorveglianza sanitaria o perché le cause della fragilità sono sopraggiunte dopo la visita medica (si pensi ad esempio ad una visita per videoterminalista quinquennale). Comunque, in generale, la procedura consigliata in questo periodo è stata quella in cui il datore di lavoro sensibilizzasse, attraverso una informativa, i propri dipendenti e collaboratori della possibilità di poter usufruire dello status di persona fragile secondo un percorso che preveda che il dipendente, facendosi direttamente parte attiva, si possa rivolgere al medico competente. Pertanto, “ieri” si sono identificati i soggetti fragili, “oggi” la normativa prevede che il datore di lavoro, con le prescrizioni dell’art. 83, ne assicuri la sorveglianza sanitaria. Nel prosieguo della lettura dell’articolo 83, viene poi definita quale sia l’intera platea di soggetti passivi a cui è rivolta la sorveglianza sanitaria. Si tratta di “lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia Covid-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggior rischiosità”. Se ne deduce che la platea di lavoratori si è ampliata rispetto alle previsioni del DPCM del 26 aprile, andando oltre ai cd lavoratori fragili, facendo tra l’altro anche riferimento a patologie Covid-19, cioè a lavoratori che hanno subito una aggressione dal virus Covid-19 durante questo periodo e nel futuro emergenziale. Le caratteristiche della sorveglianza sanitaria indicate dall’articolo 83 sono di “eccezionalità”, andando a integrale le tipologie di visite previste dall’art. 41 comma 2 del D.LGS. n. 81/08 ove sono previste le visite mediche preventive, periodiche, su richiesta del lavoratore, nel caso di cambio di mansione, alla cessazione del rapporto di lavoro (in casi previsti), in caso di assenza dal lavoro per più di 60 giorni (ovviamente per assenze non riconducibili alla maternità). Diventa fondamentale comprendere chi sono i soggetti maggiormente esposti al rischio, tenendo conto che si rende necessario effettuare un aggiornamento della valutazione dei rischi nel rispetto del documento tecnico INAIL del 23 aprile in base alle matrici di valutazione:
– esposizione (valutabile in base al codice Ateco);
– prossimità (Caratteristiche intrinseche dello svolgimento dell’attività che permettano un distanziamento sociale idoneo);
– aggregazione (previsione del possibile contatto ravvicinato con i lavoratori).
La valutazione si conclude con un giudizio di rischio che passa da basso, a medio-basso, medio-alto ed alto. Seppur gli studi professionali nella maggior parte dei casi siano a rischio basso, bisogna pur sempre tener in considerazione le diverse tipologie di situazioni elencate quali soggetti sopra citati a cui rivolgere la sorveglianza sanitaria, dai riferimenti all’età a patologie Covid-19, ecc.
Ci possono essere realtà nelle quali non si renda necessaria, e pertanto risulta vietata, la sorveglianza sanitaria in quanto l’attività a videoterminale è svolta per meno di 20 ore settimanali. In quel caso, all’interno dello studio non sarà stato nominato un medico competente. Il secondo comma dell’articolo 83 prevede la possibilità di nominare un medico per il periodo emergenziale, come era già stato previsto dal documento tecnico INAIL del 23 aprile. Questa previsione potrebbe essere utile ad esempio per le situazioni borderline, con lavoratori in condizioni di fragilità o soggetti che rientrano al lavoro dopo un contagio Covid-19 o altre previsioni dell’art. 83 primo comma.
Altra previsione per i titolari degli studi professionali in assenza di medico competente, indicata sempre dall’art. 83, è di rivolgersi ai servizi territoriali dell’INAIL, che vi provvedono con propri medici del lavoro, prevedendo al comma 4 l’assunzione da parte dell’Istituto di figure sanitarie, tecnicospecialistiche e di supporto con contratti a tempo determinato per il periodo emergenziale e fino al 2021.
3.5.1 Incentivi per imprese o professionisti che realizzano interventi di riduzione del rischio da contagio Covid-19
All’art.95 del decreto Rilancio è previsto che le imprese iscritte alle CCIAA e imprese artigiane iscritte al loro albo si possano garantire fino ad un massimo di €. 15.000,00 per aziende fino a 9 dipendenti, di €. 50.000,00 per aziende fino a 50 dipendenti ed €. 100.000,00 per imprese oltre 50 dipendenti, per acquisto di apparecchiature ed attrezzature per l’isolamento o distanziamento dei lavoratori ed anche rispetto agli utenti esterni e rispetto agli addetti di aziende terze, dispositivi elettronici e sensoristica per il distanziamento, dispositivi per la sanificazione dei luoghi di lavoro, sistemi e strumentazione per il controllo degli accessi nei luoghi di lavoro utili a rilevare gli indicatori di un possibile contagio, dpi.
Tali interventi sono incompatibili con altri benefici anche di natura fiscale per i medesimi costi ammissibili all’art. 120 è previsto un credito d’imposta in misura massima apri al 60% delle spese sostenute nel 2020 fino ad un massimo di €. 80.000,00 in relazione ad interventi edilizi, acquisto di arredi di sicurezza, investimenti di carattere innovativo, acquisto di apparecchiature per il controllo della temperatura di dipendenti ed utenti. Il credito è cumulabile con altre agevolazioni nel limite massimo dei costi sostenuti ed è utilizzabile nel 2021 esclusivamente in compensazione. In questo caso i soggetti beneficiari sono i soggetti esercenti attività d’impresa, arte e professione in luoghi aperti al pubblico ed elencati nell’allegato 1 del cedreto.
4. DURC DOPO LE MODIFICHE DEL DECRETO RILANCIO
L’articolo 103 del D.L. 18/2020 ha prorogato la validità al 15 giugno 2020 degli atti, permessi e certificati con scadenza compresa tra il 31 gennaio e 15 aprile. Tra questi documenti rientra anche il documento unico di regolarità contributiva. Le aziende, pertanto, in possesso di DURC con scadenza nel predetto periodo, sono automaticamente ritenute in regola fino al 15 giugno. Successivamente, la legge n. 27/2020 (conversione del D.L. n. 18/2020) ha sostituito la norma prevedendo che “Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservano la loro validità per i 90 giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza”. L’intervento normativo ha pertanto ampliato il periodo di scadenza (dal 15/4 al 31/7) e di quello riferito alla conservazione della validità dei medesimi (90 giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dell’emergenza e cioè 29/10/20). Intervenuto il decreto Rilancio n. 34/2020, all’art. 81, ha nuovamente modificato la norma precisando che dalla proroga, introdotta dalla legge di conversione n. 27/2020, sono esclusi i documenti unici di regolarità contributiva in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 15 aprile 2020, che conservano validità sino al 15 giugno 2020. In pratica si è ritornati alla formulazione originaria del D.L. Cura Italia. INPS e INAIL, in due note (messaggio numero 2103/2020 e nota 20/5/2020) hanno preso subito posizione sull’articolo 81 del decreto Rilancio, sentito il Ministero del Lavoro. Secondo gli Istituti i DURC con scadenza ricompresa tra il 31 gennaio ed il 15 Aprile 2020 restano validi sino al 15 Giugno 2020. Nei confronti di tali atti, infatti, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 34/2020 non opera l’estensione prevista dalla conversione in legge del D.L. 18/2020. Alle richieste di verifica di regolarità contributiva presentate dal 16 aprile, pertanto, si applica la disciplina ordinaria, tra cui la norma che esclude dalla verifica di regolarità tutti gli adempimenti e pagamenti oggetto di una sospensione dei termini. In definitiva vengono confermate le istruzioni già fornite a marzo (cfr. messaggio INPS 1374/2020) con la conseguenza che i DURC scaduti al 16 aprile, dovranno essere oggetto di nuova richiesta di regolarità a cui si applicheranno gli ordinari termini (DM 30 gennaio 2015 e dm 23 febbraio 2016). Dalle ricostruzioni che gli Istituti previdenziali hanno fatto sembra proprio che si siano dimenticati del noto principio “ogni atto va valutato secondo la norma vigente al momento del suo compimento” (art. 11, primo comma, disposizioni sulla legge in generale), più noto con il brocardo latino “tempus regit actum”. In realtà il 6 maggio scorso l’Ispettorato Nazionale del lavoro con circolare n. 6, ha preso posizione rispetto alle novità introdotte dalla Legge n. 27/20 di conversione del Cura Italia, indicando esplicitamente che anche il DURC era interessato all’estensione temporale prevista per gli altri atti amministrativi. A integrazione, pertanto, di quanto affermato da INPS e INAIL nei messaggi citati, per il periodo che decorre dalla legge di conversione del Cura Italia, 29/4/20, al giorno prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 34/20, 18/5/20, la validità temporale dei DURC in scadenza il 15/4 è stata estesa al 31/7/20 e l’efficacia era da considerare al 29/10/20. In tale breve periodo, pertanto, non potranno formarsi conseguenze negative rispetto a tutte le condizioni che richiedono la regolarità contributiva.
5. SOSPENSIONE DEI VERSAMENTI
Il decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 non allarga i periodi delle sospensioni dei versamenti che dunque rimangono quelli regolati dal D.L. n. 18/2020, convertito in legge n. 27/2020 e dal D.L. 23/2020, in corso di conversione ma si occupa di prorogare i termini entro i quali vanno effettuati i versamenti dei periodi sospesi. Sarebbe stato auspicabile un ampliamento anche per i versamenti del mese di giugno, invece le sospensioni riguardano per ora solo i mesi di marzo, aprile e maggio 2020, salvo – come vedremo – una ristretta cerchia di soggetti che operano nel settore sportivo. Non vengono ad esempio toccati i versamenti relativi alle dichiarazioni fiscali, anche se è previsto un importante intervento sull’IRAP. Infatti, il saldo delle imposte dovute per il 2019 e la prima rata d’acconto, ove dovuta, dovranno essere effettuati alle consuete scadenze e dunque entro il 30 giugno 2020 (oppure nei trenta giorni successivi con la maggiorazione dello 0,4%). Per l’IRAP, invece, è stata disposta la soppressione sia del saldo dovuto per il 2019 che la prima rata d’acconto 2020 (tale acconto non dovrà essere effettuato neanche in sede di saldo, ciò rappresenta una effettiva riduzione dell’imposta dovuta). L’unico allargamento della sospensione, come anticipato, per mese di giugno, riguarda una platea estremamente limitata di soggetti: federazioni sportive, nazionali, enti di promozione sportiva, associazioni e società sportive professionistiche e dilettantistiche individuate all’articolo 61, comma 2, lett. b) del D.L. n. 18/2020. Gli articoli 126 e 127 del D.L. n. 34/2020 intervengono, invece, sui termini di versamento delle imposte e contributi sospesi che vengono spostati dal 30 giugno 2020 al 16 di settembre 2020. Il versamento potrà essere effettuato senza sanzioni e interessi in un’unica soluzione oppure in quattro rate mensili di pari importo, a partire sempre dal 16 settembre 2020. Il differimento riguarda le sospensioni disposte dai diversi provvedimenti che si sono stratificati dal mese di febbraio 2020 al mese di aprile 2020 (Decreto MEF 24 febbraio 2020, D.L. n. 18/2020 convertito dalla legge n. 27/2020 e D.L. n. 23/2020). È utile, a questo proposito, fare un riepilogo dell’ambito di applicazione di tale differimento ricordando quali sono i versamenti interessati da tale differimento.
5.1 Le sospensioni del decreto Cura Italia
Il D.L. n. 18/2020 è intervenuto sui versamenti relativi alle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e assimilato, sui contributi previdenziali ed assistenziali e sull’imposta sul valore aggiunto. In particolare, ha previsto:
1. all’articolo 61, la sospensione dei versamenti, per i mesi di marzo ed aprile, delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e assimilato, dei contributi previdenziali ed assistenziali relativi ad alcuni contribuenti che svolgono attività in alcuni settori considerati più colpiti economicamente dall’emergenza epidemiologica. Tali settori sono analiticamente riportati al comma 2 del citato articolo 61. Per l’IVA, invece, la sospensione ha riguardato solo il mese di marzo. Per le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva, le associazioni e le società sportive professionistiche e dilettantistiche individuate al comma 5 della norma citata, le sospensioni si applicano fino al 30 giugno 2020 (v. sopra) a seguito delle modifiche previste dall’articolo 126, c. 3 del D.L. n. 34/2020. Per le imprese turistico-ricettive, agenzie di viaggio e turismo ed i tour operator, il comma 3, ha salvaguardato la previsione dell’articolo 1, comma 4, decreto del M.E.F. 24 febbraio 2020 che ha disposto la sospensione dell’applicazione, per il mese di marzo, delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e assimilati, da parte dei sostituti d’imposta avente sede legale o operativa negli undici comuni della cd. zona rossa (cfr. allegato 1 al D.P.C.M. 23 febbraio 2020);
2. all’articolo 62, la sospensione dei versamenti delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e assimilato, dei contributi previdenziali ed assistenziali relativi ad alcuni contribuenti per il mese di marzo 2020 e dell’IVA, tale provvedimento ha riguardato tutti quei contribuenti che avessero conseguito un fatturato nel 2019 non superiore a 2 milioni di euro.
5.2 Le sospensioni del decreto Liquidità
Il D.L. 23/2020 ha invece previsto, all’articolo 18, la sospensione generalizzata dei versamenti relativi ai mesi di aprile e maggio 2020, per i contribuenti con ricavi o compensi nel periodo d’imposta precedente non superiore a 50 milioni di euro che abbiano subito una diminuzione di fatturato o corrispettivi, rispettivamente nel mese di marzo 2020 rispetto al mese di marzo 2019 e nel mese di aprile 2020 rispetto al mese di aprile 2019, di almeno il 33 per cento. La sospensione riguarda anche i contribuenti con ricavi o compensi nel periodo d’imposta precedente superiore a 50 milioni di euro ma il calo (riferibile agli stessi periodi descritti in precedenza e rilevanti per gli stessi mesi in cui si applica il differimento), deve essere stato di almeno il 50 %. Le suddette sospensioni si applicano anche ai contribuenti che hanno avviato la loro attività d’impresa, arte o professione, in data successiva al 31 marzo 2019 a prescindere dal calo riscontrato nel 2020. La disposizione opera anche nei confronti degli enti non commerciali, enti del terzo settore, enti religiosi civilmente riconosciuti, che svolgono attività istituzionale di interesse generale non in regime d’impresa. Limitatamente all’IVA, la sospensione opera nei mesi di aprile e maggio a prescindere dal fatturato nel periodo d’imposta precedente per i contribuenti con domicilio fiscale, sede legale o sede operativa nelle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Piacenza, che abbiano subito una diminuzione di fatturato o corrispettivi, rispettivamente nel mese di marzo 2020 rispetto al mese di marzo 2019 e nel mese di aprile 2020 rispetto al mese di aprile 2019, di almeno il 33 per cento.
5.3 Il versamento delle ritenute da parte del sostituto
Entro il 16 settembre 2020 dovranno essere effettuati altresì i versamenti relativi alle ritenute non subite da parte dei percipienti che, in possesso dei requisiti e con le modalità previste dall’art. 19, comma 1 (e dall’articolo 62, c. 7 del D.L. n. 18/2020, prima dell’abrogazione) hanno manifestato apposita opzione al sostituto.
Anche in questo caso sarà possibile rateizzare in quattro rate mensili di pari importo l’imposta dovuta. Per quanto concerne i contributi previdenziali ed assistenziali ed i premi assicurativi dovuti, sono intervenuti, da ultimo, l’INPS con la circolare n. 59 del 16 maggio 2020 e l’INAIL con la circolare n. 21 del 18 maggio 2020. Da segnalare che rientrano tra i contributi previdenziali sospesi anche le rate dei piani di dilazione amministrativa, gli atti di recupero per accertamenti amministrativi o di vigilanza e le somme dovute per note di rettifica.
5.4 Le sospensioni dei versamenti per le somme dovute a seguito di atti di accertamento con adesione, conciliazione, rettifica e liquidazione di recupero dei crediti d’imposta
L’articolo 149 del D.L. n. 34/2020 prevede la proroga al 16 settembre 2020 dei termini di versamento delle somme dovute i cui termini di versamento scadono nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e il 31 maggio 2020, a seguito di:
a. atti di accertamento con adesione ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 218/1997;
b. accordo conciliativo ai sensi dell’articolo 48 e dell’articolo 48-bis del D.Lgs. n. 546/1992;
c. accordo di mediazione ai sensi dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992;
d. atti di liquidazione a seguito di attribuzione della rendita ai sensi dell’articolo 12 del D.L. n. 70/1988, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 54/1988, dell’articolo 52 D.P.R. n. 131/1986 e dell’articolo 34, commi 6 e 6-bis del D.Lgs. n. 346/1990;
e. atti di liquidazione per omessa registrazione di contratti di locazione e di contratti diversi ai sensi dell’articolo 10, dell’articolo 15 e dell’articolo 54 del D.P.R. n. 131/1986;
f. atti di recupero ai sensi dell’articolo 1, comma 421 della legge n. 311/2014;
g. avvisi di liquidazione emessi in presenza di omesso, carente o tardivo versamento dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131/1986, dei tributi di cui all’articolo 33, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 346/1990 in materia di imposta di successione e dell’imposta sulle donazioni, dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti di cui al D.P.R. n. 601/1973, dell’imposta sulle assicurazioni di cui alla legge n. 1216/1961.
In relazione ai predetti atti, è prorogato al 16 settembre 2020 il termine finale per la notifica del ricorso di primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e agli atti definibili ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, i cui termini di versamento scadono nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e il 31 maggio 2020.
La proroga dei termini di pagamento dei versamenti sospesi riguarda anche le somme dovute ai fini delle definizioni agevolate previste dagli articoli 1, 2, 6 e 7 del D.L. n. 119/2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 136/2018.
5.5 Cumulo sospensione dei termini degli accertamenti con adesione
Importante anche la previsione dell’articolo 155 del D.L. n. 34/2020 che specifica, con una norma di interpretazione autentica, che la sospensione dei termini processuali prevista dall’art. 83, comma 2 del D.L. n. 18/2020 si intende cumulabile in ogni caso con la sospensione del termine di impugnazione prevista dalla procedura di accertamento con adesione.
5.6 Avvisi bonari dell’Agenzia delle Entrate
Il legislatore interviene espressamente sulle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni fiscali (i cd. avvisi bonari dell’Agenzia delle Entrate).
L’articolo 144 del D.L. n. 34/2020 rimette nei termini e sospende il versamento delle somme dovute dai contribuenti destinatari delle comunicazioni ai sensi del DLgs. n. 462/1997:
– articolo 2 (relativo alle somme liquidate ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del D.P.R. n. 633/1972);
– articolo 3 (relativo alle somme dovute ai sensi dell’art. 36 ter del D.P.R. n. 600/1973);
– articolo 3 bis (relativo alle somme richieste con gli avvisi bonari).
La norma prevede che i versamenti in scadenza tra l’8 marzo 2020 – 31 maggio 2020 potranno essere effettuati entro il 16 settembre senza sanzioni e interessi.
Anche in questa ipotesi, il versamento potrà essere rateizzato in 4 rate consecutive mensili.
5.7 Versamenti dovuti all’Agente della Riscossione
L’art. 68 del D.L. n. 18/2020 ha previsto la sospensione dei versamenti fino al mese di maggio 2020 relativi ad entrate tributarie e non tributarie, tali versamenti dovevano essere effettuati entro il mese successivo. Il perimetro applicativo riguarda le cartelle emesse dagli agenti della riscossione e gli avvisi bonari secondo quanto previsto dagli articoli 29 e 30 del D.L. n. 78/2010.
L’articolo 154 del D.L. n. 34/2020:
1. differisce al 31 agosto il termine di sospensione. Il versamento dovrà essere effettuato entro il mese successivo e dunque entro il mese di settembre;
2. aumenta da 5 a 10 il numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dalle dilazioni concesse;
3. tutti i versamenti dovuti per le diverse domande di definizione agevolata (cd. rottamazioni) succedutesi negli anni scorsi ed in scadenza nel corso del 2020, potranno essere effettuate entro il 10 dicembre 2020. In tal caso, il versamento entro tale data viene considerato tempestivo ai fini della conservazione dei benefici previsti dalle istanze di definizione agevolata. Infine, è stata modificata la disposizione che impediva l’accesso alle dilazioni per i debiti iscritti a ruolo oggetto di definizione agevolata e che, per effetto del mancato versamento nei termini, aveva determinato la decadenza entro fine 2019.
—
note:
(1) Circolare Fondazione Studi n. 9 del 14 aprile 2020
(2) Riunione Tavolo Tecnico tenutosi in modalità telematica, tra i rappresentanti del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ed i rappresentanti della Direzione Generale dell’INPS in data 11 maggio 2020
(3) L’articolo 147 del decreto in commento solo per l’anno 2020, ha elevato da 700.000 Euro a 1 milione di euro il limite previsto dall’articolo 34, comma 1, primo periodo, della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(4) Cfr. Cass. n. 14469/13; Cass. 5 maggio 2003 n. 6803; Cass. 1° giugno 2009 n. 12721
(5) Cfr. Cass. Civile Sent. Sez. n. 19315 del 2016
(6) Cass. Sezione Lavoro civile. Sentenza del 20 maggio 2013, n. 12233
(7) Cass. SS.UU. 12568/2018
(8) Cass. 22 marzo 2000, n. 3451, cit.; Cass., 7 dicembre 1998, n. 12379
(9) Cass. civ. Sez. L, Sent. 02.10.2018, n. 23894
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