CONSIGLIO NAZIONALE CDL – Circolare 05 novembre 2020, n. 22
Decreto “Ristori” – Gli aspetti lavoristici – Analisi e criticità del D.L. n. 137/2020
SOMMARIO
PREMESSA
1. GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI EMERGENZIALI
2. IL DIVIETO DI LICENZIAMENTO
3. L’ESONERO DAL VERSAMENTO DEI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI
4. REDDITO DI EMERGENZA
5. SCUOLE E MISURE PER LA FAMIGLIA
PREMESSA
La spasmodica attesa per gli interventi governativi in materia di lavoro, occupazione e imprenditoria susseguenti alla nuova ondata di limitazioni e chiusure potrebbe restare delusa. Le previsioni del c.d. decreto “Ristori” presentano una lunga serie di criticità, che rischiano di non centrare gli obiettivi per cui la normativa emergenziale è stata prevista. La Fondazione Studi con due documenti separati, il presente in materia lavoro e un successivo in ambito fiscale, analizza il decreto per meglio esplicarne i contenuti, evidenziandone al contempo i punti critici. Su tutti emerge la complessa e scivolosa metodologia di scrittura normativa – problema già evidenziatosi nei precedenti provvedimenti approvati – che crea non poche difficoltà interpretative. In particolare, prevale la complessità del coordinamento tra l’autorizzazione delle seconde 9 settimane di Cassa integrazione e quella per le nuove 6, per chi non abbia fruito per nulla di quelle del decreto “Agosto”. Così come non si può non notare l’assenza di termini di riferimento circa l’ambito soggettivo di applicazione. Non si conosce infatti la sorte dei lavoratori assunti dopo il 13 luglio. Sul fronte fiscale il decreto prevede una serie di contributi a fondo perduto per le aziende. La speranza è che possa non avere esiti migliori del bonus monopattini, incredibilmente inciampato nei soliti disguidi di massa di un click day. Infine, un passaggio non può non essere fatto sul divieto dei licenziamenti di nuovo rigido, fissato a prescindere dalla utilizzazione degli ammortizzatori sociali. Un passo indietro, figlio di gravissima miopia anche da parte delle organizzazioni di rappresentanza: imponendo alle aziende di tenere in forza i dipendenti in esubero si dopa il mercato del lavoro, senza avere la certezza che quelle stesse aziende avranno in futuro la forza per restare attive sul mercato e quindi garantire posti di lavoro. E il refrain proseguirà fino a marzo 2021, alla luce degli accordi trovati. Ma è questo di cui il mondo del lavoro italiano ha bisogno in questo momento?
1. GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI EMERGENZIALI
In considerazione dell’attuale contesto sanitario, dell’acuirsi delle condizioni epidemiologiche nel Paese e di limitazioni e chiusure di numerose attività produttive, le misure di sostegno al reddito in costanza di lavoro varate dal Governo con il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, cosiddetto decreto “Ristori”, pubblicato sulla G.U. n. 269 del 28 ottobre 2020 e in vigore dal giorno successivo, appaiono inadeguate.
L’art. 12 del decreto, composto da 17 commi e recante un ampio spettro di disposizioni, oltre che di ammortizzatori sociali emergenziali, si occupa di divieto di licenziamento ed esonero contributivo per aziende che non richiedono trattamenti di cassa integrazione.
In particolare, per quanto attiene alla materia degli ammortizzatori sociali, il comma 1 prevede che i datori di lavoro, i quali sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga di cui agli articoli da 19 a 22 quinquies del D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27/2020, per una durata massima di sei settimane, secondo determinate modalità definite al successivo comma 2. Le sei settimane devono essere collocate nel periodo compreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021 e costituiscono il limite massimo d’intervento delle misure improntate agli ammortizzatori sociali emergenziali ivi fruibili dai datori di lavoro. Ne deriva che, a fronte della situazione sanitaria estremamente critica, in un arco periodale di 11 settimane è previsto l’intervento di sole 6 settimane di sostegno al reddito che saranno concesse unicamente a determinate condizioni.
Nel periodo compreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021, la possibilità dell’utilizzo di sole 6 settimane è confermata anche dal Dossier di accompagnamento al DDL (A.S. n. 1994) di conversione del D.L. n. 137/2020 ove si legge che, nel richiamato segmento temporale, “gli interventi di integrazione (con la causale Covid-19) non possono superare il limite di sei settimane – ivi compresi gli interventi contemplati da norme precedenti”.
Così come è già stato previsto dal D.L. n. 104/2020 con riferimento alla previgente normativa, anche con il D.L. n. 137/2020 viene previsto che eventuali periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati con il decreto “Agosto” collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 15 novembre 2020 sono imputati, ove autorizzati, alle sei settimane di cui al comma 1.
Ad aggravare la situazione per quanto concerne la generalità dei datori di lavoro è la previsione recata dall’art. 12, comma 2, a mente della quale le sei settimane di trattamenti sono riconosciute ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato l’ulteriore periodo di nove settimane di cui all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 104/2020. Secondo un’interpretazione meramente letterale, ne discenderebbe che la fruizione del periodo di sei settimane, ancorché frazionate, è sarebbe subordinata all’integrale utilizzo delle 18 settimane già concesse dall’art. 1 del D.L. n. 104/2020 nel periodo intercorrente tra il 13 luglio 2020 e il 15 novembre 2020. A tale conclusione si perviene in ragione della previsione dell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 104/2020, secondo la quale le ulteriori 9 settimane del decreto “Agosto” sono riconosciute soltanto ai datori di lavoro cui sia stato autorizzato il precedente periodo di nove settimane, decorso il periodo concesso. Sulla base di questo presupposto, tutti i datori di lavoro che hanno evitato di fare ricorso agli ammortizzatori sociali del D.L. n. 104/2020 o ne hanno fruito in termini parziali si troveranno esclusi dalla possibilità di invocare quelli di cui al decreto “Ristori”. In assenza di un coordinamento normativo tra il D.L. n. 104/2020 e il D.L. n. 137/2020 o di un intervento chiarificatore della prassi, mentre risulterebbe possibile presentare istanza per gli ammortizzatori sociali dal 2 di novembre al 27 dicembre 2020, ai sensi del D.L. n. 104/2020, per un’impresa che non abbia fatto ricorso agli ammortizzatori sociali dal 13 luglio 2020 (data di decorrenza ai fini di specie degli effetti del D.L. n. 104/2020), la stessa azienda non potrebbe effettuare domanda, ai sensi del D.L. n. 137/2020, per 6 settimane decorrenti dal 16 novembre fino al 27 dicembre 2020, non avendo usufruito delle “ulteriori” 9 settimane di cui all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 104/2020. Da questa analisi risulterebbe pertanto individuarsi nella data del 15 novembre 2020 l’implicita abrogazione delle norme in materia di ammortizzatori sociali emergenziali di cui al D.L. n. 104/2020. Si tratterebbe di una conseguenza fortemente penalizzante per le aziende, ed anche di difficile comprensione, considerato lo spirito che ha guidato, seppure in maniera poco coordinata, gli interventi in materia, teso ad ampliare quanto più possibile la platea dei soggetti abilitati e l’ambito temporale per fare ricorso agli ammortizzatori sociali. Così, a prescindere dalle intenzioni dichiarate dal Dossier di accompagnamento al d.l. “Ristori”, che devono comunque intendersi riferite – e limitate – alla utilizzazione delle 6 settimane del d.l. 137, è auspicabile un intervento, immediato in sede di prassi da parte dell’INPS, da consolidarsi con la legge di conversione, teso ad ammettere la possibilità della fruizione integrale del periodo di ammortizzatori sociali previsto dal decreto Agosto, fino al 31 dicembre, così come previsto dal d.l. n. 104/2020, convertito dalla l. n. 126/2020. Ad una sorte meno infausta sono assoggettati i datori di lavoro appartenenti ai settori interessati dal DPCM del 24 ottobre 2020, secondo il quale gli stessi sono sottoposti alla chiusura o alla limitazione delle attività economiche e produttive al fine di fronteggiare l’emergenza epidemiologica. Ferma restando la necessità di un atto di prassi dell’lnps che definisca con precisione i singoli ambiti economici interessati mediante indicazione dei relativi C.S.C., non si può non evidenziare l’assoluta insufficienza della concessione di sei settimane a fronte del complessivo periodo di 11 intercorrente dal 16 novembre 2020 al 31 gennaio 2021, considerando peraltro che anche per tale segmento temporale vige il divieto di licenziamento. Da questo deriva che il divieto di licenziamento in essere fino al 31 gennaio, non sorretto da corrispondenti misure di sostegno al reddito, potrebbe viziare la norma sotto il profilo costituzionale.
Il ricorso alle sei settimane di ammortizzatori sociali è potenzialmente soggetto al versamento di un contributo addizionale – applicato sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa – determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quello del corrispondente semestre del 2019. In tale logica, la contribuzione de qua, secondo la stessa prospettazione già osservata con l’art. 1 del D.L. n. 104/2020, è pari al:
a) 9%, se la riduzione del fatturato inferiore è al venti per cento;
b) 18%, se non vi è stata alcuna riduzione del fatturato.
Sono esclusi da contribuzione addizionale i datori di lavoro:
1) che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20%;
2) che hanno avviato l’attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019;
3) che operano nei settori interessati dal DPCM del 24 ottobre 2020.
La condizione relativa al fatturato, qualunque essa sia, deve essere oggetto di autocertificazione, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, in sede di presentazione della domanda. In assenza di tale dichiarazione l’Inps applicherà l’aliquota del 18%.
Si evidenzia che, fatte salve scarne indicazioni da parte dell’lnps fornite con la circolare n. 115/2020, si rende opportuno un atto di prassi dell’Istituto volto a fornire chiarimenti sul punto.
L’art. 12 del D.L. n. 137/2020, con i relativi commi 5 e 6, opera un vero e proprio “copia e incolla” dell’art. 1, commi 5 e 6, del D.L. n. 104/2020. In particolare, il comma 5, nel confermare, come ormai è consuetudine, che le domande di accesso ai trattamenti di cui al presente articolo devono essere inoltrate all’lnps, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa precisa che “In fase di prima applicazione, il termine di decadenza di cui al presente comma è fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto legge”. Da questo deriverebbe che, eventuali domande per periodi di sostegno al reddito iniziati nel lasso temporale 16 novembre-30 novembre 2020 devono essere presentate entro lo stesso 30 novembre 2020 poiché il D.L. n. 137/2020 è entrato in vigore il 29 ottobre 2020. Si auspica una correzione della norma in sede di conversione del decreto, anticipata da un’apposita indicazione da parte della prassi dell’lnps. In caso di pagamento diretto delle prestazioni il datore di lavoro è tenuto ad inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento o per il saldo dell’integrazione salariale entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo di integrazione salariale, ovvero, se posteriore, entro il termine di trenta giorni dall’adozione del provvedimento di concessione. In sede di prima applicazione, tali termini sono spostati al 28 novembre, se tale ultima data è posteriore a quella sopra indicata. Rimane la circostanza secondo cui, ove fossero trascorsi inutilmente tali termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimarrebbero a carico del datore di lavoro inadempiente.
Inoltre, l’art. 12, comma 7, prevede che la scadenza dei termini di invio delle domande di accesso ai trattamenti collegati all’emergenza Covid-19 e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi che, in applicazione della disciplina ordinaria, si collocano tra il 1° e il 10 settembre 2020, è fissata al 31 ottobre 2020. Sarebbe opportuno che in sede di conversione tale periodo di moratoria fosse ampliato a tutto il 30 settembre 2020 al fine di rimettere in bonis domande che risultano tardive per gli effetti cagionati da spasmodica attesa della circolare n. 115/2020 che, come si ricorderà, è stata emessa dall’lnps soltanto il 30 settembre 2020.
Infine, c’è da sottolineare che il decreto “Ristori” perpetua il silenzio del decreto “Agosto” sui lavoratori interessati dai trattamenti di integrazione salariale in discorso. Soltanto il decreto “Cura Italia” si era preoccupato di predisporre un diverso limite rispetto al D.Lgs. n. 148/2015 (90 gg. in servizio presso l’unità interessata dalla riduzione o sospensione), individuando quello dell’essere in forza alla data del 25 marzo, circostanza evidentemente più favorevole per l’ampiezza
dei soggetti cui le misure si potevano applicare. È evidente che quel termine risulterebbe adesso oltremodo pregiudizievole, ed anche quello del 13 luglio, introdotto peraltro dall’lnps con riferimento alle 9 + 9 settimane, presupporrebbe un termine troppo risalente, che finirebbe per lasciare privo di tutela un significativo numero di lavoratori.
Tuttavia, nonostante l’oggettività di queste esigenze, il D.L. n. 137/2020, colpevolmente, non dispone nulla sul punto, e sarebbe fondamentale che tale vuoto venisse colmato al più presto, in sede di prassi e/o di conversione.
2. IL DIVIETO DI LICENZIAMENTO
I commi da 9 a 11 dell’art. 12 del D.L. n. 137/2020 sono riproduttivi, in maniera sostanzialmente identica, dei primi tre commi dell’art. 14 del D.L. n. 104/2020, così come convertito dalla legge n. 126/2020, con un’unica, fondamentale eccezione: scompare la relazione tra la fruizione degli ammortizzatori sociali e la possibilità di disporre licenziamenti per ragioni economiche. Dall’incipit del nono comma del decreto “Ristori” scompare il riferimento alla integrale fruizione della cassa integrazione o dell’esonero contributivo, che fa posto alla lapidaria indicazione del termine del 31 gennaio 2021 quale limite di durata del divieto dei licenziamenti, valido per tutti a prescindere dall’accesso alle misure di sostegno al reddito altrimenti predisposte. Questa nuova posizione del governo acuisce i già evidenziati problemi di compatibilità costituzionale della misura del blocco dei licenziamenti, per questa sua insensibilità alle altre misure predisposte a tutela della dichiarata intenzione di mantenimento del livello occupazionale. Per il resto, come premesso, le disposizioni in materia sono identiche a quelle già previste dal decreto “Agosto”, con il divieto di licenziamenti economici, individuali o collettivi che siano, e la sospensione delle procedure eventualmente già avviate ai sensi della L. n. 223/91, successivamente alla data del 23 febbraio 2020, data questa che si mantiene sin dalla introduzione della misura, avvenuta con il decreto “Cura Italia”.
Si confermano pertanto le eccezioni esplicite all’applicazione del divieto:
– ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto;
– cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;
– ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
– in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Allo stesso modo, conseguentemente alla identità del testo della norma, anche l’ambito applicativo del divieto rimane quello noto, rimanendo perciò esclusi dal divieto tutti quei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo la cui disciplina non ricada nell’ambito dei citati artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223/91 e art. 3 della legge n. 604/66, e quindi, oltre a tutti i licenziamenti giustificati da ragioni disciplinari:
– licenziamento per mancato superamento del periodo di prova;
– licenziamento dell’apprendista per la fine del periodo formativo;
– licenziamento per superamento del periodo di comporto;
– licenziamento del collaboratore familiare;
– licenziamento del dirigente.
3. L’ESONERO DAL VERSAMENTO DEI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI
Il legislatore, al comma 14 dell’articolo 12 del decreto legge n. 28 ottobre 2020, n. 137, ha confermato la possibilità, per i datori di lavoro del settore privato, di fruire dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali qualora non vengano richiesti trattamenti di cassa integrazione di cui al primo comma del medesimo sopracitato decreto. In particolare, la novella normativa prevede per i datori di lavoro privati (NOTA 1), con esclusione del settore agricolo, un ulteriore periodo massimo di quattro settimane, fruibili entro il 31 gennaio 2021, nei limiti delle ore di integrazione salariale già fruite nel mese di giugno 2020, riparametrato e applicato su base mensile. Possono quindi accedere all’esonero in trattazione i datori di lavoro che abbiano già fruito, nel mese giugno 2020, degli interventi di integrazione salariale di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e successive modificazioni, ossia dei trattamenti ordinari di integrazione salariale, degli assegni ordinari e dei trattamenti di integrazione salariale in deroga, riconosciuti secondo la disciplina posta in relazione all’emergenza epidemiologica da Covid-19 (NOTA 2).
Il riconoscimento dell’esonero trova la sua ratio ispiratrice in un regime di alternatività con i trattamenti di integrazione salariale, in quanto la disposizione normativa ha il preciso scopo di incentivare i datori di lavoro a non ricorrere ad ulteriori trattamenti di integrazione salariale. Qualora, dunque, il datore di lavoro decida di accedere all’esonero in trattazione, non potrà più avvalersi di eventuali ulteriori trattamenti di integrazione salariale collegati all’emergenza da Covid-19 (NOTA 3).
In proposito, tuttavia, si evidenzia come al comma 15 dell’articolo 12 del decreto legge n. 28 ottobre 2020, n. 137, il legislatore abbia altresì disposto, per i datori di lavoro privati che abbiano richiesto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali ai sensi dell’articolo 3, del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, la possibilità di rinunciare per la frazione di esonero richiesto e non goduto e contestualmente presentare domanda per accedere ai trattamenti di integrazione salariale di cui al sopra menzionato articolo 12.
Sul tema, giova rammentare che laddove la norma chieda al datore di lavoro di fare una scelta tra l’esonero in commento e i nuovi strumenti di integrazione salariale e laddove il datore di lavoro sia il medesimo, la scelta potrà essere operata per singola unità produttiva.
In merito a tale fattispecie, tuttavia, si attende la pubblicazione del messaggio, annunciato dall’lnps all’interno della richiamata circolare n. 105/2020 dello scorso 18 settembre 2020, attraverso cui l’Istituto emanerà le istruzioni per la fruizione della misura di legge in oggetto, con particolare riguardo alle modalità di compilazione delle dichiarazioni contributive da parte dei datori di lavoro.
Tutto ciò premesso, fermo che la crisi sanitaria in continua evoluzione certamente non facilita, per i datori di lavoro, la scelta di rinunciare agli ammortizzatori sociali emergenziali, si riscontrano ancora troppe criticità in riferimento all’utilizzo di tale strumento. Innanzitutto, l’esonero in commento risulta di difficile appetibilità per le aziende in quanto l’ammontare economico, pari alla contribuzione a carico del datore di lavoro non versata in relazione al doppio delle ore di fruizione degli ammortizzatori sociali nel solo mese di giugno 2020, rimane, nella maggior parte dei casi, di limitata entità.
Nondimeno è bene evidenziare come la scelta del legislatore di ridurre ulteriormente l’arco temporale, legato al solo mese giugno, risulti ancora più penalizzante per i datori di lavoro che in quel determinato periodo hanno scelto di favorire i propri lavoratori concedendo loro ferie e permessi in luogo dei trattamenti di integrazione salariale, ovvero, per motivazioni legate alla loro specifica attività, hanno regolarmente lavorato, scontando tuttavia una fisiologica flessione in questi ultimi mesi.
Da ultimo, peraltro, giova ricordare che, così come per il precedente periodo di massimo quattro mesi di cui all’art. 3 del D.L. n. 104/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 126/2020, il beneficio previsto dai commi 14 e 15 è concesso ai sensi della sezione 3.1 della Comunicazione della Commissione europea recante un “Quadro temporaneo perle misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19” e nei limiti ed alle condizioni di cui alla medesima Comunicazione. L’efficacia delle disposizioni in commento, dunque, rimane subordinata, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’autorizzazione della Commissione europea.
In coerenza con la normativa vigente dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato, il legislatore, all’art. 13 del decreto legge n. 28 ottobre 2020, n. 137, ha altresì previsto-per i datori di lavoro privati con sede operativa nel territorio dello Stato, appartenenti ai settori economici interessati dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2020 (NOTA 4), interessati quindi dalle nuove misure restrittive – la sospensione dei termini relativi ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria dovuti per la competenza del mese di novembre 2020.
I pagamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria, sospesi ai sensi della disciplina di cui al sopracitato articolo 13, sono effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 16 marzo 2021 o mediante rateizzazione fino ad un massimo di quattro rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata entro il 16 marzo 2021. Giova evidenziare, tuttavia, che il mancato pagamento di due rate, anche non consecutive, determina la decadenza dal beneficio della rateazione.
4. REDDITO DI EMERGENZA
L’art. 14 del decreto “Ristori” riconosce ai nuclei familiari che erano stati già fruitori della quota di Reddito di Emergenza prevista dal D.L. n. 104/2020, pari a un importo una tantum compreso tra 400 e 840 euro, in base al reddito e alla composizione del nucleo familiare stesso, una quota, di pari importo, sia per il mese di novembre sia di dicembre 2020.
Il REM viene riconosciuto anche, per una quota mensile variabile fino a 840 euro, a seconda della scala di equivalenza applicata, come definita dall’art. 2, co. 4, decreto legge n. 4/2019, ai nuclei familiari in possesso di:
– un valore del reddito familiare, nel mese di settembre 2020, inferiore ad una soglia pari all’ammontare della quota di REM prevista (400 euro moltiplicati per la scala di equivalenza, fino a un massimo di 2 ovvero di 2,1, ovvero 840 euro);
– requisito dell’assenza nel nucleo familiare di componenti che percepiscono o hanno percepito una delle indennità per lavoratori stagionali, del turismo e dello spettacolo di cui all’articolo 15 del D.L. “Ristori”;
– requisiti di cui ai commi 2, lettere a), c) e d), dell’articolo 82 del decreto legge n. 34/2020 (“Rilancio”), vale a dire:
– residenza in Italia del richiedente;
– un valore del patrimonio mobiliare familiare con riferimento al 2019 inferiore a 10.000 euro, soglia accresciuta di 5.000 euro per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di euro 20.000. Il tetto è incrementato di 5.000 euro in caso di presenza nel nucleo familiare di un componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza come definite ai fini ISEE;
– un valore dell’ISEE inferiore a 15.000 euro, attestato dalla DSU valida al momento della presentazione della domanda di REM;
– rispetto dei requisiti già fissati dal comma 3, dell’articolo 82 del D.L. n. 34/2020 (cd. decreto “Rilancio”), ovvero:
– assenza nel nucleo familiare di componenti che percepiscono o hanno percepito una delle indennità previste dal D.L. n. 18/2020, artt. da 27 a 30 (bonus 600 euro per i mesi di marzo e aprile), art. 44 (Fondo per il reddito di ultima istanza) o dal D.L. n. 34/2020, art. 84 (bonus 1000 euro per il mese di maggio) e 85 (bonus 500 euro per i lavoratori domestici);
– assenza nel nucleo familiare di componenti che siano, al momento della domanda, in una delle seguenti condizioni:
a) titolari di pensione diretta o indiretta ad eccezione dell’assegno ordinario di invalidità;
b) titolari di un rapporto di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda sia superiore alla quota di REM;
c) percettori di reddito o pensione di cittadinanza ex D.L. n. 4/2019.
Il decreto richiama l’applicazione del comma 2-bis, art. 82, D.L. n. 34/2020 (introdotto dalla legge di conversione, n. 77, dal 17 luglio scorso) ai fini del riconoscimento del REM: questi aveva previsto che, durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19 e comunque non oltre il 30 settembre 2020, chi occupava senza titolo un immobile potesse autocertificare la residenza nello stesso immobile occupato se in presenza di minori o persone meritevoli di tutela, disapplicando così le disposizioni dei commi 1 e 1 -bis, art. 5 D.L. n. 47/2014. È opportuno notare come la scadenza del 30 settembre 2020 non è stata apertamente modificata dal decreto legge n. 125/2020 (dedicato alla estensione dello stato di emergenza in raccordo con le ulteriori misure del nostro ordinamento connesse all’attuale crisi sanitaria da Covid-19), dunque spetterà all’Istituto chiarire, nella circolare regolatoria della quota di REM introdotta dal decreto “Ristori”, se tale autocertificazione in caso di immobili occupati è ancora legittima. La domanda per la quota di REM prevista dal D.L. n. 137/2020 deve essere presentata all’lnps entro il 30 novembre 2020 con le modalità telematiche che verranno indicate dall’Istituto (si ricorda che le istruzioni per la precedente tranche, introdotta dal D.L. n. 104/2020, erano state disciplinate dalla circolare Inps n. 102 dell’11 settembre 2020).
5. SCUOLE E MISURE PER LA FAMIGLIA
Il D.L. n. 137, all’art. 22, modifica a partire dal 29 ottobre il testo vigente dell’art. 21-bis del D.L. n. 104/2020 dedicato alle misure di lavoro agile e congedi al 50% per genitori lavoratori dipendenti.
Il nuovo art. 21-bis prevede per i genitori lavoratori un diritto al lavoro agile o a un congedo il diritto, fino al 31.12.2020, al lavoro agile (qualora compatibile con la prestazione lavorativa):
– per il periodo di quarantena del figlio convivente con meno di sedici anni (non più quattordici), disposta dal dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale (ASL) territorialmente competente a seguito di contatto che sia avvenuto:
a) all’interno del plesso scolastico;
b) nell’ambito dello svolgimento di attività sportive di base o motoria in strutture come palestre, piscine, centri sportivi, circoli sportivi, sia pubblici che privati;
c) all’interno di strutture regolarmente frequentate per seguire lezioni musicali e linguistiche;
– nel caso in cui sia stata disposta la sospensione dell’attività didattica in presenza (es. attivazione della DAD) nel caso del figlio con meno di 16 anni [NUOVA CAUSALE: non occorre il provvedimento ASL].
Qualora la prestazione non possa essere svolta in modalità di lavoro agile, uno dei due genitori, alternativamente, potrà godere di un congedo che durerà al massimo fino al periodo di quarantena del figlio (anche per un periodo minore, a discrezione del genitore) o per la durata della didattica non in presenza.
1. Nel caso di figlio con età inferiore a 14 anni il congedo sarà indennizzato al 50% della retribuzione giornaliera (senza considerare i ratei) con accredito della contribuzione figurativa nelle modalità già specificate da Inps con circolare n. 116/2020; si ricorda che sono indennizzabili solamente le giornate lavorative ricadenti all’interno del periodo di congedo richiesto e il lavoratore dovrà farne richiesta anche attraverso il portale telematico dell’Istituto con apposita causale di congedo.
2. Nel caso di figlio con età pari a 14 anni, ma inferiore a 16 anni il congedo consisterà in una aspettativa non retribuita, con divieto di licenziamento volto alla conservazione del posto, e senza riconoscimento di contribuzione figurativa.
Si ricorda che la circolare n. 116/2020 ha illustrato quali assenze possono essere compatibili con la richiesta di congedo o aspettativa per genitori di figli di età inferiore a 16 in quarantena o in didattica a distanza. In particolare, se l’altro genitore è assente per ferie, malattia, aspettativa non retribuita, per riduzione parziale dell’orario di lavoro con integrazione salariale, per permessi per disabili o congedo straordinario. La compatibilità non sussisterà nel caso di altro genitore inoccupato, disoccupato o in congedo di maternità o parentale goduto nelle stesse giornate da parte dell’altro genitore per il medesimo figlio o nel caso di integrazioni salariali con sospensione della prestazione lavorativa.
In riferimento alla prestazione in modalità agile per genitori di figli in quarantena (o in DAD), una apposita FAQ del Ministero del Lavoro ha ricordato che questa potrà essere oggetto della comunicazione di smart working semplificato senza la sottoscrizione di un accordo e con mero deposito del file .xls sull’apposito portale ministeriale.
—
Note:
(1) Fermo che l’esonero contributivo in oggetto non si applica nei confronti della pubblica Amministrazione, individuabile assumendo a riferimento la nozione e l’elencazione recate dall’articolo 1, comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per una completa disamina dei datori di lavoro ammessi a fruire dell’esonero in questione si rinvia, da ultimo, alle circolari Inps n. 104/2019 e n. 57/2020
(2) La norma in commento ha previsto misure di sostegno alle imprese, distinte in ragione dei settori economici di attività. In ragione di tale valutazione, dunque, così come ribadito dall’lnps con la circolare n. 105/2020, ai fini della corretta verifica del rispetto delle condizioni propedeutiche al riconoscimento del citato esonero, è necessario fare riferimento alle singole matricole Inps attribuite ai datori di lavoro conseguenti il diverso inquadramento previdenziale.
(3) Circolare Inps n. 105/2020
(4) Che svolgono come attività prevalente una di quelle riferite ai codici ATECO riportati nell’Allegato 1 al decreto 28 ottobre 2020, n. 137, i cui dati identificativi verranno comunicati, a cura dall’Agenzia delle Entrate, all’lnps e all’lnail.
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