AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 26 marzo 2019, n. 84
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Definizione ex articolo 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
Quesito
Il signor [ALFA], di seguito istante, ha esposto il quesito qui di seguito sinteticamente riportato.
A marzo 2009, l’istante ha ricevuto un avviso di accertamento della plusvalenza realizzata cedendo un appartamento acquistato a gennaio 2008.
Avverso l’accertamento ha presentato ricorso alla competente Commissione tributaria provinciale, che ha annullato l’avviso ritenendo fondate le ragioni del ricorrente.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la pronuncia dinanzi alla Commissione tributaria regionale che ha dichiarato inammissibile l’appello.
Avverso tale sentenza l’Agenzia ha proposto ricorso alla Suprema Corte che ha cassato con rinvio la sentenza di appello.
In pendenza dei termini per la riassunzione del giudizio, l’articolo 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, ha introdotto la possibilità di definire le controversie tributarie pendenti.
In particolare, nell’ipotesi in cui l’Agenzia sia stata dichiarata soccombente nel secondo grado di giudizio, la norma prevede la possibilità di definire la lite tributaria versando un importo pari al 15 per cento del valore della controversia.
Il comma 2-ter, invece, stabilisce che, nelle ipotesi in cui l’Agenzia delle entrate sia stata dichiarata soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, le controversie pendenti dinanzi alla Corte di cassazione possano essere definite con il pagamento del 5 per cento del rispettivo valore.
Nessuna specifica previsione, tuttavia, disciplina il caso in cui entrambi i gradi di merito siano stati favorevoli al contribuente e la Suprema Corte abbia annullato la sentenza di secondo grado per motivi processuali e i termini per la riassunzione non siano ancora spirati.
Tanto rappresentato, l’istante chiede di sapere quale somma debba pagare per definire la controversia in via agevolata.
Soluzione interpretativa prospettata dall’istante
L’istante, in sintesi, ritiene possibile definire la controversia con il pagamento di una somma pari al 5 per cento del suo valore, ai sensi dell’articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge n. 119 del 2018, e la presentazione dell’apposita istanza nel termine stabilito dal successivo comma 8.
Parere dell’agenzia delle entrate
L’articolo 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, disciplina la definizione delle liti pendenti in cui è parte l’Agenzia delle entrate, con il versamento di un importo commisurato al valore della controversia definito “ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. Detto importo è diversificato in base allo stato e al grado di giudizio.
In particolare, il comma 1-bis dell’articolo 6 stabilisce che “In caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia”. Il successivo comma 2 prevede che, nel caso in cui l’Agenzia sia stata dichiarata soccombente, le liti pendenti “possono essere definite con il pagamento: a) del 40 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado; b) del 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado”. Il comma 2-ter, infine, stabilisce che “Le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione … per le quali l’Agenzia delle entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio” possono essere definite con il versamento di una somma pari al 5 per cento del suo valore. La disciplina applicabile alla fattispecie della cassazione con rinvio – al primo o al secondo grado di giudizio – può essere desunta dalle norme processuali. L’articolo 393 del codice di procedura civile dispone che nei casi di mancata o intempestiva riassunzione del giudizio dinanzi al giudice del rinvio “…l’intero processo si estingue”. La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina dunque l’estinzione dell’intero processo “con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso…” (Cass. 6 dicembre 2002, n. 17372), né è possibile chiedere l’esecuzione “…della sentenza di primo grado riformata dalla sentenza cassata, potendo una nuova esecuzione fondarsi soltanto, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio” (cfr. Cass. 13 maggio 2002, n. 6911 e 9 marzo 2001, n. 3475). Per le ragioni sopra richiamate l’Agenzia ha ricordato, in vari documenti di prassi (cfr. circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003, paragrafo 11.6.10, risoluzione n. 104/E del 9 maggio 2003, circolare 24 ottobre 2011, n. 48/E), che “è principio fermo nella giurisprudenza di legittimità e nella riflessione della pressoché unanime dottrina processualistica che il giudizio di rinvio (…) costituisce una fase nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del giudizio (…) diretto e funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente (‘per la prima volta’, così testualmente Cass. n. 5901 del 1994) sulle domande proposte dalle parti” (Cass. 17 novembre 2000, n. 14892; in senso conforme Cass., 06 dicembre 2000, n. 15489; Cass. 28 gennaio 2005, n. 1824; Cass. 28 marzo 2009, n. 7536; Cass. 28 marzo 2012, n. 5044; Cass. 3 luglio 2013, n. 16689; Cass. 9 giugno 2016 n. 11844). Nel presupposto che in caso di mancata riassunzione – in esito al rinvio operato dalla Corte di cassazione – si consoliderebbe l’originario atto impositivo, ai fini della definizione della controversia in parola risulta dovuto un importo commisurato al 90 per cento del relativo valore, analogamente a quanto previsto per i ricorsi pendenti dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado.
In tal senso, peraltro, la Relazione illustrativa al decreto-legge n. 119 del 2018 ha precisato che “Nel caso in cui sia intervenuta sentenza di Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado senza decisione, in coerenza con la previsione dell’articolo 68, comma 1, lett. c-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 in materia di riscossione in pendenza del giudizio di rinvio”.
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