La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 19810 del 28 agosto 2013 intervenendo in tema di mobbing e demansionamento ha riconfermato il principio secondo cui la decadenza del diritto alla produzione dei documenti non opera quando la produzione sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione.
Per gli Ermellini, infatti, “come affermato da questa Corte nella sentenza 13 luglio 2009 n. 16337 (conf. Cass. n. 16781 del 29 luglio 2011), nel rito del lavoro, l’omessa indicazione dei documenti probatori nell’atto di costituzione in giudizio, imposta dall’art. 416, terzo comma cod. proc. civ., e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che ì documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo (art. 420, quinto comma, cod. proc. civ.). Ne consegue che, ove i documenti siano stati prodotti in udienza, il giudice potrà dichiarare la decadenza della parte ovvero, in alternativa, disporre l’ammissione d’ufficio dei documenti medesimi ai sensi dell’art. 421, secondo comma, cod. proc. civ., dovendosi ritenere, in tale ultima ipotesi, che il silenzio della controparte – a cui spetta la facoltà, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, di dedurre proprie istanze istruttorie – comporti 1’accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione.”
La vicenda ha visto protagonista un dipendente comunale che agiva per il risarcimento dei danni da demansionamento e mobbing, che riteneva essergli derivati da una serie di atti, fatti e comportamenti posti in essere dal Comune in veste di datore di lavoro.
Il Tribunale, a cui aveva presentato la domanda, respingeva la richiesta del ricorrente, poichè lo stesso non aveva “dedotto alcunché in ordine ali contenuto concreto delle mansioni di fatto svolte, sì da non potersi operare il raffronto tra queste e la declaratoria contrattuale del livello posseduto.”
La Corte di Appello, a cui aveva proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale, confermava la sentenza di primo grado respingendo il ricorso del dipendente. La Corte territoriale motivava la decisione basandosi sulle seguenti considerazioni:
- fatto che il dipendente non aveva trovato riscontro istruttorio la censura del lavoratore di essere stato lasciato inattivo, senza incarichi;
- la prova testimoniale aveva fatto emergere il tentativo, operato dai dirigenti, di creare un ambiente di lavoro produttivo per il B., nonostante la non semplice individuazione di pratiche per le quali lo stesso non fosse in conflitto di interessi con la sua libera professione di architetto;
- che nel preteso demansionamento vedeva la sua principale estrinsecazione, non vi era prova di comportamenti prevaricanti e vessatori;
Avverso la decisione dei giudici di merito il dipendente proponeva ricorso alla Corte di Cassazione basandolo su due motivi. I giudici di legittimità rigettano il ricorso del dipendente.
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