La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 24920 del 6 novembre 2013 intervenendo in materia di detraibilità dell’IVA ha statuito che l’Iva fatturata può essere detratta anche se la compravendita non è andata a buon fine, in quanto per negare il beneficio l’amministrazione finanziaria è tenuta a provare la natura elusiva o fraudolenta dell’operazione commerciale.
La vicenda ha riguardato una società che aveva presentato istanza di rimborso IVA, ai sensi dell’art. 30 co 3 lett. c) del Dpr n.633/72, ma aveva ricevuto un diniego perché la compravendita, avente a oggetto un bene riconducibile tra le immobilizzazioni immateriali, quindi ammortizzabili, non era andata a buon fine. In particolare l’Amministrazione Finanziario, a seguito della verifica fiscale ed emissione di PVC, ha contestato la fittizietà della cessione, non essendo stato corrisposto il residuo importo della somma risultante dalla fattura utilizzata per il rimborso.
Successivamente alla verifica fiscale, non avendo ancora ricevuto il rimborso del credito IVA la contribuente procedeva alla cessione dello stesso ad altra società. La società ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale per l’accertamento del credito d’imposta. I giudici della CTP rigettarono il ricorso della ricorrente. Propose gravame, la ricorrente contro la decisione del giudice di prime cure, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che confermando la sentenza di primo grado precisava che i termini indicati nel contratto per la esecuzione dei pagamenti del corrispettivo dovevano considerarsi “essenziali” e che la parte acquirente non era stata in grado di provare di aver tempestivamente adempiuto alla obbligazione. Nella sentenza si legge ancora che la ricorrente non aveva fornito alcun elemento probatorio “in ordine al perfezionamento del negozio di trasferimento della testata”
La contribuente propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di doglianza, avanti alla Corte Suprema.
Gli Ermellini ritenendo fondate le motivazioni accolgono il ricorso della società.
I giudici di legittimità hanno evidenziato che la mera regolarità formale dei documenti contabili non è sufficiente a fondare il diritto alla detrazione o al rimborso della imposta fatturata (cfr. Cass. nn. 21949 2010 e 20445 del 2011), che richiede pur sempre che alla rappresentazione documentale corrisponda l’esistenza di una reale operazione economica. Con la conseguenza che, se eventi quali il mancato adempimento della prestazione dedotta in contratto o la risoluzione per inadempimento dello stesso non consentono di qualificare l’operazione come inesistente a fini fiscali e dunque di escludere per ciò stesso il diritto alla detrazione/rimborso dell’imposta assolta con la fattura, tale diritto può invece essere efficacemente contestato laddove, attraverso l’esame della volontà negoziale delle parti e in relazione agli elementi fattuali inerenti la fase della stipula e della esecuzione dell’accordo, emerga la natura elusiva della operazione (simulazione assoluta) o l’intento fraudolento delle parti in quanto diretto a dissimulare una operazione soggettivamente od oggettivamente inesistente (cfr. Cass. n. 12192 del 2008). In altri termini, o il fisco riesce a provare che la compravendita è stata simulata fin dall’inizio o il tributo fatturato rientra nel beneficio fiscale a prescindere dal versamento del prezzo.
Nel caso di specie per la Corte Suprema ha cassato la sentenza del giudice di merito stabilendo che il giudice del rinvio dovrà indagare se sussista, o no, un quadro indiziario che dimostri la reale intenzione delle parti di non realizzare l’operazione di compravendita in questione, “in tal caso soltanto potendo ritenersi legittimo il diniego al rimborso del credito d’imposta opposto dall’Agenzia fiscale resistente”.
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