Il ricorso alla Corte di Giustizia UE/CE è stato promosso nell’ambito di una controversia pendente tra una società ungherese e l’Amministrazione fiscale ungherese in ordine al rifiuto di quest’ultima di rimborsare integralmente l’imposta sul valore aggiunto.
La CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE con la sentenza 16 maggio 2013, n. C-191/12 ha precisato l’applicazione delle norma comunitarie nella vicenda che ha visto contrapposte una società che ha stipulato con il ministero dell’Agricoltura Ungherese una sovvenzione diretta a permetterle di finanziare un progetto nell’ambito del programma operativo per lo sviluppo rurale e l’agricoltura e l’Amministrazione finanziaria Ungherese.
Secondo l’Amministrazione Fiscale Ungherese in considerazione della disciplina dell’IVA non era possibile detrarre proporzionalmente all’importo dell’aiuto erogato la frazione di Iva assolta a monte per le spese connesse al progetto convenzionato.
Per la società, che ha successivamente proposto ricorso avverso il mancato riconoscimento del diritto al rimborso integrale dell’Iva, in altre occasioni la Corte Ue ha fatto presente che l’articolo 17 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa che, in caso di acquisto di beni sovvenzionato da fondi pubblici, consente di detrarre l’Iva ad esso relativa solo fino a concorrenza della parte non sovvenzionata di tale acquisto.
Per cui, secondo la società ricorrente, le autorità fiscali ungheresi avrebbero violato il diritto comunitario nella parte in cui avrebbero limitato il diritto alla detrazione dell’imposta rimborsando non già l’integralità dell’Iva, ma una somma calcolata proporzionalmente.
Pertanto considerando la premessa, viene sollevata dinanzi alla Corte Ue la questione pregiudiziale riguardante la limitazione del rimborso delle imposte secondo il principio del rimborso delle imposte riscosse da uno Stato membro in violazione delle norme comunitarie debba essere interpretato nel senso che consenta a detto Stato di rifiutare il rimborso di una parte dell’Iva, la cui detrazione era stata esclusa in forza di un provvedimento nazionale contrario al diritto comunitario, atteso che tale parte dell’imposta era stata sovvenzionata da un aiuto concesso al soggetto passivo e finanziato sia dall’UE sia da tale Stato.
La questione riguarda la ratio dell’articolo 38 della legge fiscale ungherese sull’Iva, in base al quale il soggetto passivo che abbia beneficiato di una sovvenzione può esercitare il suo diritto alla detrazione soltanto con riferimento alla frazione dell’Iva relativa alla parte non sovvenzionata dell’acquisto in parola.
La Corte rileva che l’articolo 17 della sesta direttiva attribuisce ai singoli, diritti che possono far valere dinanzi al giudice nazionale per opporsi ad una normativa nazionale incompatibile con detta disposizione e che il soggetto passivo cui tale misura è stata applicata deve poter ricalcolare il debito Iva su di esso incombente, nella misura in cui i beni ed i servizi sono stati impiegati per operazioni soggette a imposta.
Il diritto di ottenere il rimborso delle imposte riscosse da uno Stato membro in violazione del diritto comunitario costituisce la conseguenza e il completamento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni di diritto comunitario. Pertanto, il diritto alla ripetizione dell’indebito è volto a rimediare alle conseguenze dell’incompatibilità dell’imposta con il diritto comunitario, neutralizzando l’onere economico che ha indebitamente gravato sull’operatore che lo ha definitivamente sopportato.
Tuttavia, una tale ripetizione può essere rifiutata laddove comporti un arricchimento senza causa degli aventi diritto.
Ne consegue che, purchè sia stato integralmente neutralizzato l’onere economico che ha gravato il soggetto passivo a causa dell’imposta indebitamente riscossa, uno Stato membro può opporsi al rimborso di una parte di tale imposta sostenendo che un tale rimborso comporterebbe a vantaggio del soggetto passivo un arricchimento senza causa.
La verifica se il rimborso richiesto sia soltanto diretto a neutralizzare l’onere economico dell’imposta indebita ovvero comporti un arricchimento senza causa a vantaggio del soggetto passivo spetta alla competenza del giudice nazionale, essendo quest’ultimo il soggetto deputato a valutare liberamente gli elementi di prova sottoposti al suo esame.
In particolar modo, il giudice nazionale deve valutare se l’importo dell’aiuto concesso sarebbe stato inferiore nell’ ipotesi in cui quest’ultima avesse potuto esercitare il suo diritto alla detrazione. Con riferimento al caso di specie, l’importo dell’aiuto era stato calcolato con riguardo alla spesa ammissibile del progetto, comprensiva sia del costo netto di tale progetto, sia dell’Iva non detraibile.
Il giudice deve pertanto calcolare se, nell’ipotesi in cui la spesa ammissibile fosse stata calcolata prescindendo dall’Iva non detraibile, l’importo dell’aiuto sarebbe stato inferiore a quello realmente concesso. Nell’ipotesi in cui ciò fosse accertato, l’eccedenza risultante dall’importo più elevato dell’aiuto del quale la società ha potuto beneficiare sarebbe una conseguenza del fatto che una parte dell’Iva non detraibile era stata coperta da tale aiuto. Pertanto, l’onere economico relativo alla parte dell’imposta corrispondente a tale eccedenza sarebbe sopportato dal soggetto erogatore di fondi.
Le conclusioni della Corte
Tutto ciò premesso, la Corte UE perviene alla conclusione che il principio del rimborso delle imposte riscosse in uno Stato membro in violazione di norme comunitarie deve essere interpretato nel senso che non osta a che tale Stato rifiuti il rimborso di una parte dell’Iva, la cui detrazione sia stata esclusa in forza di un provvedimento nazionale contrario al diritto comunitario, per il fatto che detta parte dell’imposta è stata sovvenzionata da un aiuto concesso al soggetto passivo e finanziato sia dall’UE sia da detto Stato, sempre che l’onere economico relativo al diritto al rifiuto di detrazione dell’Iva sia stato neutralizzato integralmente, circostanza che dovrà appurare il giudice nazionale.
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