La Cassazione con la sentenza n. 13918 del 03 giugno 2013 è chiamata a dirimere la controversia sorta tra il dirigente e il suo datore di lavoro sorta dopo la comunicazione di licenziamento ricevuta dal dirigente la cui motivazione era inerente alla riorganizzazione dell’attività e soppressione del posto.
Il lavoratore adito il Tribunale per la condanna della predetta società al pagamento: dell’indennità suppletiva in conseguenza dell’ingiustificato licenziamento; del risarcimento del danno per il subito demansionamento; delle differenze retributive relative alla omessa inclusione nel calcolo degli istituti di retribuzione indiretta e del TFR nella retribuzione corrisposta fuori busta paga; della retribuzione per il periodo di astensione da lavoro per malattia. Il lavoratore risultava soccombente dinanzia ai giudici di merito. Per cui avverso la sentenza di merito proponeva ricorso in Cassazione sulla base di sei motivazione.
Gli Ermellini censurano la prima motivazione affermando che “Ove vengano dedotte esigenze di riassetto organizzativo finalizzato ad una più economica gestione dell’azienda – la cui scelta imprenditoriale è insindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità – può considerarsi licenziamento ingiustificato del dirigente, cui la contrattazione collettiva collega il diritto all’indennità supplementare in ipotesi non definite dai principi di correttezza e buona fede, solo quello non sorretto da alcun motivo (e che quindi sia meramente arbitrario) ovvero sorretto da un motivo che si dimostri pretestuoso e quindi non corrispondente alla realtà, di talché la sua ragione debba essere rinvenuta unicamente nell’intento di liberarsi della persona del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore“.
Inoltre, puntualizzano i giudici di legittimità, che “la Corte del merito si è attenuta a siffatto principio valutando, con motivazione immune da vizi logici e coerente sul piano formale, come giustificato il licenziamento in quanto fondato sulla veritiera allegata diversa organizzazione dell’attività della subholding e una maggiore integrazione gerarchica tra tutte le funzioni aziendali di tutte le società“.
I Giudici della Corte Suprema hanno altresì ricordato che “la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo ex art. 1 della legge n. 604 del 1966 e conseguentemente, fatti o condotte non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato ben possono giustificare il licenziamento, per cui, ai fini della giustificatezza del medesimo, può rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente“.
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