La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20146 del 03 settembre 2013 intervenendo in tema di compenso ai professionisti statuisce che il giudice è tenuto prima a verificare l’effettivo ricevimento dell’incarico dal cliente e poi l’attività effettivamente svolta L’accordo sul compenso del professionista può essere provato anche con una fattura prima emessa e poi stornata. Di più: il giudice, in questi casi, è tenuto a verificare il patto con il cliente e poi l’attività effettivamente svolta.
La vicenda trae origine dal controversia insorta tra un ingegnere e due proprietari, che avevano commissionato delle modifiche sostanziali sulla casa, avevano prodotto in giudizio una fattura emessa dal professionista e poi stornata. Il professionista ottiene il decreto ingiuntivo a cui si oppongono i due proprietari inanzi al Tribunale che revocava il decreto ingiuntivo e condannava gli attori al pagamento della somma di lire 55.294.291 quale credito del professionista determinato giudizialmente, detratto l’acconto già versato e condannava il professionista convenuto a pagare la somma indicata nella CTU a titolo di risarcimento del danno.
La sentenza del tribunale veniva impugnata da entrambe le parti inanzi alla Corte di Appello appello principale degli attori e appello incidentale del convenuto. I giudici della Corte di Appello rigettavano entrambi i ricorsi. Per quanto concerne il ricorso principale i giudici di merito hanno ritenuto che le prove raccolte non consentissero di ritenere provato un accordo sul compenso; in particolare, valutava come labile e incerta la testimonianza della teste. Per quanto riguarda invece i dedotti vizi e irregolarità della prestazione professionale, sono stati addebitati unicamente all’impresa di costruzione.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso presentato dai clienti di un ingegnere che hanno dedotto l’esistenza di un accordo preciso sulla misura da corrispondere per il lavoro affidato al professionista; corrispettivo che era stato totalmente pagato nel luglio del 1994. Tuttavia, l’ingegnere, decorso un anno (ossia nel luglio del 1995), emetteva un’ulteriore fattura, che successivamente stornava, riemettendone un’altra con l’importo maggiore di cui al decreto ingiuntivo. Gli opponenti, infine, hanno contestato vizi e irregolarità della prestazione professionale, pretendendo il risarcimento dei danni.
Per i giudici di legittimità oltre alle testimonianza, la Corte d’Appello avrebbe dovuto tener conto dei documenti, in particolare della fattura stornata.
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