La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 18836 del 07 agosto 2013 interviene in tema di mobbing affermando che l’ente datore può scegliere a quale dei dirigenti attribuire gli incarichi: niente mobbing per chi non fa carriera. Esclusi i danni per presunti favoritismi agli amici dei politici: l’amministrazione agisce con la discrezionalità del privato, basta rispettare le procedure.
Gli Ermellini, dopo aver esaminato le motivazione della Corte Territoriale ed i fatti posti alla base, hanno confermato il principio della discrezionalità che caratterizza l’affidamento dell’incarico dirigenziale, si pone in linea con l’orientamento espresso da questa Corte, secondo il quale, in tema di impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., senza che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (sia pure con il vincolo del rispetto di determinati elementi sui quali la selezione deve fondarsi), al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale (Cass. n. 20979/2009).
Tale principio riguarda sia l’affidamento dell’incarico che la sua conservazione. Invero, secondo questa Corte, «non è configurabile un diritto soggettivo a conservare un determinato incarico dirigenziale, risolvendosi il controllo giudiziale circa il mancato rinnovo dell’incarico in un’indagine sul rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonché sull’osservanza delle regole di correttezza e buona fede (Cass. n. 5025/2009).
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