MINISTERO delle FINANZE – Circolare n. 15 del 5 aprile 2024

Disposizioni in materia di riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni – Pagamenti di natura non commerciale e utilizzo della facoltà prevista dall’articolo 4, comma 4, del Decreto Legislativo n. 231 del 2002 – Prime indicazioni

Nell’ambito delle revisioni al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvate con decisione del Consiglio Ecofin dell’8 dicembre 2023, sono stati, fra l’altro, introdotte nuove milestone per l’attuazione della M1C1-Riforma n. 1.11 – Riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e delle autorità sanitarie. In particolare, la milestone M1C1-72bis prevede una serie di interventi, da adottare entro il primo trimestre del 2024, volti a favorire un’accelerazione nel percorso di miglioramento dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni ai fini del conseguimento dei target previsti dalla stessa riforma, al primo trimestre del 2025 e del 2026. Alcuni dei predetti interventi, che richiedevano l’adozione di una norma primaria, hanno trovato attuazione con l’art. 40 del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19; altri interventi, prevalentemente rivolti a qualificare ed illustrare profili applicativi della disciplina vigente, sono oggetto della presente circolare.

In particolare, la circolare intende fornire chiarimenti ed indicazioni in merito ai seguenti quattro profili applicativi della normativa vigente:

− la definizione della natura commerciale o non commerciale delle transazioni;

− la possibilità di estendere i termini di pagamento, come previsto dall’art. 4, comma 4, del decreto legislativo n. 231 del 2002;

− l’adozione da parte delle amministrazioni dei piani relativi ai flussi di cassa;

− l’audit interno e le funzioni di controllo dei ministeri.

La nozione di transazione commerciale

Con riferimento al profilo oggettivo e soggettivo della nozione di transazione commerciale, pare opportuno richiamare, preliminarmente, i principali riferimenti normativi in materia e, in particolare, il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, come modificato e integrato dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, che ha recepito la direttiva 2011/7/UE. Il medesimo decreto, al comma 1 dell’art. 1, stabilisce che “le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale” e all’art. 2, comma 1, lett. a), definisce come transazioni commerciali “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo”. Si tratta di una nozione ampia e volutamente priva di un riferimento specifico ad una o più tipologie contrattuali del diritto interno.

Sotto il profilo oggettivo, la disciplina si applica a tutti i contratti che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, con riferimento anche alle obbligazioni per prestazioni professionali, nonché ai contratti di appalto di lavori pubblici. Come noto, successivamente all’emanazione del citato decreto, il legislatore ha precisato, con norma interpretativa, che rientrano in tale definizione anche gli appalti pubblici.

Nello specifico, l’art. 24, comma 1, della legge 30 ottobre 2014, n. 161, ha interpretato la lettera a) dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 231/2002, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 192/2012, “nel senso che le transazioni commerciali ivi considerate comprendono anche i contratti previsti dall’art. 3, comma 3, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”, ossia “i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori.”

Recenti sentenze (Corte di Cassazione sentenza n. 5803 del 2019, che richiama il precedente costituito da Cons. Stato, 11/02/2014, n. 657, inerente ad un contratto di locazione relativo “ad un immobile concesso in locazione alla Provincia appellante e destinato ad uso scolastico”) hanno espressamente chiarito che “la nozione di “transazione commerciale”, di ispirazione comunitaria, in assenza di limitazioni deve essere intesa in senso lato, come ricomprendente tutte le prestazioni di servizio, e pertanto anche i contratti di utilizzazione di beni collegati o connessi ad un rapporto commerciale, ivi ricompresi i contratti di locazione (e di affitto)”.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, il decreto legislativo n. 231 del 2002 precisa che la norma si riferisce alle “transazioni commerciali” intercorrenti tra imprese e tra imprese e pubblica amministrazione. Come evidenziato nella circolare RGS n. 3 del 2015, che fornisce, dal punto di vista soggettivo, alcune indicazioni finalizzate al calcolo dell’indicatore di tempestività dei pagamenti, il decreto legislativo n. 231 del 2002, all’art. 2, comma 1, lett. c), definisce l’imprenditore come “ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”. Viene, quindi, fornita una nozione più ampia di quella contenuta nell’art. 2082 del codice civile, ricomprendendo anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

A tale ultimo proposito, si fa, altresì, presente che l’art. 2 (Tutela del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali), comma 1, della legge 22 maggio 2017, n. 81 – recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” – ha stabilito che “Le disposizioni del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, si applicano, in quanto compatibili, anche alle transazioni commerciali tra lavoratori autonomi e imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, o tra lavoratori autonomi, fatta salva l’applicazione di disposizioni più favorevoli”.

Le singole pubbliche amministrazioni avranno cura di valutare la presenza degli elementi oggettivi e soggettivi sopra richiamati per definire le fattispecie di spesa che, pur correlate con l’emissione di una fattura elettronica, potrebbero non rientrare nell’alveo delle transazioni commerciali. In particolare, va rammentato come, tra gli elementi più rilevanti ai fini di tale valutazione, siano da ricomprendere:

− la presenza di un contratto, comunque denominato, il quale dia luogo ad un rapporto di tipo commerciale. Così, ad esempio, non sarebbero riferibili a transazioni commerciali le fatture emesse a fronte di un mero trasferimento di risorse finanziarie o a rimborso effettuato in fase di rendiconto della spesa, anziché per l’effettiva prestazione di un servizio;

− la necessità che la controparte della pubblica amministrazione sia un’impresa, intesa nell’accezione più ampia che ricomprende anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

In tal senso, ad esempio, non rientrerebbero nel monitoraggio delle transazioni commerciali delle pubbliche amministrazioni quelle fattispecie dove, in ultima analisi, la controprestazione è svolta a favore del cittadino/contribuente oppure, ad esempio, nell’ambito del settore sanitario, le fatture relative alla dispensazione da parte dei farmacisti dei farmaci di classe A, atteso che – limitatamente a tale dispensazione – il farmacista è componente del Servizio sanitario nazionale e non è qualificabile come “imprenditore” (si veda Cass. Civ., Sezioni unite, sentenza n. 26496/2020).

In via generale, per quanto concerne le ipotesi di esclusione, giova, infine, aggiungere che, per espressa previsione dell’art. 1, comma 2, del più volte richiamato decreto legislativo n. 231/2002, le disposizioni del medesimo decreto non trovano applicazione per: a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito; b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati, a tale titolo, da un assicuratore.

Utilizzo della facoltà prevista dall’art. 4, comma 4, del decreto legislativo n. 231 del 2002

Come noto, la direttiva 2011/7/UE contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, recepita nella normativa nazionale con il decreto legislativo n. 231 del 2002, come modificato dal decreto legislativo n. 192 del 2012, stabilisce che il periodo di scadenza delle fatture emesse nei confronti di una pubblica amministrazione è, in generale, pari a 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura, estensibile a 60 giorni nel settore sanitario, ovvero in settori diversi da quello sanitario, in relazione alla specifica natura del rapporto contrattuale. Il periodo di scadenza è da intendersi riferito ai giorni di calendario, come desumibile dai “considerando” 13 e 23 della direttiva europea 2011/7/UE.

In particolare, l’art. 4, paragrafo 4, della predetta direttiva stabilisce, innanzitutto, che: “Gli Stati membri possono prorogare i termini di cui al paragrafo 3, lettera a), fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario per: a) qualsiasi amministrazione pubblica che svolga attività economiche di natura industriale o commerciale offrendo merci o servizi sul mercato e che sia soggetta, come impresa pubblica, ai requisiti di trasparenza di cui alla direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese; b) enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine”.

Inoltre, il successivo paragrafo 6 del medesimo articolo stabilisce, in via aggiuntiva, che: “Gli Stati membri assicurano che il periodo di pagamento stabilito nel contratto non superi il termine di cui al paragrafo 3, se non diversamente concordato espressamente nel contratto e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche, e non superi comunque sessanta giorni di calendario”.

Il testo del suddetto art. 4, paragrafo 6, della direttiva è stato integralmente recepito nella normativa nazionale, laddove l’art. 4, comma 4, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, prevede che : “Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto”.

In considerazione del fatto che la scadenza dei termini di pagamento è fissata in via ordinaria in 30 giorni, ad eccezione degli enti del comparto sanitario e delle imprese pubbliche di cui al decreto legislativo n. 333/2003 (comparti per i quali il termine è raddoppiato), l’eventuale estensione dei tempi di pagamento oltre tale termine, fino ad un massimo di 60 giorni, deve essere puntualmente giustificata, con prova per iscritto della clausola relativa al termine, in ragione della particolare “natura del contratto” o di “talune sue caratteristiche”, come prescritto dalla normativa di riferimento sopra citata. In ogni caso, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, i termini di pagamento non possono essere superiori a 60 giorni.

Considerato che la valutazione del raggiungimento degli obiettivi della M1C1-Riforma 1.11 del PNRR sarà effettuata sia con riferimento all’indicatore del tempo medio di pagamento, che non deve superare i termini massimi consentiti (30 o 60 giorni), che all’indicatore del tempo medio di ritardo (che non deve risultare maggiore di zero), le pubbliche amministrazioni avranno cura, nel confermare nel sistema PCC la data di scadenza delle fatture, di rispettare le prescrizioni previste al riguardo dal decreto legislativo n. 231 del 2002.

Si ricorda che l’indicazione di scadenze dei termini di pagamento superiori a quelli consentiti dalla legislazione vigente era stata già evidenziata nell’ambito dell’attività di monitoraggio relativa ad anni precedenti ed aveva portato all’adozione di una specifica segnalazione con la Circolare RGS n. 17 del 7/4/2022, con la quale si raccomandava alle amministrazioni/enti pubblici di avere “cura, nel confermare nel sistema PCC la data di scadenza delle fatture, di rispettare le prescrizioni previste al riguardo dal decreto legislativo n. 231 del 2002”.

Dall’analisi delle fatture ricevute dalle pubbliche amministrazioni nell’anno 2023, è emerso il perdurare di tale criticità. In casi non limitati, infatti, le pubbliche amministrazioni hanno indicato termini di scadenza che superano il periodo stabilito dalla direttiva europea e dalla legislazione nazionale di recepimento, con evidenze in cui la data di scadenza della fattura superiore ai 30 giorni deriva presumibilmente da errori commessi dall’Amministrazione in fase di registrazione dei documenti contabili.

In considerazione del fatto che le fatture ricevute nel 2024 saranno oggetto di rendicontazione del target del primo trimestre 2025 della M1C1- Riforma 1.11 del PNRR, si invitano codeste Amministrazioni a voler verificare la sussistenza delle condizioni previste dal decreto legislativo n.231 del 2002 qualora i termini di scadenza indicati siano superiori a 30 giorni. Particolare attenzione dovrà essere riservata alla situazione delle eventuali fatture che riportano termini di scadenza superiori a 60 giorni, non consentiti dalla normativa vigente. Analoga attenzione va posta per tutti quei casi in cui il termine di pagamento viene fissato dall’Amministrazione in misura inferiore ai 30 giorni, soprattutto qualora il pagamento dovesse essere effettuato successivamente a tale termine.

Considerato che la tempestiva disponibilità e correttezza delle informazioni riguardanti la contabilizzazione dei documenti nei sistemi informativi sono essenziali per consentire al sistema PCC l’elaborazione di indicatori attendibili per la valutazione del livello e della dinamica dei tempi di pagamento e dello stock di debiti commerciali, appare inoltre opportuno richiamare le amministrazioni pubbliche ad una corretta registrazione della eventuale fase di sospensione delle fatture. In tal senso, si rammenta che in fase di utilizzo di tale funzionalità sarà cura della singola Amministrazione individuare la motivazione per cui si sta attivando la sospensione della fattura selezionando una delle quattro tipologie presenti a sistema:

− sospeso per contenzioso,

− sospeso per contestazione (eventuali elementi previsti dal contratto la cui presenza è necessaria ai fini dell’esigibilità del credito);

− adempimenti normativi (a titolo esemplificativo e non esaustivo, la ritenuta dello 0,50% prevista dell’art. 11 del nuovo codice dei contratti pubblici);

− verifica di conformità (volta a conseguire l’attestazione di regolare esecuzione del contratto, compresa l’ipotesi in cui la fattura sia ricevuta dal debitore in data antecedente alla prestazione del servizio o consegna del bene);

In ordine a quanto sopra, è utile rammentare che, con riferimento alle situazioni di “contenzioso” o “contestazione”, che giustificano la sospensione dei termini di pagamento – come desumibile dall’art. 9, comma 5, del D.P.C.M. 22 settembre 2014, recante “Definizione degli schemi e delle modalità per la pubblicazione su internet dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci preventivi e consuntivi dell’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni” – “sono esclusi dal calcolo i periodi in cui la somma era inesigibile essendo la richiesta di pagamento oggetto di contestazione o contenzioso”.

Al riguardo, appare opportuno precisare che la suddetta inesigibilità, per ragioni di certezza giuridica e conformemente al dettato normativo sopra richiamato, deve ricollegarsi esclusivamente alla sussistenza di puntuali contestazioni stragiudiziali o di specifico contenzioso in sede giudiziaria in relazione alle singole fatture o richieste di pagamento che si intende escludere dal calcolo dell’indicatore, non ritenendosi, invece, sufficiente che sia dedotta una generica, anche se complessiva, situazione di conflittualità tra il soggetto debitore (o presunto tale) e la società creditrice, emittente la fattura. (NOTA 1)

Per quanto concerne, poi, la sospensione del pagamento nelle more della verifica di conformità della merce o dei servizi al contratto, non si tralascia di ricordare che l’art. 4, comma 6, del decreto legislativo n. 231/2002, prevede espressamente che, “Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell’articolo 7. L’accordo deve essere provato per iscritto”.

Pertanto, la procedura di accertamento della conformità, ove prevista, deve avere, di regola, una durata non superiore a trenta giorni, a meno che le parti non concordino un diverso termine espressamente nel contratto e nella documentazione di gara (NOTA 2) e sempreché ciò non sia gravemente iniquo ai sensi del successivo art. 7.

Si ritiene che non rientrino nelle legittime cause di sospensione delle fatture tutte quelle condizioni in cui il ritardo di pagamento dell’Amministrazione dipenda da motivazioni interne alle procedure amministrativo – contabili della pubblica amministrazione, comprese quelle derivanti dal ritardo nei trasferimenti di risorse finanziarie tra i diversi livelli di governo.

Si rende opportuno, infine, sottolineare che la Commissione europea, ai fini di ogni eventuale verifica, potrà accedere ad un database, alimentato con i dati della PCC, contenente le informazioni elementari necessarie e sufficienti per il calcolo degli indicatori sui tempi di pagamento, nel rispetto dei limiti imposti dalla normativa sulla privacy.

Con riferimento all’eventuale rifiuto delle fatture elettroniche da parte delle pubbliche amministrazioni, si ricorda che, dal 6 novembre 2020, è in vigore il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 24 agosto 2020, n. 132 che definisce le motivazioni consentite per poter rifiutare fatture ricevute tramite il Sistema di Interscambio (SdI). Le amministrazioni pubbliche dovranno motivare l’esito del rifiuto riportando nel campo “Descrizione della Notifica esito committente” una delle cinque motivazioni previste dal decreto:

1. fattura riferita ad una operazione che non è stata posta in essere in favore della pubblica amministrazione destinataria della trasmissione del documento;

2. omessa o errata indicazione del Codice identificativo di Gara (CIG) o del Codice unico di Progetto (CUP), da riportare in fattura;

3. omessa o errata indicazione del codice di repertorio per i dispositivi medici e per i farmaci;

4. omessa o errata indicazione del codice di Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) e del corrispondente quantitativo da riportare in fattura per i farmaci;

5. omessa o errata indicazione del numero e data della Determinazione Dirigenziale d’impegno di spesa per le fatture emesse nei confronti delle Regioni e degli enti locali.

Adozione di piani annuali dei flussi di cassa atti a garantire il rispetto dei termini legali di pagamento.

Fra gli interventi richiesti nell’ambito della nuova milestone M1C1-72 bis, vi è quello riguardante l’adozione da parte delle pubbliche amministrazioni dei piani annuali dei flussi di cassa atti a garantire il rispetto dei termini legali di pagamento.

In tal senso, si richiama l’attenzione delle amministrazioni in indirizzo al rispetto di quanto stabilito dalla normativa in materia, già dettata in via generale per tutte le PA, dall’art. 9 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. In particolare, riguardo alle procedure di spesa delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, si invitano gli Uffici centrali di bilancio e le Ragionerie Territoriali dello Stato a voler vigilare in ordine agli adempimenti previsti dal decreto ministeriale dell’8 agosto 2010.

Rilevante, a tali fini, è la più puntuale definizione del fabbisogno di cassa, da attuarsi in sede di provvedimento di assestamento e di disegno di legge di bilancio, in relazione alle esigenze dell’impegno ad esigibilità e delle conseguenti effettive scadenze dei pagamenti, valutando attentamente l’effettiva spendibilità delle risorse sia in conto competenza che in conto residui. Si rinnova, pertanto, con maggior vigore e urgenza, l’invito alle Amministrazioni contenuto nelle circolari con cui questo Dipartimento apre annualmente le fasi dell’assestamento e della previsione di bilancio. Funzionale a tale obiettivo è il costante monitoraggio e conseguente aggiornamento del cronoprogramma dei pagamenti di cui all’art. 34 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge 196), con il quale modulare il fabbisogno di cassa all’effettività della spesa desumibile dal cronoprogramma; tale operazione deve riguardare tutti i pagamenti previsti e non essere limitata ai soli pagamenti imminenti con l’approssimarsi della scadenza.

In tale quadro, la cui cornice è fissata dal cronoprogramma, si invitano le Amministrazioni ad utilizzare gli ampi margini di flessibilità riconosciuti dall’art. 33, comma 4-quinquies, della citata legge 196, riservando alle situazioni di deficienza di cassa, non altrimenti risolvibili, il ricorso al Fondo di riserva di cui all’art. 29 della legge 196. Ciò, anche al fine di evitare che ingenti quantità di risorse di cassa vadano in economia a fine anno, oltre a quelle che derivano da risorse assegnate con decreti di variazioni di fine anno.

Si invitano, pertanto, le Amministrazioni a prevedere misure, anche di tipo organizzativo, tali da garantire un coordinamento delle varie strutture ministeriali che sia in grado, da un lato, di raccogliere i fabbisogni di ciascuna struttura e, dall’altro, mediante il ricorso ai richiamati strumenti di flessibilità, di mettere a disposizione delle medesime strutture, con la necessaria tempestività, le risorse di cassa necessarie, riducendo anche le possibili ricadute negative sui saldi di finanza pubblica determinate dal ricorso al mercato per garantire le disponibilità di cassa non utilizzate.

Con riferimento al comparto degli enti locali, si evidenzia che l’art. 183, comma 8, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) stabilisce quanto segue: “Al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il responsabile della spesa che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di cassa e con le regole del patto di stabilità interno; la violazione dell’obbligo di accertamento di cui al presente comma comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa. Qualora lo stanziamento di cassa, per ragioni sopravvenute, non consenta di far fronte all’obbligo contrattuale, l’amministrazione adotta le opportune iniziative, anche di tipo contabile, amministrativo o contrattuale, per evitare la formazione di debiti pregressi.”

Inoltre, per quanto riguarda il programma dei pagamenti, in occasione del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, anche per le Regioni, come per gli enti locali, è stata inserita la disciplina prevista in via generale per tutte le pubbliche amministrazioni dall’art. 9 del decreto-legge n. 78/2009. Per le Regioni, la disciplina corrispondente a quella dell’art. 183, comma 8, del TUEL, è contenuta nell’art. 56, comma 6, del decreto legislativo n. 118 del 2011, che prevede: “Al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il funzionario della Regione che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica; la violazione dell’obbligo di accertamento di cui al presente comma comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa. Qualora lo stanziamento di bilancio, per ragioni sopravvenute, non consenta di far fronte all’obbligo contrattuale, l’amministrazione adotta le opportune iniziative, anche di tipo contabile, amministrativo o contrattuale, per evitare la formazione di debiti pregressi”.

Al fine di consentire un’efficace attuazione delle normative sopra richiamate, considerato che tali disposizioni sono state emanate per evitare i ritardi di pagamenti nelle transazioni commerciali, gli organi di controllo di regolarità amministrativa e contabile avranno cura di effettuare, nell’ambito dei propri compiti di vigilanza, opportuni accertamenti volti a riscontrare che il responsabile della spesa dell’Amministrazione adotti il programma dei pagamenti e a verificare la compatibilità dello stesso con gli stanziamenti di bilancio e con le regole di contabilità e finanza pubblica. L’esito delle predette attività di controllo andrà riportato all’interno della verbalizzazione delle riunioni dei medesimi organi.

Audit interno e funzioni di controllo dei Ministeri e delle regioni

Un ulteriore intervento, previsto nell’ambito della nuova milestone M1C1-72 bis, riguarda la previsione/potenziamento dell’Audit interno e delle funzioni di controllo dei Ministeri e delle regioni.

In proposito, si ricorda, innanzitutto, che l’art.4-bis, comma 2, del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 aprile 2023, n. 41, ha previsto l’inserimento da parte degli Organismi indipendenti di valutazione (OIV) dei singoli Ministeri e delle Regioni di specifici obiettivi per il rispetto dei tempi di pagamento a carico dei dirigenti che effettuano i pagamenti.

Inoltre, sia per i referenti dei Ministeri che per quelli delle Regioni, come per ciascun responsabile/incaricato di una pubblica amministrazione registrato in PCC, è possibile attingere a specifiche funzionalità predisposte in AreaRGS che consentono di analizzare, mediante l’utilizzo del servizio denominato “Stock del debito”, i dettagli delle singole fatture (con le relative scadenze) che concorrono al calcolo dei valori presentati per lo stock del debito e per il calcolo dei tempi medi ponderati di pagamento e ritardo.

Sono, inoltre, in fase di realizzazione funzionalità che consentiranno di effettuare analisi sui debiti commerciali ai singoli Uffici centrali di bilancio presso ogni Ministero, nonché alla Corte dei Conti.

Note:

(1) Circolare 22 luglio 2015, n. 22/RGS, concernente “Indicazioni e chiarimenti in merito al calcolo dell’indicatore di tempestività dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 8, comma 3-bis, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89”.

(2) In proposito, si reputa utile richiamare anche l’art. 4, paragrafo 5, della Direttiva n. 2011/7/UE, secondo cui “5. Gli Stati membri assicurano che la durata massima della procedura di accettazione o di verifica di cui al paragrafo 3, lettera a), punto iv), non superi trenta giorni di calendario dalla data di ricevimento delle merci o di prestazione dei servizi, se non diversamente concordato espressamente nel contratto e nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell’articolo 7.”.