La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10481 del 27 aprile 2017 intervenendo in tema di durata delle verifiche fiscali ha riaffermato gli organi della pubblica amministrazione preposti all’accertamento fiscale possono rimanere in azienda anche oltre i termini stabiliti dalla legge di 30 o 60 giorni a seconda dei casi e in tale ipotesi l’accertamento è ugualmente legittimo.
L’ articolo 12, comma 5 della legge n. 212/2000 stabilisce che la permanenza dei verificatori dell’agenzia delle Entrate o della guardia di finanza, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi. Tale termine però può essere prorogato per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni.
La vicenda esaminata dalla Corte Suprema ha avuto origine da una verifica fiscale conclusasi con Processo Verbale di Constatazione a cui faceva seguito la notifica di un avviso di accertamento. La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accoglievano la doglianza della ricorrente ritenendo nullo l’atto impositivo per violazione dell’art.12 comma 5 L. 212/2000, essendovi stata permanenza dei verificatori nei locali dell’impresa per oltre 30/60 gg. L’Amministrazione finanziaria ricorreva alla Commissione Tributaria Regionale che, però, confermava la sentenza impugnata.
L’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione dei giudici di appello, proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del fisco confermando i propri precedenti ed affermando che “in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, ne’ la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione” (Cass. n. 17002 del 2012; negli stessi termini Cass. n. 14020 del 2011 e Cass. n. 19338 del 2011).
Pertanto per i giudici di legittimità la violazione del termine di 30 giorni (o, al più, di 60) non determina la carenza del potere ispettivo e l’invalidità dell’accertamento tributario.
La stessa Corte evidenzia nell’ordinanza che la normativa individua i rimedi per tale violazione affermando che in caso di ingiustificata protrazione delle operazioni di verifica, il contribuente può formulare a verbale osservazioni e rilievi. Il contribuente in aggiunta o in alternativa può rivolgersi al Garante del contribuente il quale, in seguito alla segnalazione, esercita i poteri istruttori richiesti dal caso, richiamando «gli uffici al rispetto di quanto previsto dalla legge ed, ove rilevi comportamenti che «determinano un pregiudizio per i contribuenti o conseguenza negative nei loro rapporti con l’amministrazione», trasmette le relative segnalazioni ai titolari degli organi dirigenziali «al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare».
Il protrarsi oltre 60 giorni dell’accertamento fiscale presso la sede dell’azienda non determina neanche l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte.
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