La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 10204 depositata il 16 aprile 2024, intervenendo in tema di esclusione della doppia imposizione e della convenzione Italia USA, ha statuito il principio secondo cui qualora “… la Convenzione prevede che il credito di imposta non spetti ove «l’elemento di reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta su richiesta del beneficiario», affermando che la causa di esclusione della deduzione opera solo ove l’imposizione, mediante ritenuta a titolo di imposta o mediante l’analoga imposta sostitutiva, avvenga su richiesta del beneficiario, ha evidenziato che nel caso di specie la richiesta del beneficiario non è possibile, ai sensi del precitato quadro normativo …”
La vicenda ha riguardato una contribuente che aveva dichiarato redditi di fonte estera al rigo RM12 (relativo ai redditi di capitale soggetti a imposizione sostitutiva costituiti da utili di società di persone statunitensi di cui era socia e dividendi da partecipazioni non qualificate in società di capitali), presentando poi istanza di rimborso, sulla quale si formava silenzio rifiuto; l’istanza muoveva dalla ritenuta necessaria applicazione dell’art. 23, comma 3, della Convenzione Italia-Stati Uniti contro le doppie imposizioni; avendo ella versato su tali redditi le imposte negli Usa chiedeva di beneficiare del credito per le imposte versate all’estero. Avverso il silenzio rifiuto la contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di prime cure accolsero le doglianze della contribuente. L’Agenzia impugnava la decisione di primo grado. I giudici di secondo rigettavano l’appello. L’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.
Gli Ermellini precisano che “… questa Corte (Cass. 25698/2022, sebbene in riferimento alla previgente Convenzione tra Italia e Stati Uniti per evitare le doppie imposizioni, ma il testo, sul punto rilevante, è il medesimo) ha già ritenuto, di recente, che l’imposta sostitutiva prevista dall’art. 18 del d.P.R. n. 917 del 1986 ha una funzione del tutto sovrapponibile alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta prevista dall’art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 per il caso in cui i redditi derivanti da partecipazioni di fonte estera non qualificate siano percepiti tramite un intermediario residente. …”
I giudici di piazza Cavour chiariscono che “… in base ad una interpretazione conforme della norma pattizia (prevalente) la locuzione «anche su richiesta del contribuente», che figura nel testo di tali accordi, conferma che quando l’Italia ha inteso negare il credito d’imposta non solo nei casi in cui l’assoggettamento dell’elemento di reddito a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta avvenga su richiesta del contribuente, ma anche nei casi in cui esso sia obbligatorio in base alla legge italiana, lo ha previsto espressamente. …”
Il Supremo consesso evidenzia che “… nella Convenzione non vi è un rinvio esplicito alle norme interne italiane, come invece previsto per le norme interne americane dallo stesso art. 23; e anche a voler ritenere che comunque la normativa italiana sia presupposta, ciò, come segnalato in dottrina, non deve impedire di attribuire benefici previsti dalla Convenzione; le disposizioni interne non debbono porsi in contrasto con le finalità proprie delle Convenzioni in materia fiscale e, in primis, con la finalità di evitare la doppia imposizione internazionale connaturale a questa species di trattati.
Esclusa la sussistenza di un rinvio all’art. 165 t.u.i.r. (come nel caso della cd. euroritenuta, ove si è peraltro precisato che le regole procedimentali nazionali non debbono essere discriminatorie o eccessive, e nemmeno possono negare tout court il diritto al rimborso di fonte unionale o convenzionale: Cass. n. 1002/2023; Cass. n. 33282/2023), deve escludersi anche che la norma convenzionale postuli che il reddito estero debba essere inserito nel reddito complessivo, come dedotto dalla difesa erariale, invocando il principio di diritto dell’Agenzia delle entrate n. 15 del 29 maggio 2019. …”