La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con lordinanza n. 26320 depositata il 9 ottobre 2024, intervenendo in tema di modifica peggiorativa del rapporto di lavoro, ha riaffermato il principio secondo cui “l’accordo di riduzione della retribuzione in esame è nullo per mancato rispetto delle formalità, poste dalla legge a tutela dei diritti sostanziali del lavoratore dall’art. 2103 c.c., come chiarito dalla sentenza gravata; deve, quindi, in questa sede confermarsi il principio per cui la disciplina di cui all’art. 2103 c. (come modificato dall’art. 3 d. lgs. n. 81/2015), secondo la quale possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, del livello di inquadramento o della retribuzione nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità, o al miglioramento delle condizioni di vita nelle sedi di cui all’art. 2113 c.c., ricomprende tutte le ipotesi di accordo per la riduzione della retribuzione, anche senza mutamento di mansioni o di livello di inquadramento;”
La vicenda ha riguardato un dirigente di una società per azione che si era dimesso per allegata giusta causa che aveva stipulato un accordo di riduzione della retribuzione prevista dal CCNL con la società datrice di lavoro. L’ex dirigente impugnava l’accordo di riduzione del trattamento economico. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, rigettava le richieste del dirigente. Avverso la decisione del giudice di prime cure l’ex dirigente proponeva appello. La Corte territoriale in riforma della sentenza impugnata dichiarava la nullità dell’accordo tra le parti di riduzione della retribuzione, perché formalizzato in violazione delle norme imperative (stabilite dall’art. 2103 c.) per tale riduzione, che deve essere concordata in sede protetta, ed accertava la sussistenza della giusta causa delle dimissioni condannando la società a pagare all’appellante l’indennità sostitutiva del preavviso. La società datrice di lavoro, avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su otto motivi.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.
Per gli Ermellini “il principio dell’irriducibilità della retribuzione, dettato dall’art. 2103 c.c., implica che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto (salve le eccezioni, che qui non rilevano, riguardanti componenti della retribuzione erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa – cfr. Cass. n. 4055/2008, n. 19092/2017, n. 23205/2023);”
I giudici di piazza Cavour precisavano che “a norma del vigente art. 2103 c.c., comma 6 (modificato dall’art. 3 lgs. n. 81/2015): “Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. (… ult. comma …) ogni patto contrario è nullo”;”
Per cui per il Supremo consesso “in forza di tale modifica normativa, modifiche peggiorative della retribuzione sono possibili in caso di modifica di mansioni, qualora concordate, con determinati presupposti, e formalizzate esclusivamente in sede protetta, a pena di nullità;
(…) se la retribuzione è irriducibile, salvo accordo in sede protetta e a determinate condizioni in caso di mutamento di mansioni, a maggior ragione la retribuzione è irriducibile se neppure un mutamento di mansioni ricorra, comunque al di fuori della sede protetta;“
In conclusione, per la sentenza in commento, l’assenza anche di una sola delle predette condizioni, l’accordo di riduzione della retribuzione al di sotto dei minimi contrattuali deve ritenersi nullo.