La Corte Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 25572 depositata il 14 novembre 2013 intervenendo in materia di elusione fiscale ha statuito che si configura elusione fiscale nel caso di erogazione di un compenso troppo elevato all’amministratore unico. Inoltre si afferma, nella pronuncia, che rientra tra i poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità del compenso. Con riferimento alla prima questione, secondo l’ordinanza in esame la problematica nasce dal “vecchio” art. 62 del TUIR (in vigore fino al 31 dicembre 2003), il quale escludeva la deducibilità delle somme corrisposte a titolo di compenso per il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, limitando la deducibilità ai compensi spettanti agli amministratori di società di persone. Una disciplina quindi estinta con la riforma del diritto societario.
E’ riconosciuta infatti all’Agenzia delle Entrate la facoltà di sindacare l’importo del compenso corrisposto dalla società all’amministratore, qualora appaia sproporzionato, a nulla rilevando le deliberazioni sociali o i contratti.
L’attendibilità economica di tali importi va verificata nei termini della potenzialità di un comportamento elusivo.
Infine, per la corte, la società non ha diritto alla detrazione dal reddito d’impresa del compenso corrisposto, in quanto la posizione dell’amministratore unico è paragonabile sotto il profilo giuridico a quella dell’imprenditore.
Alla luce del principio di equiparazione di cui sopra, la giurisprudenza ha più volte affermato, e la sentenza in commento lo riafferma, che, in virtù dell’equiparabilità – sotto il profilo giuridico – con l’imprenditore, non è consentita la deducibilità dei compensi corrisposti all’amministratore unico di società di capitali, non essendo individuabile in tal caso la formazione di un’attività imprenditoriale distinta da quella della società e non ricorrendo, quindi, l’assoggettamento all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione (in tal senso, si vedano anche Cass. 13 agosto 2010 n. 18702, Cass. 13 novembre 2006 n. 24188 e C.T. Reg. Torino 6 febbraio 2012 n. 8/34/12).
Corre l’obbligo di precisare che l’attuale impianto normativo è completamente diverso dopo le modifiche apportate dal già citato DLgs. 344/2003 in materia di riforma del diritto societario.
Infatti la Corte Suprema con la sentenza n. 24957/2010, ha affermato che la deducibilità dei compensi erogati agli amministratori delle società di persone, enunciata dal “vecchio” art. 62 comma 3 del TUIR era applicabile anche alle società di capitali, in virtù del rinvio operato dall’allora vigente art. 95 comma 1.
Nel vigente sistema normativo i termini della questione non cambiano, visto che la situazione è identica, anche se rovesciata: l’art. 95 del TUIR, contempla espressamente la deducibilità dei compensi erogati agli amministratori di società di capitali, e ciò è applicabile anche alle società di persone per effetto del rinvio di cui all’art. 56 comma 1.
Pertanto, l’indeducibilità dei compensi agli amministratori di società di capitali non può essere applicata alla normativa attuale.
Tale considerazione viene confermata dai giudici di legittimità con la pronuncia in commento, laddove afferma che “il fatto che la deducibilità del compenso all’amministratore possa ormai essere eccepita anche con riferimento alle società di capitali, non cambia affatto il quadro complessivo della fattispecie in esame, dal momento che si tratta di innovazione, introdotta all’art. 95 del Dpr. n. 917/86 dall’art. 6, comma 6 D.lgs. n. 247/05, ed entrata in vigore soltanto l’1.1.2004 […] senza possibilità di efficacia retroattiva”.
In tema di deducibilità dei compensi all’amministratore unico é intervenuta anche la C.T. Prov. Alessandria. Secondo quanto affermato nella sentenza 23 marzo 2010 n. 24/6/10, ai fini della deducibilità fiscale dal reddito d’impresa del compenso spettante all’amministratore unico, occorrerebbe verificare se l’attività svolta dallo stesso può o meno essere equiparata a quella dell’imprenditore. Nel caso di specie, i giudici avevano rilevato una sovrapposizione di ruoli (imprenditore e di amministratore di se stesso), con impossibilità di scindere le due figure.
Sempre sul tema, ma in senso opposto, si è espressa invece la sezione n. 4 della stessa Commissione (sentenza 5 luglio 2010 n. 77/4/10), affermando che il compenso all’amministratore unico risulta deducibile dal reddito della società stessa, in quanto è stato regolarmente contabilizzato, registrato nelle scritture contabili della società e riportato tra i costi nel bilancio d’esercizio.
L’ordinanza in commento affronta anche il tema del sindacato di congruità sull’attribuzione del compenso, affermando che rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria tale valutazione.
La deducibilità, ai sensi dell’art. 62 TUIR, dei compensi degli amministratori non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in deliberazioni sociali o contratti, competendo all’ufficio la verifica dell’attendibilità economica dei predetti dati. A riguardo, si segnala che la sentenza n. 24957/2010 si è espressa in senso contrario, affermato l’insussistenza del potere di sindacato sulla congruità dei compensi.
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