La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2054 del 27 gennaio 2017 intervenendo in tema di cessione di azienda ed imposta di registro ha affermato che “abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva (Cass. S.U. 2008/30005; Cass. 2011/11236; 2011/21782).
Tuttavia il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (Cass. 2010/20029).In particolare il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali (Cass. 2011/1372).”
La vicenda ha avuto origine con la contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di una serie di conferimento in natura, ma ritenuti dall’Ufficio cessioni di rami d’azienda e perciò sottoposti ad imposta di registro che veniva liquidata. La società contribuente impugnava gli atti ricevuti innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che annullava gli avvisi di liquidazione per intervenuta decadenza. L’Amministrazione finanziario proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale che confermava la sentenza di primo grado.
L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione della CTR con ricorso in cassazione affidandolo ad un unico motivo.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del fisco evidenziando che prescindendo dalla possibilità di valutare il collegamento funzionale tra i diversi atti con riferimento all’effetto giuridico finale hanno ritenuto di condivide la decisione della CTR che ha ritenuto che gli atti considerati, anche unitariamente apprezzati, non hanno prodotto e non sono idonei a produrre un effetto giuridico finale corrispondente a quello della cessione del ramo d’azienda.
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